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Chiavi di lettura e struttura del sermonario damianeo

Nel documento DOTTORATO DI RICERCA IN Studi storici (pagine 97-103)

III. I L SERMONARIO DI SAN P IER D AMIANI TRE RETORICA , AGIOGRAFIA E PUBBLICO

III.1. Chiavi di lettura e struttura del sermonario damianeo

Nulla vietava a Pier Damiani di dettare comodamente, nella pace del suo amato eremo, i suoi testi agli scrivani; magari dei testi pensati a tavolino con degli uditori fittizi ma più adatti a un determinato tipo di messaggio o a un particolare racconto agiografico.

Il discorso a questo punto si complica, la rielaborazione delle prediche in vista della loro diffusione scritta risulta essere palese, al contempo però vengono mantenuti molti riferimenti alla biografia dell’autore e alle vicende che ne hanno segnato il percorso.

Certo, la scelta dei sermoni da inserire è oculata e la scrematura rilevante, ma in che

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misura questi sermoni possono essere letti come fonte storica e non solo letteraria? Dove si trova il confine tra la schematicità del genere scrittorio e la relativa spontaneità dell’oralità propria dell’omiletica?

L’intento politico nel sermonario è tralasciato, volontariamente espunto. Tuttavia, i testi omiletici di ogni epoca possono essere letti a più livelli. Il primo è sicuramente quello immediato che l’autore intendeva trasmettere. Un esempio può essere quello dell’inciso presente nell’Actus Mediolani, un discorso diretto scritto dallo stesso Pier Damiani volto ad esaltare il primato petrino e declamato nella cattedrale milanese.1 Qui le formule liturgiche e i topoi propri della predicazione sono assenti, il lavoro di scrematura è stato fatto proprio per sottolineare l’estraneità del discorso alla predicazione ufficiale ed esaltarne la valenza politica, la forza dell’eloquenza che convince i cittadini milanesi. L’utilità per lo studioso è immediata, la sola lettura del testo aiuta a comprendere le idee e gli intenti del predicatore permettendo di tracciarne un profilo da confrontare con altri modelli e da interpretare in chiave storica.

Un secondo livello è quello fornito dagli exempla, tipici della predicazione. il popolo ha bisogno di elementi concreti per comprendere le Scritture e il disegno divino ma anche e soprattutto gli intenti morali del predicatore. Pier Damiani è una fonte instancabile di exempla, le lettere ne sono piene, sia quelle indirizzate ai potenti, sia quelle rivolte alle masse. Lo scopo è quello di istruire attraverso dei racconti esemplari. Ma dove attingerli? Potremmo dividere le fonti damianee in tre macro-gruppi: le Sacre Scritture, le fonti agiografiche, i racconti edificanti tratti dalla contemporaneità. Senza dubbio l’efficacia procede dall’ultimo al primo in maniera discendente e proporzionale. In questo secondo caso, lo storico può trarre insegnamenti utilissimi per lo studio della mentalità dell’epoca o della società stessa; spesso nei racconti contemporanei sono presenti informazioni preziosissime su usi e costumi di un determinato luogo o dei diversi ceti sociali, sulle dinamiche sociali e sui rapporti relazionali tra quegli stessi ceti, sul ruolo degli ecclesiastici nella vita quotidiana dei fedeli o anche sul modo di governare dei potenti.

Il terzo e ultimo livello è certamente il più complicato da comprendere, lo storico può facilmente cadere nella sovra interpretazione di alcuni elementi, il classico rischio di

1 MGH, Briefe 4,2, pp. 228-247.

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far dire alla fonte ciò che effettivamente non dice, piegarla alle proprie esigenze di ricerca.

La fonte in sé non soddisfa le aspettative di ricerca o non si inserisce con chiarezza e facilità entro un percorso inizialmente auspicato. O, d’altra parte, la fonte può fornire dati interessanti su più di un livello.

Il discorso risulta abbastanza teorico, tuttavia, serve a comprendere meglio l’utilità in chiave storica dei sermoni damianei. Il primo dei tre livelli è pressoché assente in questi testi, mentre per il secondo si ha una funzione degli exempla che affronterò più avanti. Il terzo livello è quello su cui maggiormente conviene soffermarsi: leggere il testo dietro il testo. Smembrare il singolo sermone al fine di coglierne meglio gli intenti e poter leggere in filigrana ciò che l’autore non dice esplicitamente. Per far ciò ritengo opportuno partire da un’analisi schematica ma chiarificatrice della struttura2 dei sermoni di Pier Damiani.

Nonostante i sermoni vengano pronunciati nei luoghi e nelle occasioni più disparate, si possono individuare dei tratti comuni a tutta la produzione omiletica damianea che permettano una maggiore comprensione e contestualizzazione della predica stessa, tracciandone uno schema di fondo comune a riprova dell’accorta opera di revisione ma anche della grande accuratezza nella recita degli stessi, che lascia poco spazio all’improvvisazione orale.

I sermoni possono essere suddivisi in quattro parti ben distinte tra loro:

1. Introduzione. L’autore introduce i fedeli alla celebrazione del santo o dell’occasione che li ha spinti a riunirsi. Vi sono spesso apostrofi agli astanti, alla città in cui il sermone fu pronunciato, alla gioia della festività.

2. Corpo del sermone. Trattando del Mistero o della Vita del santo, egli si fa scrupolo di citare le fonti utilizzate. In alcune occasioni viene enunciato come il sermone segua la lettura della Passio. Non mancano riflessioni sull’etimologia del nome del santo.

Il racconto, se lungo, viene spezzato e commentato, sovente accompagnato da parallelismi tratti dalle Sacre Scritture.

3. Esortazione finale. Il tema morale è qui dominante, spiega come i fedeli debbano seguire l’esempio del santo celebrato. Talvolta ritorna in quest’occasione l’apostrofe alla città sede della celebrazione.

2 Lucchesi G., Il sermonario di s. Pier Damiani come monumento storico agiografico e liturgico,

"Studi gregoriani" 10 (1975), p. 7-68; ora anche in Scritti minori di Giovanni Lucchesi, Società Torricelliana di scienze e lettere, Faenza 1983, pp.116-155.

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4. Dossologia finale. In questo frangente si coglie come i sermoni vengano composti con finalità liturgiche e si concludono con un’acclamazione dell’oratore cui risponde il popolo.

L’obiettivo di studiare i sermoni come fonte storica non è una novità storiografica.

Già Giovanni Lucchesi in «Studi gregoriani» si era posto questo problema3; lo stesso autore dice nell’introduzione al saggio: «Qui si intende studiarli [i sermoni] come fonte storica, per conoscere più da vicino le linee fondamentali dell’agiografia del sec. XI, per illustrare in essi la liturgia della predicazione di quel tempo, per ricavarne anche dati e date della biografia del Santo».4 Scomporre i sermoni per poi ricomporli in nuclei tematici e affinità strutturali è ciò che compie nelle pagine successive Lucchesi, ma questa frase è interessante perché aiuta a comprendere come il fine della sua analisi non andasse troppo oltre il profilo biografico di Pier Damiani. Il riferimento all’agiografia del secolo XI potrebbe risultare fuorviante, ciò che in realtà cerca l’autore sono le fonti utilizzate da Pier Damiani per comporre i suoi sermoni fondati sulle Vitae e le Passiones dei santi.

Già in Clavis s. Petri Damiani5, il Lucchesi individua i sermoni sicuramente autentici e questo rappresenta un ottimo punto di partenza nella nettatura di un corpus che sarebbe altrimenti tanto più ampio quanto fuorviante. Riprendo in questa sede l’elenco dei suddetti sermoni individuati come autentici da Lucchesi tra quelli presenti nel Migne6, e coincidente con l’edizione più recente del corpus damianeo pubblicata dalla casa editrice Città Nuova7:

3 Ibidem.

4 Ibidem, p.116.

5 Lucchesi G., Clavis s. Petri Damiani, in Studi su s. Pier Damiano in onore del cardinale Amleto Giovanni Cicognani, Faenza, Seminario vescovile Pio XII, 19611ed., 19702ed. (Biblioteca cardinale Gaetano Cicognani, Studi, 5), p. 249-407 (1ed.), p. 2-215(2 ed.).

6 S. Petri Damiani, S. R. E. cardinalis ... Opera omnia, collecta primum ac argumentis et notationibus illustrata studio ac labore domini Constantini Cajetani ... accessere S. Petri Damiani opuscula nonnulla ab eminentissimo cardinale Maio recens edita, Lutetiae Parisiorum, J.P. Migne, 1853. (vol. 114-145 di Patrologia latina).

7 Petri Damiani, Sermones (II-XXXV). Pier Damiani, Sermoni (2-35), a cura di Ugo Facchini e Lorenzo Saraceno, traduzioni di L Vigilucci, A. Dindelli, L. Saraceno, Città Nuova, Roma 2013 (Opere di Pier Damiani 2/1).

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Sermo II.---De Translatione S. Hilarii episcopi Pictaviensis et confessoris.

Sermo III.---De sancto Anastasio monacho et martyre.

Sermo IV, V---De S. Severo episcopo Ravennate et confessore.

Sermo VI.---De sancto Eleuchadio, episcopo Ravennate et confessore.

Sermo VIII.---In vigilia S. Benedicti abbatis et confessoris.

Sermo X.---In Coena Domini.

Sermo XIII.---De s. Georgio martyre.

Sermones XIV, XV, XVI---De s. Marco evangelista.

Sermo XVII/1, XVII/2---De S. Vitale martyre.

Sermo XVIII.---De Inventione sanctae crucis.

Sermo XIX.---De sancto Anthimo martyre.

Sermo XX.---De sancto Bonifacio martyre.

Sermo XXI.---De Spiritu sancto et ejus gratia.

Sermo XXII.---De SS. Laurentino et Pergentino.

Sermo XXIV, XXV.---In Nativitate S. Joannis Baptistae.

Sermo XXVIII.---De S. Alexio confessore.

Sermo XXX, XXXI, XXXII---De S. Apollinare episcopo Ravennate et martyre.

Sermo XXXIII.--- De S. Christophoro martyre.

Sermo XXXIV, XXXV---De SS. Flora et Lucilla virgine et martyre.

Sermo XXXVI.---De sancto Rufino martyre.

Sermo XXXVII.---De S. Stephano papa et martyre.

Sermo XXXVIII.---De SS. Donato et Hilariano martyribus.

Sermo XXXIX.---De sancto Cassiano martyre.

Sermo XLI, XLII---De S. Bartholomaeo apostolo.

Sermo XLV, XLVI---In Nativitate beatissimae Virginis Mariae.

Sermo XLVIII.---De Exaltatione S. Crucis.

Sermo XLIX, L, LI---De S. Matthaeo apostolo et evangelista.

Sermo LIII.---De S. Luca evangelista.

Sermo LIV.---De S. Fidele martyre.

Sermo LVII.---De S. Andrea apostolo.

101 Sermo LXI.---Homilia in Nativitate Domini.

Sermo LXIII, LXIV---De S. Joanne apostolo et evangelista.

Sermo LXV.---De S. Barbatiano presbytero et confessore.

Sermo LXVI.---De S. Columba virgine et martyre.

Sermo LXVII, LXVIII---In Natali Virginum.

Sermo LXXII.---In Dedicatione ecclesiae.

Sermo LXXIII.---De vitio linguae.

Sermo LXXIV.---De spirituali certamine.

Sermo LXXV.---Sermonis synodalis fragmenta.

Il primo passo verso la piena comprensione dell’opera letteraria è sicuramente la contestualizzazione. L’analisi del contesto non deve essere qui intesa in senso storico o geografico, ma di produzione. Ho già parlato del fiorente scriptorium avellanita, tuttavia bisogna comprendere come lo stesso eremita componesse i suoi scritti, immaginare l’elaborazione mentale prima e la dettatura poi compiute nell’eremo cui fu tanto legato.

Dapprima ci sarebbero da analizzare le sue fonti, del resto la maggior parte dei sermoni sono delle brevi agiografie commentate. Per questa ragione il Damiani deve aver avuto a disposizione un repertorio agiografico da cui attingere i racconti sulle vite dei santi prima della loro rielaborazione finalizzata all’attività omiletica. A partire da tale constatazione si crea uno iato nell’approccio esegetico al sermonario; infatti si deve compiere una distinzione netta tra la produzione scritta dei sermoni e l’occasione in cui furono pronunciati.

Si tratta di un problema che ho già sottolineato e che ha indirizzato nettamente le scelte della storiografia nel momento di occuparsi del sermonario. La prima delle due piste è quella certamente più battuta. Il motivo è chiaro: una ricostruzione critica della rielaborazione scritta damianea a partire da uno studio di tipo filologico che possa ricondurre alle fonti utilizzate rappresenta innegabilmente il canale più sicuro entro cui navigare. I manoscritti parlano in maniera più chiara se vogliamo analizzare questo aspetto, abbiamo i testi su cui eseguire un simile lavoro e le certezze ricavabili sono certamente meno opinabili di quanto non lo sia una lettura incentrata sull’oralità.

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Riprendo in proposito due frasi di Lucchesi8: «Un tal rifacimento letterario delle sue prediche, […], è indubbiamente anche il frutto del piacere di scrivere che è una nota caratteristica del nostro santo». Invece, più avanti aggiunge: «Crediamo trattasi di un’utilizzazione pastorale […]; oppure che abbia inteso rifornire di una lezione propria un’officiatura troppo generica di Santi pressoché sconosciuti». Da un lato la certezza, dall’altra il dubbio. È a questo punto che lo studio di Lucchesi procede concentrandosi più sugli aspetti pratici della composizione dei sermoni e sulle fonti agiografiche utilizzate. Non è mia intenzione criticare una scelta certamente motivata o accusare mancanza d’ardire nel provare ad approfondire degli aspetti tanto incerti quanto rischiosi;

anzi trovo che lo scritto di Lucchesi sia un punto di partenza ineliminabile per procedere in questa trattazione, configurando a questo punto i due tipi di lettura dei sermoni non come qualcosa di complementare, bensì di consequenziale. Le fonti usate, la struttura degli scritti, la liturgia sono tutti elementi fondamentali per poi procedere verso quella fase che precede la produzione scrittoria e che porta direttamente al rapporto tra il predicatore e gli uditori.

Tuttavia, se i manoscritti possono fornire informazioni preziose, come detto, in merito alle fonti utilizzate dall’Avellanita, è anche vero che l’elaborazione e l’ufficio della predicazione trovano spazio all’interno della riflessione damianea non solo nell’epistolario, ma anche in alcuni testi del sermonario stesso. Si tratta di un ragionamento che, vista la collocazione, potremmo definire “metapredicatorio”, in quanto il discorso sulla comunicazione orale in forma di sermone viene utilizzato per conferire maggior efficacia retorica al sermone stesso.

Nel documento DOTTORATO DI RICERCA IN Studi storici (pagine 97-103)

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