• Non ci sono risultati.

Abbiamo già parlato della grande variabilità che contraddistingue ogni modello dall’altro; di fatto, in letteratura è molto difficile trovarne di analoghi, difficoltà giustificata dal fatto che, nel corso del tempo, ben pochi studi sono riusciti ad ottenere risultati apprezzabili pur utilizzando le tecniche più innovative. La variabilità, come vedremo nel corso di questo paragrafo, parte dalla sorgente delle informazioni, sino all’utilizzo di determinate proprietà all’interno del modello stesso.

Sorgente dell’immagine

Nella metodologia scelta da noi, quindi la CT-to-FEM, com’è facilmente intuibile, la sorgente radiologica di imaging ricopre un ruolo fondamentale nell’ottenimento di risultati affidabili e validi. Nel capitolo 3 abbiamo già parlato della differenza che esiste tra l’utilizzo di una risonanza magnetica (RM) o di una tomografia computerizzata (CT) e, dato l’obbiettivo dello studio, si deduce che la scelta migliore è senza dubbio l’utilizzo di immagini CT.

Definire l’utilizzo di una tomografia computerizzata però non basta, gli studi analizzati infatti presentano l’utilizzo di 3 particolari versioni di CT:

• μ–CT scanning;

• High-resolution computed tomography (hrCT);

• Quantitative computed tomography (QCT).

41 La μ–CT rappresenta l’innovazione più recente in termini di imaging CT; le proprietà principali sono l’ottima risoluzione (ordine dei 100 nm) e la capacità di poter ricostruire un volume in 3D automaticamente, in quanto, grazie alla rotazione del campione in analisi, siamo in grado di ottenere tutte le slice nei diversi versi di acquisizione. Il problema più grande sono i tempi di acquisizione, infatti passa dai minimo 40 minuti per campioni particolarmente piccoli, alle 12 ore per quelli di dimensioni ragguardevoli [23] .

La hrCT si caratterizza anch’essa per l’ottima risoluzione (0.5 mm) rispetto ad una CT classica, ma comunque non risulta una delle metodologie più utilizzate in letteratura ma tutt’altro [24].

La QCT invece si è mostrata come la tecnica preferita dagli studiosi del campo, di fatto si mostra particolarmente indicata nella zona anatomica lombare ed è in grado di fornire importanti informazioni riguardo la densità del materiale osseo (BMD) [25]. In più, l’esperienza pregressa degli ingegneri interni del laboratorio e la possibilità di accesso solo a fonti cliniche dell’istituto ci ha orientato sin da subito a questa scelta.

Metodo di creazione del modello

Lo step successivo riguarda l’identificazione della geometria del modello, per far ciò ci sono due metodologie principali:

• Segmentazione;

• Voxel Mesh.

Il metodo classico è rappresentato dall’utilizzo della segmentazione, per cui delineare il bordo del campione a partire dall’immagine radiologica manualmente o automaticamente, questa rappresenta una scelta in cui conta molto l’abilità dell’operatore o la qualità del codice che riconosce i bordi automaticamente, però se ben fatta è una soluzione che permette di ottenere risultati egregi seppur in tempi più lunghi.

L’alternativa principale alla segmentazione, che si è dimostrata una valida alternativa soprattutto negli ultimi anni, è l’utilizzo della tecnica del Voxel Mesh;

da definizione il voxel è l’analogo in 3D del pixel, quindi in funzione della qualità

42 dell’imaging (non è un caso che i principali utilizzatori di questa metodologia si orientano all’uso della μ–CT) riusciamo ad ottenere risultati validi, c’è da dire che però, essendo un procedimento quasi totalmente automatizzato, riesce si a ridurre i tempi computazionali di creazione del modello, però è facile che venga portato ad errore dalla presenza di artefatti.

Avendo giustificato prima la scelta della QCT, e data comunque l’esperienza dei tutor in laboratorio, ci siamo orientati verso l’utilizzo della segmentazione classica, dati anche i buoni risultati ottenuti in passato.

Le proprietà dei materiali

La definizione delle proprietà in termini di rigidezza di ognuno degli elementi costituenti il modello è di primaria importanza per la buona riuscita dell’esperimento; ottenere una geometria con, di fatto, delle proprietà elastico-plastiche che si avvicinano alla realtà sono un passo importante per incorrere in risultati positivi.

Un lavoro importante è stato svolto dal Helgason [26], che, in un suo importante articolo di review, ha messo a confronto per i segmenti ossei di maggior interesse le leggi che ne assegnano le proprietà meccaniche migliori.

In letteratura, i principali articoli di riferimento, prendono spunto da un numero ristretto di leggi, come nel caso delle leggi definite da Keyak [27] e Kopperdahl [28] che si sono rivelate come quelle maggiormente scelte ed utilizzate. La particolarità è che se in Kopperdahl la legge definita è propria del segmento vertebrale, nel caso di Keyak si prende spunto da una legge definita per il femore, ottenendo comunque risultati importanti come nel caso di Imai [29].

Questa particolarità dell’utilizzo di leggi rappresentanti le proprietà femorali, è stata analizzata anche in questo studio, mettendo a confronto risultati di leggi entrambe definite da Morgan per il femore e le vertebre [30], questa scelta è stata fatta proprio per conto dello studio fatto da Helgason [26] che ha collaborato con i miei tutor in passato, e per le loro esperienze pregresse in altri articoli scientifici che hanno portato a risultati egregi.

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Scelta d’utilizzo della shell

Discorso parallelo alla scelta della legge che definisce le proprietà dei materiali, va fatto anche nella scelta dell’utilizzo di una shell esterna al modello che mi identifichi l’osso corticale. L’utilizzo di una legge che fornisce proprietà particolarmente deboli, risulta indicata nell’utilizzo della shell, a differenza della scelta di una legge che conferisce proprietà meno malleabili.

Generalmente si preferisce utilizzare la prima opzione, data l’evidente differenza elastica tra l’osso corticale e trabecolare delle vertebre.

Le proprietà assegnate alla shell dovranno inoltre rispecchiare nel miglior modo possibile quelle che identificano l’osso corticale, prendiamo come esempio Imai (che alla fine rappresenta il comportamento generale in letteratura) che assegna una rigidezza di 10 GPa e un coefficiente di Poisson di 0,4 [29].

Noi, parallelamente alla scelta di voler testare due differenti leggi, abbiamo deciso di verificare entrambe le scelte in funzione delle proprietà assegnate.

Variabili di output

Analizzando da letteratura gli studi principali riguardanti i modelli con elementi finiti di singole vertebre o di segmenti vertebrali del tratto toraco-lombare con coinvolgimento metastatico, si è cercato di capire anche quali fossero le principali grandezze morfologiche legate all’effettivo rischio di frattura; in seguito queste sono state suddivise in: fattori biomeccanici di rischio, variabili morfologiche e variabili di carico; noi, per l’applicazione che faremo nel nostro studio, ci soffermeremo sulla prima famiglia di grandezze dove, ad oggi, la più grande limitazione è che non sono state definite delle soglie per le quali si passa da una condizione di sicurezza ad una di instabilità.

Con fattore di rischio andiamo a definire quel valore di output sperimentale che è correlato con l’avvento di una frattura, questi valori sono:

• Vertebral Bulge (VB): si intende il massimo rigonfiamento radiale del corpo vertebrale quando è sottoposto ad un carico, viene misurato lungo la linea mediana nel piano trasversale in direzione postero-anteriore; rappresenta il

44 fattore di rischio maggiormente identificativo per quanto riguarda il tipo di frattura più pericoloso che è quello per esplosione [31];

• Load induction canal narrowing (LICN): rappresenta il restringimento del canale midollare indotto dal carico applicato;

• Posterior wall tensile hoop strain (PWTHS): rappresenta la deformazione cerchiante della parete posteriore;

• Axial displacement (VH);

• Axial strain (ε-strain);

• Hoop strain (ε-hoop);

• Pressione ai pori (POR): rappresenta la massima pressione nei pori dell’osso trabecolare di una vertebra.

Tutti questi fattori, ovviamente, in presenza di elementi metastatici all’interno della vertebra, presentano delle alterazioni importanti tanto quanto è influente la metastasi.

In particolare, il fattore LICN risulta altamente correlato con il VB (𝑅2=0.992) ma nonostante ciò non viene identificato come un fattore importante nella valutazione dei modelli [31]; anche l’ε-hoop è fortemente correlato con il VB (𝑅2=0.93) e, dato che sia l’ε-hoop che il LICN sono valori che al loro aumentare aumentano il rischio di frattura, il VB viene inteso come la misura principale con il quale si definisce il rischio di frattura.

Parallelamente a VB e ε-hoop, in questo studio abbiamo deciso di dare importanza anche a ε-strain e VH in funzione dello scopo del progetto di tesi.

Il criterio a rottura

La definizione di questo criterio ha lo scopo di stabilire se lo stato tensionale dell’elemento strutturale analizzato è tale da provocare il cedimento inteso come rottura o snervamento [32], questo si basa sul mettere in relazione i parametri critici del materiale, la tensione di rottura o snervamento ottenute tramite prove a trazione o, come in questo caso, a compressione, con la resistenza del campione coassiale al carico [32].

Il criterio a rottura è definito tramite una legge che può essere lineare o non lineare:

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• Nell’ipotesi di legge lineare, generalmente si persegue la strada dell’elemento elastico lineare, di cui è semplice arrivare a soluzione; il nostro caso di studio preliminare si presenterà di fatto come limitato a tale rappresentazione, la complessità e la bontà del modello andrà ad aumentare insieme all’aggiunta di leggi non lineari adeguate;

• Perseguendo invece la strada di una legge non lineare, ovviamente andremo ad aumentare la complessità del modello in analisi, inserendo, ad esempio, comportamenti elastici non lineari o leggi plastiche; in particolare, in seguito allo studio bibliografico condotto, i criteri a rottura maggiormente incontrati sono stati:

a) Criterio di Drucker-Prager: è una generalizzazione del criterio di Mohr-Coulomb ed è dipendente dalla presenza di una pressione [33]; l’articolo ricondotto da Imai, già presentato nel corso del paragrafo, utilizzando questo criterio ha permesso di ottenere notevoli risultati, pur essendo non molto utilizzato in letteratura abbiamo deciso di soffermare la nostra attenzione su di esso per capirne i vantaggi ottenibili;

b) Criterio di Von Mises: è un criterio trattante i materiali duttili, isotropi e con uguale resistenza sia a trazione che a compressione;

ha origine dal principio secondo cui lo snervamento del materiale si raggiunge quando l’energia di deformazione distorcente raggiunge un valore limite [34]; si presenta come il criterio maggiormente utilizzato in letteratura.

Questo lavoro di tesi, come già detto, trattandosi di un modello elastico lineare, non si incentrerà sulla definizione del criterio, lasciando il compito agli studi successivi a questo. Comunque, l’intenzione comune è quella di poter implementare il criterio di Drucker-Prager utilizzato in modo da svolgere un confronto diretto col gold standard.

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