Un'ottima base di partenza per inquadrare l'analisi nella contemporaneità, senza rinunciare a una velleità di tipo comparativo e storico, sarebbe costituita dalla recente teorizzazione portata avanti nel settore di studi interdisciplinare dei “Leisure Studies188”, branca delle scienze sociali che intende dare massima
attenzione a un settore molto spesso marginalizzato e sotto-analizzato come quello del “tempo libero”. Tutte le attività umane (anche e soprattutto il “leisure”) sono strutturate per mezzo di sistemi simbolici e ideologici, al fine di costituire e perpetuare un ordinamento sociale ed economico definito e dominante costituzionalmente: l'ideologia del consumismo industriale informa le prime definizioni funzionalistiche (soprattutto in Weber e Veblen) della sociologia e dell'antropologia sociale, che riconoscono al fenomeno “tempo libero” (e quindi al gioco, in cui è inserito) una serie di dis-valori discriminanti, di fronte a lavoro e attività produttive. Veblen, in particolare, si sofferma parecchio sul concetto di “status legato a un consumo eccedente” tipico di una classe borghese imprenditoriale e latifondista (americana nel caso del sociologo, ma non estranea alla cultura anglosassone europea e mitteleuropea), per cui l'ostentazione di mode stravaganti, barocche nel vestiario, nel consumo di cibo e bevande, avrebbero portato, all'epoca, alla differenziazione da un lato e all'emulazione dall'altro, da parte di tutta una ampia fetta della popolazione che potremmo chiamare “classe media borghese in ascesa”, di una serie di pratiche
acquisitive e consumeristiche. Secondo la lettura della scuola dei “Leisure Studies”, le teorie sociali dei primi del '900 spostarono inizialmente l'attenzione verso i grandi momenti storici di razionalizzazione all'interno delle società dell'Occidente moderno. Una delle più importanti fasi in tal senso fu lo sviluppo
188Termine che in ogni caso non esaurisce la polisemia dell'originario leisure, che originariamente non includeva solo la differenza sostanziale teorizzata dal capitalismo tra le attività necessarie al sostentamento e alla riproduzione sociale e quelle superflue e secondarie (divertimento e rilassamento), ma prevedeva anche reali esigenze psicologiche e fisiche dell'essere umano (gioco, attvità fisica e perseguimento di interessi e crescita personali). Una buona definizione enciclopedica in : https://www.britannica.com/topic/leisure (consultato il 20/11/2019). Per comodità verrà utilizzata l'accezione italiana.
del concetto di “spirito del capitalismo”: come teorizzò Max Weber nella sua fondamentale opera di sociologia delle religioni “L'etica protestante e lo spirito del capitalismo” (1905), la profonda influenza ideologica che esercitò la riforma religiosa protestante calvinista nei paesi a più ampia economia
mercantile del Nord d'Europa, ingenerò nella valutazione morale e religiosa (dunque, più estesamente esistenziale) delle opere umane, una visione positiva di ciò che la tecnica, la perseveranza e la volontà di guadagno “a maggior gloria di Dio” poteva procurare. Sia in un Inghilterra post-restaurata, sia nelle colonie d'Oltreoceano, per opera di calvinisti settari e pietisti, si diffuse la ferma convinzione che, in ultima istanza, la salvezza eterna , dipendesse solo ed esclusivamente da quel Dio interiormente esperito e individualmente significativo, il quale avrebbe dunque garantito, hic et nunc, una sanzione della grazia per mezzo della visibile prosperità individuale. La solidità di attività artigianali o commerciali (inserite all'epoca delle prime colonie nord-americane, in un capitalismo mercantile in pieno sviluppo) a cui si tendeva e di cui doveva godere la comunità in primis e il fedele in secundis (ma senza indulgere in un'idolatria deviante e in sete di possesso fine a se stesso). In un tale orizzonte di aspettative, la funzione principale del tempo libero poteva costituirsi solo come sobria ricreazione dalle giuste fatiche
dell'operosità o come incentivo alla razionalità produttiva (studio, giardinaggio o lettura edificantre) che, più intensa si dimostrava, più poteva essere descritta come una “santa missione”, una vocazione salvifica (beruf), la cui assenza e l'indulgenza nell'ozio o nel procurarsi divertimenti poco consoni era vista come vero e proprio peccato nei confronti dell'opera divina. La logica interna per cui si passa da una visione pervasiva morale dell'attività umana, come quella del calvinismo, a un'emulazione di pratiche di
distinzione legate all'esteriorità del consumo vistoso tali per cui si dà un senso diverso all'acquisizione di beni e al loro utilizzo, sicuramente più consone al modo di vita, dominato dalle logiche di mercato fordiste, è quella della “razionalizzazione”, ossia di una adattamento contingente, secondo necessità economiche e ideologiche dello “spirito” etico di cui il capitalismo anglosassone era pieno, sin dalle origini. La coazione ad agire per formare un capitale sostanzioso da poter reinvestire in prodotti finanziari ed espansione produttiva o commerciale, produsse concentrazioni notevoli di capitale e di rendite
familiari (trust finanziari) in America e Inghilterra che stimolarono, per lo più a livello di pratiche, una reazione all'etica pregressa del risparmio e della sobrietà nel consumo personale; pratiche che le nuove classi medie della borghesia urbana (nel settore terziario europeo ed americano) ammiravano e tentavano di emulare per riscattare la propria nuova posizione sociale da una vicinanza preoccupante con il
proletariato. Tra le Guerre, dunque, si venne “razionalizzando” l'etica del consumo, la distinzione tra tempo libero, lavoro e vita attiva, in relazione con le mutate congiunture economiche e con lo “spirito” sociale, che vedeva nel lavoro e nel conseguente guadagno, esteriorizzato (“reificato” direbbe Marx) sotto forma di oggetti, servizi e spazi (o tempi) dedicati al “non-lavoro”, per rinfrancarsi allo scopo di
continuare a produrre, non più in vista di una divina grazia, ma per segnalare ricchezza e prosperità, ideologicamente connotate a vantaggio generale della classe imprenditoriale. La coscienza di classe in quanto distinzione simbolica si unisce alla legittimazione, epurata dai motivi religiosi calvinisti del
capitalismo industriale e dell'accumulazione.
Un'ulteriore razionalizzazione da tenere in considerazione inquadrando l'argomento nello studio sul tempo libero è ovviamente quella legata al tempo: il lavoro e, specialmente, il lavoro industriale è un'attività soggetta alla razionalizzazione scientifica del tempo e alla sua scansione tramite valutazioni biologico-fisiche e giuridico-normative. La più diffusa cultura del dopoguerra, legata all'organizzazione fordista della produzione, vede nella pausa inserita all'interno delle canoniche otto ore lavorative con straordinari maggiorati, una configurazione del restante tempo libero (qui inteso anche come giorno libero o serie di giorni liberi durante le festività o concessi in base alla redistribuzione della ricchezza) in termini di acquisizione di mezzi di sussistenza, prodotti e servizi, non ultimo dei quali, il diritto di provvedere al proprio “tempo libero”, ossia una serie di attività culturalmente e socialmente connotate, fondamentali per assicurare il benessere psicofisico della persona e la libertà di perseguire interessi, inclinazioni e miglioramenti; tutto questo insieme di attività si inserisce in maniera ideale all'interno di una teoria sullo stato assistenziale (welfare), la cui impostazione, dominante soprattutto nei paesi dell'Europa Occidentale, tra cui l'Italia, non è certo sconosciuta agli Stati Uniti (di certo nei termini sanciti dalla Costituzione189).
Premettendo, in ogni caso, che la fruizione di tali servizi e prodotti è sempre soggetta a marcature di status e a limitazioni di natura economica che si rispecchiano inevitabilmente in più ampie e diffuse gerarchizzazioni sociali, di genere ed età e che il cambiamento sociale, economico e tecnologico
riconfigura gli immaginari e i campi di forze culturali in modi imprevedibili, si può parlare per l'Europa, fino all'inizio degli anni '80, di una diffusa tendenza (con chiare differenze geografiche) all'allargamento della sfera del tempo libero e al suo miglioramento secondo diversificazione e specializzazione.
Con l'avvento di ideologie economiche neo-liberali prima in America e Inghilterra e, successivamente Francia, Italia e Germania, con posizione trainante, la funzione regolatrice e assistenziale dello Stato si è venuta assottigliando, in funzione di una maggiore flessibilità e informalità del lavoro che ha portato allo sfasamento di tempi e spazi prima sufficientemente differenziati e marcati. L'avvicendamento di crisi finanziarie e “bolle” economiche nell'area euro-americana, hanno iniziato un processo di conversione e compressione del tempo libero in tempo lavorativo allargato, tramite le nuove tecnologie tele-
comunicative o, al massimo, in semplice occasione di svago commerciale consumistico e riposo. In tal modo il valore intrinseco attribuito allo svago ne esce completamente ridimensionato: in primo luogo svilito e, in secondo luogo, standardizzato e velocizzato, diviso fra incombenze variamente distribuite, spostamenti e pratiche individualizzate190 di svago.
In aggiunta alla dimensione temporale dello svago nel tempo libero, va aggiunta la questione del
189La Costituzione italiana prevede all'articolo 3 la rimozione di ogni ostacolo al pieno sviluppo della “persona umana”, ovvero del soddisfacimento di bisogni e aspirazioni.
190Una tendenza che hanno riscontrato anche sociologi della cultura come Ritzer (1993) e Bauman (2001). La spinta individualizzante del liberalismo economico americano ha trovato una conferma politica anche in Europa in seguito all'arretramento delle politiche di welfare e alla contemporanea avanzata della narrativa economica del lassez faire.
consumerismo e delle ideologie che lo sostengono, in relazione con le contemporanee società affluenti post-fordiste: in una fase di standardizzazione massiccia della produzione di merci e servizi, anche il consumo viene omologato in senso modulare tramite un processo che il sociologo George Ritzer chiama “McDonaldizzazione191”, ma che in realtà, al netto delle chiare differenze di scala e di metodo, resta
affine alla razionalizzazione weberiana, ne è, anzi, una naturale evoluzione postmoderna, legata al valore semiotico fondamentale che l'immagine pubblicitaria e l'icona del branding hanno assunto e continuano ad assumere, in misura proporzionale alla diffusione dei media digitali. Quindi, se, da un lato, il tempo libero (leisure) si è venuto assottigliando sempre più in termini di spazi e importanza esperienziale, esso ha subito anche un processo costante di costrizione in forme di marchio e “brandizzazione”. L'auto- descrizione dell'individuo consumatore e lavoratore nella società post-moderna è quella del singolo seguace di uno stile espressivo, veicolato tramite codici semiotici di appartenenza (più spesso visivi, ma anche uditivi, tattili e gustativi), che, in teoria dovrebbero garantire la massima discrezionalità espressiva, ma nella pratica, costringe l'ambito della scelta e della soggettività consumistica in spazi di acquisto e informazione ristretti e studiati per prevedere le pratiche di consumo.
La pervasività delle strategie commerciali e pubblicitarie non esclude la presenza di “tattiche”
individualizzate o pertinenti a piccoli gruppi di interazione, in numerose località della vita quotidiana, per la gran profusione di mezzi informativi accessibili, per la mutata condizione culturale della popolazione media che può accedere a una maggiore scolarizzazione ed educazione tecnologica e la sempre presente capacità di disattendere la previsione di tendenza grazie alla persistenza di legami più o meno stretti nella rete delle conoscenze. Funzione primaria della potenzialità agentiva della “tattica” è, senz'altro, quella di ri-combinare, ri-allacciare significati, immagini mentali e dunque idee, giocare con la varietà di “segni” provenienti da una parte importante dell'economia contemporanea, come l'”industria culturale”, e proporli a sé e ai propri gruppi di interazione sotto una forma stratificata di collage culturale.
Per cui, al di là di una mera considerazione su ”ideal-tipi” quali quelli del consumatore passivo e prevedibile e dell'homo oeconomicus libero da costrizioni, ma solo nella ristrettezza dell'ambito
acquisitivo di prodotti sempre più specializzati, occorrerà, pertanto, pensare alla condizione post-moderna a capitalismo avanzato, non diversamente da una congiuntura storica al cui interno vivono contraddizioni e lotte fra bisogni espressivi, senso di appartenenza e omologazione, fra colonizzazione degli immaginari e senso del possibile e, ovviamente per questa tesi, fra un tempo libero e un lavoro visti economicamente come un avvicendamento assolutamente staccato di condizioni necessarie, ma ideologicamente impostate a seconda del loro valore produttivo e una visione più distaccata e ironica, se vogliamo, che consideri le reciproche invasioni di campo, le contaminazioni e le contraddizioni, come una condizione fisiologica dello sviluppo culturale.
Dalla singolare esperienza teorica di de Certeau (1990), possiamo trarre per la contrapposizione delineata, una prima differenziazione fra “strategie” economiche e politiche di soggetti giuridici sovra-
individuali (Stati nazionali e loro istituzioni, società multinazionali, mercato), di ampio respiro e dotate di pervasive ideologie che influenzano la divisione del tempo lavorativo, delle pratiche e dei discorsi, e “tattiche” di individui e gruppi a rete solidale, i quali non ricevono passivamente concetti, pratiche e chiavi di lettura del senso, bensì li interpretano e li usano in maniera sovversiva, a volte confondendo gli spazi e i tempi codificati istituzionalmente; movimento possibile solo, tecnicamente, nello spazio
fenomenologico della quotidianità192.
L'informalità del quotidiano nei modi e nei luoghi del consumo di prodotti della contemporaneità, tramite più formati di ricezione (media), soprattutto per quanto riguarda la sociologia e la scienza antropologica, è stato messo sotto una nuova luce analitica recentemente, stanti i pesanti pregiudizi nei riguardi della realtà dell'industria culturale in generale e di quella del divertimento o tempo libero, in particolare (mi riferisco soprattutto all'attività accademica della Scuola di Francoforte e dei critici marxisti della cultura popolare, il cui astio nei confronti della società di massa appare oggi ingeneroso e sicuramente
affrettato193).
Se le tattiche e le strategie possiedono ancora un carattere troppo vago, occorre dunque fare riferimento a realtà concrete e studi che, sicuramente, anche de Certeau conosceva, per riuscire a ricondurre i metodi sovversivi ed espressivi della quotidianità su uno sfondo storico, sociale e culturale che possa risultare produttivo anche per l'ambito delle culture europee e americane del tempo libero e del gioco.
Mi riferisco, in particolare, al concetto di “sotto-cultura” che, nella sua accezione originaria, vorrebbe designare un sottoinsieme di una più ampia cultura di appartenenza (anche denominata “mainstream”, come il corso principale di un fiume in piena), al cui interno si sviluppano pratiche distintive di
appartenenza a, spesso in spregio o aperto contrasto con le pratiche e i valori della cultura di provenienza, cui si fa riferimento quando si parla di “stile”(in genere ci si riferisce alla “sotto-culture giovanili”, ma più spesso occorrono anche accezioni etniche, religiose e settarie). Il concetto ha, inizialmente, avuto una notevole importanza nella cosiddetta “sociologia della devianza” americana, per differenziare una serie di comportamenti e regole comuni alla delinquenza giovanile urbana negli anni '30 del Novecento,
considerata come un problema sociale a tutti gli effetti, e leggerne le cause e gli sviluppi nell' anomia sociale in cui erano costretti a vivere determinati strati della popolazione (proletariato e sotto-proletariato urbano, giovani salariati di entrambi i sessi e minoranze etniche) . Fu poi ripreso, grazie a una rilettura marxista-gramsciana della cultura (l'insieme delle espressioni simboliche presenti all'interno delle società complesse e stratificate occidentali postbelliche) intesa dialetticamente come scontro politico fra una sezione dominante e una sezione subalterna della società, per la definizione e l'utilizzo dei sistemi simbolici (chiaramente nell'ottica marxista dell'ideologia e dunque della mistificazione dei reali rapporti
192 Da tenere in considerazione è soprattutto de Certeau (2010): 6-12; 14-20. Qui, la libertà di manovra interpretativa e pratica più sovversiva viene posta nell'ambito del consumo (con ciò intendendo attività “banali” come lettura, cucina e passeggio, ai quali aggiungerei anche il gioco o l'evasione fantasiosa).
193 Si rimanda alla tesi fortemente negativa di Adorno sulla produzione di prodotti a bassa concentrazione di informazione, ma di ampia diffusione per nutrire la “pancia” del consumatore (Vedi Adorno, 2002)
produttivi)194. In quest'ultima accezione, pertanto, il concetto teorico veniva ad assumere una forte
connotazione politica e classista, evidente negli studi sulle pratiche giovanili inglesi dei primi anni '60 e poi degli anni '70, fino alla metà degli '80 (punk, mod e rocker) e nel concetto di “resistenza attraverso la ritualizzazione”: azioni simbolicamente provocatorie e sovversive che tali soggetti ,anagraficamente e politicamente subalterni, attuavano nei confronti di spazi, simboli e abiti mentali della media borghesia. Quando le tendenze e gli “stili” furono, poi, assorbiti tramite un processo abbastanza lineare di
“mercificazione”, all'interno della contemporanea industria della cultura, la stessa “industria culturale” che un tempo attirava le critiche di un'intera frangia di sociologi e filosofi, convinti che essa, costituita attraverso logiche consumistiche da una egemonia economica ed espressiva di capitalisti per un destinatario indistinto e amorfo come la “massa popolare”
Questa era una cultura massificata e mediatizzata che non faceva più parte della subalternità come la aveva concepita Gramsci o della “resistenza rituale” della sottocultura, quale emerge in Hebdige, bensì qualcosa di pervasivo e immateriale, a tratti evanescente (come una forma di simulacro che, per
fondamento, ha un referente inesistente, ma assume la consistenza del reale, fintanto che si nutrono aspettative concrete circa la sua efficacia195), una pallida riproduzione o collage di segni e dunque di
significati la cui unica reale connotazione sembrava essere quella della sua auto-riproduzione e diffusione tramite il messaggio pubblicitario esplicito o quello che i consumatori riproducevano inconsciamente con le loro pratiche. In questo mare di prodotti materiali e di segni immateriali, è chiaro, anche grazie
all'avvento della scuola semiotica, che noi fabbrichiamo un'identità dispersa, quasi simile a un patchwork o un mosaico di riferimenti e specchi del desiderio, in continua espansione geografica lungo le direttrici commerciali e i flussi informativi digitali che fungono, ovviamente, da amplificatore per le varie
sfaccettature dell'industria culturale e dell'editoria, collegate poi in special modo all'editoria del gioco e del tempo libero.
Pertanto, a livello macro-culturale e trans-nazionale, avremo un controllo abbastanza saldo dei summenzionati canali informativi (con la dovuta precisazione che esistono in ogni caso centri di diffusione alternativa di informazione e prodotti) in mano a grandi centri di produzione e distribuzione statunitensi, ma poi ramificati nei vari paesi europei per mezzo di case autoctone o brand. Qui siamo sicuri di parlare espressamente di “cultura popolare” in senso pieno, solo dopo le evoluzioni degli anni '80 e '90 (si rimanda al capitolo di Contestualizzazione), contrapposte agli albori sottoculturali del settore primitivo del wargaming, un'industria culturale ancora viva (soprattutto per quanto concerne le linee di prodotti fantasy e fantascientifiche, come Warhammer Fantasy e Warhammer 40.000), ma
commercialmente trainante in America negli anni '50 e '60.
194 La cui prima sede formativa fu il CCCS (Centre for Contemporary Cultural Studies) a Birmingham. Fondato nel 1964 da Richard Hoggart, storico e teorico della letteratura e diretto da Stuart Hall, sociologo e antropologo di origini giamaicane, il principale oggetto di studio furono la “cultura popolare” di massa e i suoi utilizzi concreti da parte del proletariato urbano e di una piccola borghesia in ascesa, nelle società tardo-capitaliste e affluenti dell'Occidente anglosassone (“The SAGE Dictionary of Cultural Studies” 2004: 147; 148).
Il pubblico di consumatori, che come ormai sarà chiaro, comprende sia i designer, che gli appassionati amatori, i neofiti e vari consumatori limitrofi come videogiocatori e appassionati di cultura popolare, ormai abituato a codici pubblicitari complessi e assai diffusi su più livelli di medialità (scritta,
radiofonica, televisiva, digitale) e abituato a ricevere significati confezionati, ha tuttavia sviluppato, a sua volta, la facoltà di ri-codificarli secondo una lettura differente o affine, ma comunque secondo propri scopi espressivi, dunque cosumando e producendo. I prodotti di questa sapienza vengono puntualmente ripetuti e propagandati tramite canali ufficiali (pagine social delle stesse case editrici o forum dedicati) e non ufficiali (fanpage o gruppi chiusi di social). È qui, allora, che emerge l'ambito cultural-popolare vero e proprio; ambito in cui le categorie espressive come l'utilizzo di riferimenti a opere letterarie,
cinematografiche e videoludiche si rinnova continuamente, negli ambiti di un campo di poteri e saperi enciclopedici circa uno “stile” o un gusto, che possono anche stratificarsi in gerarchie di “expertise” molto complesse196. Ad un livello sovraindividuale codificato, il tempo libero contemporaneo che
necessita di notevole spesa temporale (dunque non solo necessariamente economica), di una curva di apprendimento più ripida, di livelli di esperienza e perseveranza, ma che poi danno risultati concreti, per quanto riguarda necessità psico-fisiche e competenze potenziali, formazione di nuove identità sociali in seno a gruppi più o meno stretti, dotati di un'etica di gruppo caratteristica, viene definito da Stebbins (1982) un “passatempo serio”, che ha sempre al cuore una serie di attività sanzionate socialmente e temporalmente cadenzate (a cadenza regolare o meno), predisposte per funzionare in accordo con parametri sociali fondamentali individuali: in primo luogo il posizionamento sociale dei partecipanti nel gruppo e nella sfera culturale generale, che dà anche un'idea del livello di conoscenza e partecipazione e, in seguito, le motivazioni reali che spingono i singoli a partecipare al mondo sociale del “tempo libero” secondo traiettorie di azione, possibilità materiali e contesto sociale di provenienza. Il ruolo che Stebbins, ma anche Rojek, teorizzano per il “leisure”consapevole, è plurimo e complesso, in ogni caso non
riducibile al mero solipsismo psicologico che lo vorrebbe come riparo necessario ai danni da logorio lavorativo e dunque come condizione contigua causalmente e subordinata comunque a logiche
produttive e consumistiche. Varie dimensioni interagenti andrebbero a costituire il senso del tempo libero, seriamente concepito, come: attività dichiarativa di giudizi personali, aspirazioni e identità, catalizzatore di processi di esclusione e inclusione, forma di capitale culturale codificato e, all'opposto, critica culturale