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3. I RAPPORTI CON LA LIBIA

3.1 Il colpo di Stato

La Libia, Stato indipendente dal 24 dicembre 1951, era una monarchia guidata da Re Idris I210. La notte tra il 31 agosto e il 1°

settembre 1969, approfittando dell’assenza del sovrano, il quale si trovava in vacanza in Turchia, un gruppo di giovani ufficiali mise in atto un colpo di Stato, nome in codice: “Operazione Gerusalemme”211. In meno di cinque ore gli ufficiali riuscirono a

prendere il controllo dei punti strategici, come caserme, aeroporti e stazioni radio, e proclamarono la “Repubblica Araba Libica”. In un primo momento, la stampa italiana “guardava con simpatia al colpo di Stato libico”212, nonostante nessuno sapesse chi fossero i golpisti

e quali fossero le loro intenzioni: solamente l’8 settembre fu chiaro che era stato il capitano, promosso colonnello sul campo, Muammar Gheddafi a guidare il golpe213.

Il Consiglio della Rivoluzione si presentò alla comunità internazionale con un immagine moderata e affermò la volontà di rispettare i Trattati internazionali stipulati dalla monarchia214. Il

210

Sul regno di Idris I si veda: A. Del Boca, Gli italiani in Libia. Dal fascismo a Gheddafi, ed. Laterza, Roma-Bari 1981, p. 428-459

211

Il nome scelto per l’operazione era un omaggio al movimento di liberazione palestinese, Ivi, p. 461

212

Ivi, p. 463

213

I nome degli altri 11 componenti del Consiglio del Comando della Rivoluzione furono resi noti solo nel gennaio 1970. Ivi, p. 464

214

motivo risiedeva nella “duplice insicurezza di Gheddafi”215, ovvero il

timore di una contro-rivoluzione e i sospetti verso gli elementi più moderati del Consiglio della Rivoluzione. Per la diplomazia italiana la preoccupazione principale, almeno in un primo momento, riguardava l’atteggiamento che gli Stati Uniti e la Gran Bretagna avrebbero assunto nei confronti della deposta monarchia libica. Le due grandi potenze, per non compromettere la propria politica nell’area, non raccolsero le richieste di intervento per ristabilire lo status quo ante. Il 4 settembre il Consiglio del Comando della Rivoluzione avanzò la richiesta di un riconoscimento formale del nuovo regime. La Farnesina era orientata a procedere ad un rapido riconoscimento al fine di mantenere buon relazioni216, mentre il

ministro degli Esteri Aldo Moro avrebbe preferito trovare una soluzione concordata con Stati Uniti e Gran Bretagna217. La linea

dello statista pugliese prevalse e si procedette al riconoscimento pochi giorni dopo. “L’esigenza di non arrivare in ritardo prevalse su qualsiasi altra considerazione”218. L’obiettivo principale dell’Italia, e

di tutto l’Occidente, era quello di mantenere la Libia nel campo occidentale, o almeno neutrale, evitando di ripetere l’errore commesso con l’Egitto di Nasser219. L’Italia riteneva il paese

215 M. Cricco, Gheddafi e la nuova strategia del petrolio in Libia (1970-73), in Diplomazia delle

risorse. Le materie prime e il sistema internazionale nel Novecento. (Atti del Convegno di

Urbino – 11-12 dicembre 2001) a cura di M. Guderzo e M. L. Napolitano, Polistampa, Firenze 2004, p. 231

216 A. Varvelli, L’italia e l’ascesa di Gheddafi. La cacciata degli italiani, le armi e il petrolio

(1969-1974), Baldini Castaldi Dalai editore, Milano 2009, p. 38

217 Ivi, p. 39 218 Ivi, p.40 219 Ivi, p. 49-50

nordafricano di importanza strategica, non solo per i rifornimenti energetici, ma anche per l’interscambio commerciale220. Inoltre, il

governo italiano era preoccupato di tutelare adeguatamente la comunità italiana presente in Libia. Secondo Varvelli, fu “sopravvalutata l’importanza economica dell’Italia per la Libia e sottovalutata invece la dipendenza energetica italiana”221.

Gheddafi iniziò a mostrare le vere intenzioni del regime il 16 ottobre, quando espose i cinque “princìpi di azione del governo”, tra cui “l’estromissione dal territorio libico di qualsiasi presenza straniera”222. Il passo dalle parole ai fatti fu breve e lo stesso

giorno il Colonnello “invitò” Stati Uniti e Gran Bretagna ad evacuare le basi militari presenti sul territorio libico223. Il nuovo regime si

presentava come “nazionalista e riformista all’interno, antimperialista e panarabo in politica estera224”.

L’Italia, sottovalutando le motivazioni di politica interna che spingevano Gheddafi, riteneva che le sarebbe stato riservato un trattamento privilegiato. Se questo poteva essere vero per le grandi compagnie industriali italiane, lo stesso non valeva per la comunità italiana residente in Libia. Nel mese di novembre furono libicizzate le banche italiane e agli italiani fu imposto il divieto di vendita delle proprietà immobiliari225. Verso la fine dell’anno, la

220

La Libia era il primo partner commerciale italiano in Africa e il settimo nel mondo. A. Del Boca, Gli italiani in Libia.., op. cit., p. 481

221 A. Varvelli, L’Italia e l’ascesa di Gheddafi.., op. cit., p.63 222

R. De Felice, Ebrei in un paese arabo, cit., p.428

223

A. Varvelli, L’Italia e l’ascesa di Gheddafi.., op. cit., p. 64

224

A. Del Boca, Gli italiani in Libia.., cit., p. 465

225

diplomazia italiana cercò la mediazione di Nasser, al fine di aprire un canale di dialogo con il regime libico226. La maggior

preoccupazione dell’Italia, secondo l’allora Segretario Generale del Ministero degli Esteri, era che i provvedimenti anti-italiani “potessero ispirare misure analoghe in altri paesi arabi e in altre ex colonie italiane”227. L’azione diplomatica non portò a risultati

rilevanti, anche per la “riluttanza a compiere il ruolo di mediazione”228 da parte degli egiziani. Inoltre, la Farnesina

sopravvalutò la buona volontà dell’Egitto, che, in caso di allontanamento della comunità italiana, avrebbe potuto riassorbire la propria forza lavoro in Libia229.

In seguito a dissidi interni al governo230, il 16 gennaio 1970

fu varato un rimpasto di governo e Gheddafi cumulò contemporaneamente diverse cariche importanti: Capo dello Stato, Primo Ministro, ministro della Difesa, capo del Consiglio del Comando della Rivoluzione, Presidente del Consiglio della Difesa e del Comitato supremo del Piano. Assunse in questo modo “un potere senza limiti, mai visto in Libia”231.

226

R. Gaja, L’Italia nel mondo bipolare, il Mulino, Bologna 1995, p. 186

227

Ibidem

228

A. Varvelli, L’Italia e l’ascesa di Gheddafi.., op. cit., p. 84

229 Ivi, p. 86 230

Gheddafi voleva riunire il mondo arabo, e a tal fine, nel dicembre 1969, mise a punto con Nasser un progetto di unificazione tra Libia e Egitto. I ministri degli Interni e della Difesa libici criticarono apertamente il progetto e furono arrestati. Il 27 dicembre fu firmata la Carta di Tripoli con il Presidente egiziano Nasser e il Presidente sudanese Gaafar Nimeiri. Il progetto, come altri messi a punto negli anni seguenti, fallì. A. Del boca, Gli italiani in Libia.., op. cit., p. 467; P. Borusso, L’Italia e la crisi della decolonizzazione, in A. Giovagnoli, S. Pons (cura di),

Tra guerra fredda e distensione, Rubettino, Soveria Mannelli 2003, p. 397-398

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