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L’altra Firenze: la “città meccanica”

sfumature più ampio, seppure l’esperienza lavorativa e i contesti lavorativi rimanessero centrali26. Ma come è possibile oggi ricor-dare cosa abbiano rappresentato questi luoghi alla fine degli anni

’60 e ancora negli anni ’70 nel momento in cui – come ricordava Simonetta Soldani – hanno prodotto inevitabilmente «memorie a singhiozzo»27? Questa rimozione ha contribuito e contribuisce paradossalmente a mantenere un senso di estraneità rispetto alla città del lavoro e alla sua storia.

C’è un esempio simbolico, legato al trauma dell’alluvione del 1966, che conferma l’“altra città” rispetto non solo al lavoro industriale ma anche alla fitta vita quotidiana di un tessuto di relazioni umane e sociali che dall’esistenza delle fabbriche di-pendevano: il disinteresse per i quartieri industriali della città e della cintura – quasi che non fossero Firenze ma solo ancora

“contado”, nemmeno da menzionare fra le zone colpite o sfug-gite all’acqua – è dimostrato dal primo drammatico collega-mento radio fatto dalla sede Rai di Firenze, tutto concentrato ovviamente sul centro storico, devastato, ma anche su Campo di Marte e perfino sul Viale dei Colli, in buona parte rispar-miati29. Eppure proprio il reticolo associativo di questi quar-tieri e centri minori produttivi – case del popolo, circoli vari, parrocchie – costituì uno dei primi presidi logistici per gli aiuti e il sostegno alle popolazioni alluvionate del centro città. Da lì nacque quell’esperienza particolare dell’associazionismo di base in cui le diverse anime politiche e culturali democratiche di Firenze, sia della tradizione di classe sia del cristianesimo so-ciale, ebbero modo di incontrarsi e sperimentare forme inedite di partecipazione e di azione unitaria che poi sarebbero fiorite alla base del ’68 fiorentino30.

Per essere compresa, la distribuzione territoriale della pre-senza industriale (soprattutto manifatturiera) e del lavoro di fabbrica, non esclusiva dell’identità urbana, dunque va collo-cata nel secondo dopoguerra all’interno di una realtà cittadina

29.  F. Paolini, Firenze, 1946-2005, cit., pp. 128-129.

30.  Gianluca Lacoppola, La grande alluvione vista da «L’Unità». Istituzioni e comitati popolari a Firenze nel 1966, in “Zapruder”, 2015, 37, pp. 76-83. Per un in-quadramento, oltre al già citato lavoro di Fanelli sulle case del popolo, cfr. Archi-vio del Movimento di Quartiere (a cura di), Le radici della partecipazione: Firenze e il suo territorio. Dai comitati di quartiere ai consigli di quartiere, 1966-1976, Firenze, Regione Toscana-Quaderni di Portofranco, 2006; Christian De Vito, Mondo operaio e cristianesimo di base. Dall’estraneità alla contaminazione: l’esperienza dell’Isolotto di Firenze, Roma, Ediesse, 2010. In generale, Marta Margotti, Cattolici del Sessantotto.

Protesta politica e rivolta religiosa nella contestazione tra gli anni Sessanta e Settanta, Roma, Studium, 2019.

più ampia, economicamente e socialmente non uniforme, già fortemente terziarizzata, ben prima della “grande trasforma-zione” di fine secolo, e in cui la presenza manifatturiera – dal punto di vista dell’insediamento sociale prima ancora che eco-nomico e produttivo – viene tendenzialmente, e da lungo tem-po, esternalizzata rispetto alla città storica.

A cavallo della Grande Guerra a Rifredi, in una periferia comunale allora ancora semi-rurale, dalla città erano emigrate le Officine Galileo e la Manetti & Roberts. Alla fine degli anni

’30 a Novoli-Lippi si era spostata la Fonderia del Pignone ed era arrivato il nuovissimo stabilimento della Fiat. Nel 1963 la Stice – che di lì a pochi anni sarebbe stata assorbita dal gruppo Zanussi – si era trasferita a Scandicci da via Circondaria, in cui si era insediata venendo dal contado valdarnese alla fine degli anni ‘30, seguita dalla Fonderia delle Cure, emigrata fuori cit-tà dall’omonimo quartiere urbano. Ma già fra mecit-tà anni ’70 e anni ’80, altre delocalizzazioni di stabilimenti si realizzavano (o subivano poi la chiusura), questa volta verso la piana fuori del territorio comunale fiorentino, svuotando la città industriale e i quartieri formatisi nel corso del ‘900: le Officine Galileo e la Manetti & Roberts da Rifredi andavano a Campi e Calenzano, la Longinotti da Gavinana (Firenze sud) a Sesto, la Fiat (ormai Gkn) da Novoli a Campi. Negli anni ’80, su una novantina di aree industriali dismesse totalmente o parzialmente nell’area metropolitana della piana alluvionale Firenze-Prato-Pistoia, quasi la metà si trovavano nella conurbazione fiorentina, equa-mente distribuite fra capoluogo e comuni di cintura31.

Ancora nel 1981, su 39 aziende industriali dell’area metropo-litana Firenze-Prato-Pistoia con più di 200 addetti, ben 35 erano collocate nell’area fiorentina (18 nel comune di Firenze). Le prin-cipali imprese industriali con più di 500 addetti della Toscana

31.  Giovanni Astengo (a cura di), Schema strutturale per l’area metropolitana Firenze-Prato-Pistoia, in “Quaderni di Urbanistica Informazioni”, 1990, 7, pp. 78-79.

centro-settentrionale erano tutte e dodici insediate nell’area fio-rentina (sei nel capoluogo), salvo la Breda di Pistoia (Calzaturi-ficio Rangoni, Eli Lilly Italia, Emerson Electronics, Fiat, Longi-notti, Officine Galileo, Matec-Savio, Menarini, Nuovo Pignone, Poligrafici Editoriale, Richard Ginori, Zanussi). Le sei più gran-di fra esse, metalmeccaniche, raggruppavano da sole un quinto dell’occupazione industriale della provincia di Firenze al 1981, ma solo tre erano a Firenze città (a nord-ovest) e di lì a poco solo il Nuovo Pignone sarebbe rimasto al Lippi32.

Grazie al precoce slittamento fuori del circuito della prima città storica (extra mœnia) e verso i sobborghi più lontani, comu-nali e non, Firenze città ha potuto così enfatizzare nel secondo

‘900 le sue caratteristiche di centro nodale sul piano politico-am-ministrativo, a maggior ragione dopo la regionalizzazione33; di centro strategico dei servizi (ad esempio per le infrastrutture ferroviarie e autostradali e la logistica, con tutta l’economia di contesto)34; di rilevante polo universitario35; di centro creditizio e finanziario (si pensi soltanto all’esistenza della Borsa Valori, per quanto residuale e ormai solo di intermediazione negli anni

‘70)36; di tradizionale riferimento per la rendita fondiaria e

finan-32.  Franco Bortolotti, Impresa e territorio nell’area fiorentina, in IRES Toscana (a cura di), Ripensare la città, ripensare il sindacato, Firenze, EMF, 1990, p. 38; G.

Astengo (a cura di), Schema strutturale per l’area metropolitana, cit., p. 78.

33.  Simone Neri Serneri (a cura di), Alle origini del governo regionale. Culture, istituzioni, politiche in Toscana, Roma, Carocci, 2004.

34.  Stefano Maggi, Annalisa Giovani, Muoversi in Toscana. Ferrovie e trasporti dal Granducato alla Regione, Bologna, il Mulino, 2005, pp. 187-226.

35.  Gli iscritti passarono da meno di 10 mila nel 1960-61 a oltre 18 mila pri-ma della liberalizzazione degli accessi nel 1969, per arrivare a 44 mila nel 1977-78.

Sui cambiamenti quali-quantitativi degli anni ’70: Simonetta Botarelli, Le univer-sità in Toscana, Firenze, La Nuova Italia, 1979.

36.  Nel 1968 la consistenza dei conti correnti bancari di deposito fiorentini e quella degli impieghi era pari al 43% del totale regionale; Relazione sulla situazione economica della Toscana nel 1968, in “Quaderno CSRES”, 1969, 4, p. 99. Cfr. anche P.

Barucci, Profilo economico della provincia, cit., pp. 170-176, e Piero Innocenti, L’indu-stria nell’area fiorentina. Processo evolutivo - struttura territoriale - rapporti con

l’am-ziaria (come mostreranno l’urbanistica “contrattata” degli anni

’80 e ’90 e il recupero delle aree dismesse)37; di recettore turisti-co a livello internazionale fino all’attuale gentrification di alcuni quartieri storicamente popolari38.

Se però collochiamo Firenze dentro la sua area più vasta, la sua conurbazione in quegli anni subisce una trasformazione ra-pidissima e profonda grazie all’industria, paragonabile a quella che attraversa le aree più sviluppate e evolute del paese, metten-do sotto tensione i modi con cui la città autoreferenzialmente si era rappresentata e proposta fino ad allora, soprattutto a partire dal rapporto complesso e contraddittorio con ciò che la circon-dava. In quei pochi anni, dal decennio ’50 a quello ’70, è tutta la città e la fisionomia sociale ed economica della sua area che stan-no cambiando, stan-non solo le funzioni tradizionali che ne hanstan-no accompagnato costantemente la storia39.

biente - prospettive di sviluppo, Firenze, Associazione Industriali della Provincia di Firenze, 1979, pp. 446-459.

37.  Giuseppe Campos Venuti, Odoardo Reali, Firenze: l’urbanistica contrat-tata, in Giuseppe Campos Venuti, Federico Oliva (a cura di), Cinquant’anni di urbanistica in Italia, 1942-1992, Roma-Bari, Laterza, 1993, pp. 313-327; Raimondo Innocenti (a cura di), Grandi progetti e nuove infrastrutture in Toscana, Firenze, Tip.

Risma, 1997.

38.  Firenze, fra il 1958 e il 1963, rappresenta l’82% del turismo culturale della regione (e la Toscana rappresenta il 28% del turismo nazionale nelle città d’arte), offrendo il 14,5% della ricettività albergheria toscana e quasi il 6% di quel-la extra-alberghiera; Liliana Treves (a cura di), Le risorse economiche del turismo in Toscana, Padova, CEDAM, 1967, pp. 49, 65, 151. Per la ulteriore crescita di Firenze fra anni ’60 e ’70, che investe anche la ricettività dell’area, P. Innocenti, L’industria nell’area fiorentina, cit., pp. 486-490.

39.  Qui, per area fiorentina, si intende strettamente il capoluogo e la sua tra-dizionale conurbazione: nella piana a nord-ovest Calenzano e Sesto Fiorentino;

ad ovest Campi Bisenzio e a sud-ovest Lastra a Signa, Scandicci, Signa; nelle zone collinari a nord Fiesole, a est Bagno a Ripoli e a sud Impruneta.