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8   COMPLICANZE ACUTE E CRONICHE DEL DM1 29

8.2   Complicanze croniche del DM1 49

Le complicanze croniche del DM colpiscono molti organi ed apparati, e sono le responsabili di mortalità e morbidità dei pazienti diabetici 12032.

Esse possono esser concettualmente divise in:

-MICROVASCOLARI: Retinopatia, Nefropatia, Neuropatia diabetica;

-MACROVASCOLARI: Coronaropatia, Arteriopatia periferica, Vasculopatia cerebrale; -ALTRO: oculari (cataratta, glaucoma), malattia periodontale, maggior suscettibilità ad alcune tipologie di infezioni, manifestazioni dermatologiche.

Il rischio di complicanze croniche aumenta in funzione della durata della iperglicemia; in genere diventano manifeste clinicamente nella seconda decade di iperglicemia, anche se anomalie subcliniche sono detectabili anche dopo pochi anni dall’esordio. Infatti, le linee guida, come quelle della ADA 2014 18 o quelle di importanti società pediatriche come la ISPAD 121 suggeriscono opportuni screening.

Dal momento che nel DM2 vi può essere un lungo periodo asintomatico, buona parte degli individui, alla diagnosi presenta già complicanze.

Le complicanze microvascolari sono il frutto dell’iperglicemia cronica ed ampi studi clinici randomizzati, condotti sia su pazienti DM1 che su pazienti DM2, hanno dimostrato in maniera incontrovertibile che il controllo glicemico riduce il rischio di svilupparle. Anche altri fattori, non ben definiti, giocano un ruolo nello sviluppo delle complicanze microvascolari, come suggerisce ad esempio il fatto che alcuni le sviluppino nonostante un ottimo controllo glicemico, od all’opposto, il fatto che altri non le sviluppino malgrado un pessimo controllo glicemico, o che magari tendano a svilupparne di un tipo ma non di un altro, ad esempio la nefropatia ma non la retinopatia.

Probabilmente vi è un importante ruolo della genetica,cioè vi è una suscettibilità genetica allo sviluppo di particolari complicanze.

Tuttavia i loci responsabili di questa suscettibilità non sono ancora stati identificati.

L’iperglicemia gioca un ruolo importante anche nello sviluppo delle complicanze macrovascolari, e nel prosieguo della trattazione se ne parlerà più dettagliatamente.

Qui ricordiamo solo che questo aspetto vale sia per DM2 che per DM1; in passato, invece, si tendeva erroneamente ad associare il DM2 con la macroangiopatia ed il DM1 con la microangiopatia 3, 122.

Meccanismi delle complicanze croniche

Sebbene l’iperglicemia sia ritenuta l’elemento scatenante, e forse non l’unico, per lo sviluppo delle complicanze croniche, i passaggi intermedi mediante i quali si determina il danno d’organo non sono perfettamente noti, ed all’oggi bisogna purtoppo accontentarsi solo di quattro ipotesi patogenetiche, raccordate da un possibile meccanismo unificante 32.

La prima ipotesi è che l’iperglicemia determini la formazione di AGEs, “Advanced glycosylation end products”, ovvero i prodotti terminali della glicosilazione avanzata. Secondo questa ipotesi, l’aumento della concentrazione del glucosio intra ed extracellulare, determina la glicosilazione non enzimatica di proteine intra ed extra cellulari, a livello dei loro gruppi amminici.

Questo a sua volta determina la formazione di legami crociati (per esempio a livello del collagene, della matrice extracellulare), e l’alterazione della struttura e funzione originaria di queste proteine; in ultima analisi queste alterazioni avrebbero una serie di conseguenze sfavorevoli, come l’accelerazione dell’aterosclerosi, induzione della disfunzione endoteliale, alterazioni a livello glomerulare, un’alterata composizione della matrice extracellulare, ecc. .

Il livello sierico di AGEs correla con la glicemia, ed i livelli aumentano ulteriormente se GFR si riduce.

La seconda ipotesi è che l’iperglicemia determini un’aumentata produzione di sorbitolo, attraverso l’enzima aldoso reduttasi; sorbitolo che a sua volta, indirettamente genererebbe ROS.

La terza ipotesi è quella dell’attivazione della via di trasduzione del segnale DAG/PKC, che a sua volta modulerebbe la trascrizione genica, favorendo l’espressione di certi geni ed inibendo l’espressione di altri. Vi sono studi clinici in corso su inibitori della PKC.

La quarta è quella di un incrementato flusso attraverso la via delle esosamine, che genera il fruttosio-6-fosfato, che a sua volta avrebbe una serie di effetti deleteri.

Un possibile meccanismo unificante è che l’iperglicemia, secondo modalità da chiarire, determini un aumento della produzione mitocondriale di ROS; tali ROS a loro volta attiverebbero le quattro vie descritte pocanzi.

Non è noto se vi siano differenze nella patogenesi delle diverse complicanze, cioè se un meccanismo sia più importante dell’altro a seconda della specifico organo colpito.

Va infine aggiunto che i fattori di crescita sembrano svolgere un ruolo importante nello sviluppo delle complicanze, visto che è stato dimostrato che i livelli locali di alcuni di essi aumentano.

Ad esempio quando si sviluppa retinopatia diabetica proliferativa il VEGF aumenta localmente, e le sue concentrazioni si riducono dopo fotocoagulazione laser.

Controllo glicemico e complicanze

Il DCCT (Diabetes Control and Complication Trial) ha fornito prove schiaccianti sul fatto che il controllo glicemico precoce riduca molte delle complicanze del DM1 32 .

Esso è stato un vasto studio multicentrico, condotto su 1441 pazienti con DM1 di recente insorgenza e relativamente giovani.

In quello intensivo i pazienti vennero sottoposti a multiple iniezioni giornaliere (o tramite CSII) e ricevevano un intenso supporto educativo, psicologico e medico. I pazienti che facevano terapia convenzionale erano sottoposti solo a due iniezioni di insulina al giorno ed a supporto nutrizionale, educativo e clinico ogni tre mesi.

L’obiettivo nel primo gruppo era la normoglicemia, nel secondo era la prevenzione dei sintomi del diabete.

Gli individui del trattamento intensivo raggiunsero livelli di HbA1c molto più bassi rispetto a quelli del trattamento convenzionale, cioè 7,3 % versus 9,1 %.

Il DCCT ha dimostrato una riduzione sia dell’insorgenza, che della progressione delle complicanze diabetiche precoci, fondamentalmente le microvascolari: retinopatia, nefropatia e neuropatia.

Ad esser più precisi si riscontrò:

una riduzione dell’incidenza di retinopatia del 76 %,

della progressione della retinopatia (quando già insorta) del 54 %, della comparsa di microalbuminuria del 39 %,

della comparsa di DN del 54 %, di neuropatia diabetica del 60 %.

La riduzione della glicata spiegava più del 90 % dei benefici ottenuti 4, o in altre parole, la maggior parte dei miglioramenti nell’ambito delle complicanze microvascolari era associata statisticamente ad una riduzione della glicata, suggerendo fortemente una relazione causale.

Fig. 8.8. DCCT: percentuale di riduzione delle complicanze microvascolari nel braccio intensivo. Da Mitigating micro- and macro-vascular complications of diabetes beginning in adolescence, Moore et al., 2009

Vi fu una non significativa riduzione degli eventi macrovascolari nel corso dello studio; i motivi erano verosimilmente i seguenti:

-il DCCT aveva una durata media di 6,5 anni (diverso è il discorso follow-up, tramite EDIC, che rappresenta il prosieguo del DCCT), troppo limitata per osservare effetti sulla patologia macrovascolare;

- la maggior parte degli individui era giovane e con breve durata di malattia, quindi c’era un basso rischio CV nel breve termine.

Tuttavia, si vide che il beneficio del controllo intensivo, proseguì oltre il periodo dello studio DCCT, e tale beneficio rimase per le complicanze microvascolari, e comparve per quelle macrovascolari: gli individui sottoposti a controllo glicemico intensivo per un periodo di 6,5 anni, mostravano una riduzione del rischio di ECV (nello studio intesi come infarto miocardico non fatale, stroke, o morte per ECV) del 42-57 % dopo un monitoraggio medio di 17 anni, nonostante dopo il DCCT i valori di Hb glicata convergessero nei due gruppi.

Fig. 8.9. Da Type 1 diabetes, hyperglycaemia, and the heart, Ravi Retnakaran, Bernard Zinman, 2008, Lancet. Andamento delle complicanze macrovascolari nel DCCT/EDIC

Fig. 8.10. Type 1 diabetes, hyperglycaemia, and the heart, Ravi Retnakaran, Bernard Zinman, 2008, Lancet. Modello patogenetico della macroangiopatia nel DM1

Infine, fu stimato che gli individui con controllo intensivo, avrebbero guadagnato 7,7 anni di vista; 5,8 senza ESRD; 5,6 senza amputazione di un arto inferiore e 5,1 anni di aspettativa di vita complessivamente.

Studi simili sono stati svolti per il DM2 seppur con evidenze meno lampanti sugli effetti macrovascolari di un buon controllo glicemico.

Sembravano infatti contare di più altri fattori, come il controllo della pressione arteriosa e del profilo lipidico.

Nefropatia Diabetica nel DM1

La nefropatia diabetica negli USA è la causa principale di ESRD (End Stage Renal Disease), cioè di malattia renale terminale, ed una della maggiori cause di mortalità e morbidità nel DM 32.

La sua patogenesi è correlata all’iperglicemia cronica, attraverso una serie di meccanismi intermedi, tra cui:

-effetti di fattori solubili come l’endotelina, l’angiotensina II, AGEs;

-alterazioni emodinamiche a livello glomerulare: aumentata PCG, iperfiltrazione,

iperperfusione glomerulare;

-modificazioni istopatologiche del glomerulo, come l’espansione mesangiale, l’ispessimento della membrana basale glomerulare, ecc.

Poiché solo il 20-40% dei diabetici sviluppa la nefropatia, devono esistere ulteriori fattori di suscettibilità, alcuni identificati come l’anamnesi familiare positiva per nefropatia diabetica, altri invece non ancora identificati .

La storia naturale della nefropatia diabetica è caratterizzata da una prevedibile sequenza di eventi, che inizialmente furono descritti per DM1, ma che similarmente si verificano nel DM2.

Nei primi anni dall’insorgenza del DM si verificano iperperfusione glomerulare ed ipertrofia renale; il riflesso funzionale è un aumento temporaneo del GFR (STADIO 1). Temporaneo perché poi il GFR torna nella norma, e questo ritorno si associa da un punto di vista istopatologico ad un ispessimento della membrana basale glomerulare, ipertrofia glomerulare ed espansione mesangiale.

Dopo 5-10 anni di DM1, il 40% degli individui inizia ad eliminare piccole quantità di albumina con le urine, è cioè la fase della microalbuminuria (STADIO 2).

La microalbuminuria si definisce come la presenza di 30-300 mg/die di albumina nella raccolta delle urine nelle 24 ore, oppure come 30-300 mg/mg di creatinina in un campione di urine.

Di questi pazienti, solo il 50% è destinato ad evolvere verso la proteinuria franca (> 300 mg/die) nei 10 anni successivi (STADIO 3); negli altri permane la microalbuminuria, oppure regredisce.

Una volta instauratasi la proteinuria franca, vi è un declino inesorabile della GFR negli anni successivi (STADIO 4), che porta almeno il 50% degli individui all’ESRD nell’arco di 7-10 anni.

Note:

- quando si sviluppa microalbuminuria, la pressione arteriosa aumenta lentamente e le alterazioni istopatologiche diventano irreversibili;

- alcuni individui (sia DM1 che DM2) sviluppano insufficienza renale senza micro o macroalbuminuria, per questo è necessario valutare il GFR annualmente utilizzando la creatinina sierica.

Vi sono alcuni aspetti per cui la nefropatia del DM2 differisce da quella del DM1, infatti nel DM2:

1) La microalbuminuria o proteinuria franca può esser già presente al momento della diagnosi (perché spesso asintomatico a lungo il DM2);

2) L’ipertensione arteriosa accompagna la microalbuminuria o la proteinuria franca più frequentemente nel DM2 che nel DM1 ;

3) La microalbuminuria è meno indicativa di progressione verso proteinuria franca nel DM2; oltretutto nel DM2 la microalbuminuria può esser secondaria a fattori non correlati al diabete come l’ipertensione, lo scompenso cardiaco, malattia prostatica o infezioni.

I pazienti affetti da DM sono anche predisposti a sviluppare nefrotossicità da mezzo di contrasto, e quindi in essi va attuata un’adeguata profilassi qualora siano necessarie indagini radiologiche che ne richiedano l’impiego.

Come sarà evidenziato in seguito, nei pazienti DM1 e nefropatia diabetica, vi è uno scatto della prognosi in senso peggiorativo per la malattia macrovascolare.

Che vi sia un rapporto causale o la condivisione di comorbidità/fattori predisponenti tra CVD e malattia renale, questo non è ancora chiaro 3, 11, 123-125.

Cenni di terapia della nefropatia diabetica

La terapia ottimale per la nefropatia diabetica è la prevenzione, attraverso il controllo della glicemia.

Importante è screenare i pazienti allo stadio della microalbuminuria, per esempio con dosaggio annuale della microalbuminuria e stima annuale del GFR tramite la creatinina sierica.

1) controllo glicemico attento; 2) stretto controllo pressorio; 3) trattare con ACE-I o ARB.

Se presente contestualmente dislipidemia, trattarla. Non è chiaro se, in caso di proteinuria franca, un buon controllo glicemico possa rallentare la progressione della malattia renale. Gli ACE-I e gli ARB sono gli unici farmaci per i quali si è dimostrata l’efficacia nel rallentare la riduzione del GFR.

L’ADA suggerisce anche una restrizione dell’introito proteico18.

Retinopatia Diabetica

Negli USA il DM è la principale causa di cecità trai 20 ed i 74 anni.

Gli individui affetti da DM hanno una probabilità 25 volte superiore di diventare ciechi, rispetto agli individui non diabetici 32.

La cecità, quando si realizza è il risultato della retinopatia e/o dell’edema maculare.

La retinopatia diabetica è classificata in due stadi, con diverse caratteristiche istopatologiche e diversa gravità clinica: retinopatia non proliferativa e proliferativa.

Retinopatia non proliferativa

Compare verso la fine della prima decade o l’inizio della seconda decade di malattia. Da un punto di vista istopatologico si riscontrano microaneurismi vascolari, emorragie puntiformi, essudati cotonosi (“cotton wools”).

I meccanismi invocati sono la perdita dei periciti, l’aumento della permeabilità dei vasi retinici ed alterazioni della microvascolarizzazione.

Quando questo porta ad ischemia retinica, la retina risponde con la produzione locale di VEGF ed altri GF, che stimolano la neoangiogenesi: è questo che determina il passaggio alla forma proliferativa.

Retinopatia proliferativa:

I vasi neoformati, possono formarsi in zone normalmente avascolari, come la macula, e sono più fragili, tendono a rompersi con più facilità, con emorragie nel vitreo. Segue la reazione cicatriziale, retraente, con possibile distacco di retina e perdita della visione. Quindi questa forma è a maggior rischio di cecità.

Non tutti gli individui con la forma non proliferativa sviluppano la forma proliferativa, ma presentano una maggiore probabilità.

Per contro, un edema maculare clinicamente significativo, può comparire quando è presente anche solo la retinopatia non proliferativa.

La fluorangiografia è spesso utile per identificare l’edema maculare, che è associato ad una probabilità del 25 % di moderata perdita visiva nei successivi tre anni.

Fattori di rischio per lo sviluppo della DR

La durata del DM ed il grado di controllo glicemico sono i migliori indici predittivi dello sviluppo di retinopatia; anche l’ipertensione è un fattore di rischio indipendente.

La retinopatia non proliferativa è presente in quasi tutti gli individui con DM da più di 20 anni (incidenza del 25% dopo 5 anni e dell’80% dopo 15 anni in pazienti DM1). Anche per questo motivo sono raccomandati esami di screening, con una certa cadenza, da parte della ISPAD 121 e altre associazioni come la ADA.

Sebbene esista una suscettibilità genetica per la retinopatia, questa è meno importante della durata di malattia e del grado di controllo glicemico.

Alcuni studi hanno indagato il ruolo prognostico della retinopatia diabetica ai fini della CVD. Come scritto sopra essa è una comune complicanza microvascolare del DM,colpendo circa il 30 % dei adulti con DM2 negli USA 126 e circa il 95 % dei DM1 nel corso della loro vita 127.

Dal momento che l’esame del fundus oculi è un esame molto semplice, costa poco, ed è fatto routinariamente nel paziente diabetico, come esame di screening/follow up, ha senso chiedersi se la retinopatia abbia una qualche valenza prognostica. In caso affermativo, l’esame del fundus oculi potrebbe essere uno strumento aggiuntivo per la stratificazione del rischio del paziente, da un punto di vista della CVD e non solo.

Nella metanalisi fatta da Kramer et al.128 su 20 studi osservazionali, che nel complesso includevano 19234 diabetici (14896 tipo 2, il resto di tipo 1), è risultato che la retinopatia era associata ad un aumentato rischio di mortalità (per ogni causa) e di ECV fatali e non (MI, angina pectoris, CABG, segni ECG di ischemia, TIA, stroke non mortale, amputazione arti inferiori). L’associazione rimaneva statisticamente significativa anche dopo correzione per i tradizionali fattori di rischio CV.

Cenni di terapia

Il trattamento più efficace è anche qui la prevenzione, con un buon controllo glicemico e della pressione arteriosa (fattore di rischio indipendente), che ritardano lo sviluppo e la progressione della retinopatia, sia nel DM1 che nei DM2.

Fig. 8.12. Tratta da Harrison et al., Principi di medicina interna, 18° edizione. Velocità della progressione della retinopatia a seconda in base al controllo glicemico

Importanti i controlli oculistici regolari e completi, secondo le indicazioni delle linee guida di società autorevoli come la ADA.

La maggior parte delle malattie oculari diabetiche può essere trattata con successo se riconosciuta precocemente.

Fig. 8.13. Tratta da Harrison et al., Principi di medicina interna, 18° edizione

Neuropatia Diabetica

La neuropatia diabetica compare nel 50 % degli individui diabetici (sia dei DM1 che dei DM2) di lunga durata 32 .

Si può manifestare come polineuropatia, mononeuropatia e/o neuropatia autonomica. Come le altre complicanze microvascolari, il rischio di insorgenza si correla con la durata della malattia ed il grado di controllo glicemico.

Sono perse sia le fibre mieliniche che quelle amieliniche.

Bisogna considerare nella diagnosi differenziale le possibili altre eziologie.

dopo 5 anni dalla comparsa del DM1 mentre al momento della diagnosi se DM2; successivamente controlli annuali per entrambe le forme di neuropatia 18 .

Polineuropatia/Mononeuropatia

La forma più comune di neuropatia diabetica è la polineuropatia simmetrica distale, che si manifesta nella stragrande maggioranza dei casi con perdita della sensibilità distale, con variabilmente associate ipersestesie, parestesie, disestesie. Possiamo avere quindi una sensazione di formicolio, intorpidimento che comincia a livello delle dita (dei piedi più che delle mani) e progredisce prossimalmente.

In alcuni soggetti si sviluppa dolore neuropatico (sensibile ad alcune classi di farmaci antidepressivi, come i TCA, e di anticonvulsivanti) che tipicamente: coinvolge le estremità inferiori, è presente a riposo e peggiora di notte; ne è stata descritta una forma acuta ed una cronica (>12 mesi).

Quando tuttavia la neuropatia diabetica avanza, la sintomatologia algica regredisce. All’esame obiettivo neurologico si riscontrano:

-perdita o riduzione della sensibilità, dei riflessi osteotendinei e della propriocezione. Quest’elemento, che impedisce una buona percezione della distribuzione delle forze di carico sulla superficie plantare del piede, assieme al ridotto flusso ematico da disfuzione del microcircolo ed aterosclerosi accelerata dei grossi vasi dell’arto inferiore, ed infine sommato alla secchezza della cute per via dei fenomeni disautonomici, spiega la frequente presenza di ulcere, che tendono ad infettarsi e a non guarire (piede diabetico).

La poliradiculopatia diabetica è un’altra possibile manifestazione, con grave dolore invalidante nel territorio di distribuzione di una o più radici nervose.

La mononeuropatia (ovvero disfunzione di un nervo cranico o periferico isolato) è meno comune della polineuropatia nel DM e si presenta con dolore e ipostenia nel territorio di distribuzione del nervo.

E’ stata supposta un’eziologia vascolare, ma la cosa non è stata dimostrata.

Tipico è il coinvolgimeno del III paio (l’oculomotore), che si manifesta con diplopia ; all’esame obiettivo neurologico ptosi (l’elevatore della palpebra superiore è innervato dal III paio), oftalmoplegia e normale costrizione pupillare alla luce.

Talvolta interessati il IV, VI ed il VII (paralisi di Bell).

Possono anche verificarsi mononeuropatie periferiche e mononeuropatie multiple (coinvolti più nervi).

Neuropatia autonomica

Può svilupparsi (clinicamente) nei DM1 e DM2 di lunga data, nei quali vengono colpiti i sistemi colinergico, noradrenergico e peptidergico.

Può coinvolgere diversi organi e sistemi, tra cui quello cardiovascolare (CAN, vedere in seguito), gastrointestinale (manifestandosi con gastroparesi), genito-urinario (vi possono essere anomalie dello svuotamento vescicale fino alla “vescica neurologica”), sudoriparo e metabolico.

L’iperidrosi delle estremità superiori e l’anidrosi delle estremità inferiori sono associate a disfunzione del sistema simpatico.

L’anidrosi dei piedi può favorire la secchezza cutanea, le fissurazioni, che quindi aumentano il rischio di sviluppare ulcere.

Con la neuropatia autonomica può esser ridotta la secrezione di ormoni controinsulari determinando l’incapacità di avvertire un’ipoglicemia (vd dopo).

Cenni di terapia

Anche qui la parola chiave è “prevenzione” con un buon controllo della glicemia e di altri fattori di rischio come l’ipertensione arteriosa e la dislipidemia.

Tuttavia, una volta instauratasi, non esistono terapie soddisfacenti.

Ci si deve limitare alla somministrazione di B6, B12, folati se concomitano deficienze vitaminiche, a non assumere alcool, di per se neurotossico, ed instaurare un trattamento sintomatico in caso di dolore neuropatico.

9 EPIDEMIOLOGIA DEI FATTORI DI RISCHIO