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La chiamata per comunanza di causa

La prima ipotesi contemplata dall‟art. 106 c.p.c. concerne la chiamata di terzo per comunanza di causa: “Ciascuna parte può chiamare nel processo un terzo al quale ritiene comune la causa (...)”.

La causa è comune al terzo quando il rapporto dedotto in giudizio e quello facente capo al terzo hanno in comune almeno uno degli elementi oggettivi, ossia quando esiste un vincolo di connessione oggettiva per il petitum o per la causa petendi.

Si tratterebbe, a ben vedere, di chiamare in causa quegli stessi soggetti che avrebbero potuto intervenire volontariamente ai sensi dell‟art. 105 c.p.c.27, dispiegando, cioè, un intervento principale, volto a far valere nei confronti di tutte le parti del processo un diritto incompatibile con quello vantato dalle stesse ovvero un intervento adesivo autonomo, finalizzato a far valere un diritto compatibile con quello originariamente affermato in giudizio e che è a quest‟ultimo connesso per identità del titolo o dell‟oggetto28.

Si pensi, ad esempio, con riguardo alla prima ipotesi, alla chiamata del c.d.

terzo pretendente, ossia di quel soggetto che si afferma titolare di una pretesa strettamente connessa ed incompatibile con quella oggetto del processo pendente.

Ciò si può verificare in un giudizio di rivendica ex art. 948 c.c., nell‟ambito del quale il convenuto, che contesta la titolarità attiva dell‟attore, chiama in causa il terzo pretendente, che si afferma effettivo titolare del medesimo diritto di proprietà, oppure nel caso in cui il debitore, convenuto dal creditore, chiami in

27 Art. 105 c.p.c.: “Ciascuno può intervenire in un processo tra altre persone per far valere, in confronto di tutte le parti o di alcune di esse, un diritto relativo all'oggetto o dipendente dal titolo

dedotto nel processo medesimo.

Può altresì intervenire per sostenere le ragioni di alcuna delle parti, quando vi ha un proprio interesse”.

28 Sulla corrispondenza fra i concetti di comunanza di causa ex art. 106 c.p.c. e di connessione ex art. 105 c.p.c. si vedano: VERDE, Profili del processo civile, I, Napoli, 2002, 253; CONSOLO, Spiegazioni di diritto processuale civile, Tomo II, Profili Generali, Milano, 2008, 440.

giudizio il terzo che si afferma essere il vero creditore, al fine di stabilire con certezza chi sia il vero titolare del diritto di credito. La chiamata del terzo pretendente realizza un interesse di economia processuale, in quanto mira ad evitare l‟eventualità di un secondo processo relativo alla titolarità del medesimo diritto fra chi ha vinto la prima causa ed il terzo29. Il convenuto, ottenendo l‟estensione del giudicato nel confronti del terzo, eviterà, dunque, il rischio di subire una doppia condanna.

Se, al contrario, il convenuto contesta la propria legittimazione passiva, quest‟ultimo, ed anche l‟attore, possono effettuare la chiamata del c.d. vero obbligato. A tal proposito, si segnala che esiste un contrasto di vedute tra chi ritiene che la chiamata del terzo responsabile da parte del convenuto estenda automaticamente al terzo la domanda dell‟attore30 e chi31 esclude che il giudice possa condannare il terzo, qualora l‟attore non chieda espressamente la condanna anche di quest‟ultimo, estendendo nei suoi confronti la propria domanda principale. L‟opinione prevalente, anche perché rispondente al principio di economia processuale, è la prima di quelle richiamate, in quanto, qualora il convenuto chiami in causa un terzo, definendolo quale vero legittimato passivo, la domanda dell‟attore non può che estendersi automaticamente a quest‟ultimo

29 Cfr. CONSOLO, op. cit., 442. L‟Autore osserva che alla chiamata di terzo è sottesa una ratio di economia e concentrazione delle attività processuali, finalizzata ad evitare la possibilità di un secondo processo tra una delle parti e il terzo. Infatti, “se il convenuto non chiamasse il terzo o se, magari, questi non intervenisse volontariamente, una volta conclusosi, non avrebbe ancora definito la possibile controversia tra colui che ne è risultato vincitore e il terzo pretendente pu già palesatosi e non sarebbe pertanto eliminata la possibilità di un nuovo processo, relativo alla titolarità dello stesso diritto fra chi ha vinto la prima causa e il terzo”.

30 Cfr. SASSANI, Lezioni di diritto Processuale Civile, Napoli, 2006, 269: “Ritiene infatti la giurisprudenza che se, per es., il convenuto citato per responsabilità da danneggiamento indichi quale vero responsabile un altro soggetto, la chiamata di quest'ultimo lo renda automaticamente soggetto alla domanda senza bisogno di esplicita estensione soggettiva da parte dell'attore”. In senso conforme, ex multis: Cassazione 5 giugno 2007, n. 13165; Cassazione 26 gennaio 2006 n.

1522. In www.cortedicassazione.it.

31 Cfr. CONSOLO, op. cit., 448: “La mera chiamata in causa del terzo posta in essere dal convenuto non consente al giudice di condannare il terzo chiamato per il rispetto del principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato di cui all'art. 112 c.p.c.”.

poiché, in effetti, la quaestio è proprio quella di individuare il vero responsabile nell‟ambito di un rapporto che è oggettivamente unico32.

Con riferimento, invece, alla seconda ipotesi citata, possiamo pensare al caso del venditore chiamato in causa dall‟acquirente, convenuto in giudizio con un‟azione di rivendica. L‟acquirente, cioè, chiama in giudizio il venditore, al fine di estendere a quest‟ultimo l‟efficacia vincolante del giudicato di accertamento che verrà in essere e poter, dunque, agire successivamente nei suoi confronti mediante l‟azione relativa alla garanzia per evizione di cui all‟art. 1483 c.c.

Altre ipotesi che vengono ricondotte alla chiamata per comunanza di causa sono quelle concernenti il titolare di un rapporto dipendente rispetto a quello principale. È il caso della chiamata in causa, ad opera del fideiussore convenuto, del debitore principale, al fine di fare partecipare quest‟ultimo al processo, in qualità di parte, per poter successivamente agire in regresso nei suoi confronti per l‟esborso effettuato. Oppure, è possibile chiamare in causa il terzo titolare di un rapporto pregiudiziale: si pensi ad un ente previdenziale che convenga in giudizio il datore di lavoro per far valere una pretesa contributiva relativamente ad un determinato rapporto di lavoro fra questi ed un certo lavoratore. Ebbene, il lavoratore può essere chiamato in causa affinché quel rapporto (pregiudiziale) venga accertato, incidentalmente, con efficacia di giudicato estesa anche nei suoi confronti33.

32 FINOCCHIARO, CORSINI, La giurisprudenza, op. cit., 1146-1147. L'Autore precisa che in tal caso si determina un ampliamento della controversia originaria, sia dal punto di vista oggettivo, sia in senso soggettivo. Di conseguenza, nell'ipotesi in cui il giudice ritenesse quale responsabile il terzo chiamato, la mancata condanna di questo comporterebbe un'omessa pronuncia sulla domanda risarcitoria dell'attore, implicitamente rivolta anche nei suoi confronti.

33 Cfr. CONSOLO, op. cit., 447.