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Conclusioni: le conseguenze delle ondate di scioperi

siste-matici”29. Nemmeno nel centro di vecchia industrializzazione di Terni gli estremisti “filocinesi”, come venivano apostrofati dalle autorità di polizia30, riuscirono a trovare un ambiente favorevo-le per attecchire tra la comunità operaia. A Terni, infatti, “il Pci, insediato capillarmente nei gangli sociali della città, svolge[va]

pure un ruolo di minuzioso ed efficiente calmieratore dei conflit-ti”, oltre che egemonizzare le contestazioni degli studenti attra-verso le iniziative della sua Federazione giovanile31. Nulla a che vedere, dunque, con l’importanza assunta da Potere operaio in Veneto o da Lotta continua a Torino nell’ambito delle agitazioni sindacali o con le spinte antiautoritarie trasmesse dalle organiz-zazioni studentesche ai lavoratori industriali a Milano, a Pisa e in altri centri della protesta giovanile32.

4. Conclusioni: le conseguenze delle ondate di

tradusse in una crescita del reddito degli occupati dipendenti;

crescita che, come attestato dalla tabella 8, si rivelò maggiore di quelle registrate in Lombardia e in generale in Italia.

Tab. 8: Incremento del reddito medio annuo da lavoro dipendente per occupato dipendente nell’industria dal 1970 al 1974 (valori in lire a prezzi costanti 1974)

Umbria Lombardia Italia

1970 2.646.220 3.397.688 2.897.684

1974 3.425.000 4.224.000 3.691.000

Variazione % 29,43 24,32 27,38

Fonte: elaborazioni da Istat, “Annuario di contabilità nazionale”, 1975, t. II, p. 62, tav. 24; Id., Il valore della lira dal 1861 al 1999, Roma, 2000, p. 126.

In secondo luogo, la spinta rivendicativa diede il via a uno sviluppo senza precedenti delle adesioni al sindacato. Per quan-to attiene alla Cgil, l’unica organizzazione per la quale si hanno a disposizione i dati degli iscritti a livello regionale, se questi ul-timi oscillarono tra i 6.000 e gli 8.500 nel settore secondario per tutto il decennio 1959-1969, nel corso del quinquennio 1970-1975 balzarono tra i 15.000 e i 26.000, come si vede dal grafico 4.

Graf. 4: Andamento degli iscritti alla Cgil, settore industriale, in provincia di Perugia, in provincia di Terni e in Umbria (1959-1975)

Fonte: Raffaele Rauty, La Cgil in Umbria. 1949-1981, Perugia, Tip. Be-nucci, 1981, p. 16, tav. 4.

È noto, infatti, che i sindacati confederali fecero proprie le richieste avanzate dalla base operaia e accettarono i nuovi strumenti di lotta e di contrattazione (scioperi a singhiozzo, a scacchiera o a campana; assemblee e cortei sul luogo di lavoro;

delegati di cottimo e di reparto, ecc.) emersi nel corso del ciclo di proteste a cavallo dell’Autunno caldo. Tutto questo si tramutò in una lievitazione dei consensi verso le associazioni dei lavoratori e della loro militanza, in Italia come in Umbria33. Infine, gli accor-di sottoscritti tra imprese e sindacati nei primi anni Settanta nella regione, così come al Nord, riconobbero la legittimità dei nuovi istituti di rappresentanza dei dipendenti, i nuovi diritti di tute-la deltute-la salute di questi ultimi nelle officine, l’applicazione dei principi sanciti dallo Statuto dei lavoratori secondo la legge n.

300 del 197034. Perfino in numerose aziende piccole e medio-pic-cole sparse per il territorio delle due province, e di cui non ci si è potuti occupare in maniera adeguata nella presente sede tra il 1968 e il 1975 si succedettero scioperi a cui aderì la maggioranza delle maestranze e si firmarono contratti che, per la prima volta, permettevano la formazione di commissioni interne o, dal 1971 in poi, di consigli di fabbrica35. Fenomeni che fanno capire come 33.  Sull’incremento dei redditi da lavoro dipendente e dei consensi verso i sindacati quali conseguenze delle lotte pre e post Autunno caldo, si vedano, per quanto riguarda l’Italia, Maria Luisa Righi, Gli anni dell’azione diretta (1963-1972), in Lorenzo Bertucelli, Adolfo Pepe, Maria Luisa Righi, Il sindacato nella società industriale, Roma, Ediesse, 2008, pp. 135-147 e 176-179; Franca Alacevich, Dopo il 1969: cosa cambia nelle relazioni industriali, in P. Causarano, L. Falossi, P. Giovanni-ni (a cura di), Il 1969 e dintorGiovanni-ni, cit., pp. 86-91.

34.  Si vedano come esempi gli accordi sottoscritti il 13 novembre 1972 per la So.Ge.Ma di Città di Castello (una ditta produttrice di macchinari per l’agricol-tura) e il 18 maggio 1973 per la Manifattura ceramiche Pozzi di Spoleto, i cui con-tenuti sono riportati, rispettivamente, in ACS, MI, Gab., Fascicoli correnti, 1971-75, b. 192, fasc. 13200/58, Rapporto del prefetto di Perugia al ministero dell’Interno, 18 novembre 1972 e ASCLT, Accordi, b. 7, Accordo Manifatture Ceramiche Pozzi di Spoleto del 18-5-73.

35.  Si considerino i casi dello stabilimento di imbottigliamento della Co-ca-Cola, sito nei pressi di Stroncone (in provincia di Terni) e del mobilificio Ga-vina, situato a Foligno, entrambi con 120 dipendenti. Tra gennaio e febbraio 1968 gli addetti del primo scioperarono più volte per ottenere l’istituzione della

Com-l’Autunno caldo e le mobilitazioni degli anni Settanta non furo-no limitati alle ditte grandi e medie, ma investirofuro-no buona parte dell’apparato manifatturiero regionale.

Alla luce di tali riflessioni, quindi, sarebbe opportuno, da un lato, rivedere l’immagine di scarsa propensione a relazioni sin-dacali conflittuali da parte dei lavoratori umbri, almeno riguardo a determinati periodi storici e a determinati comparti. Dall’al-tro, valutare l’esistenza sul territorio nazionale, nella fase degli scioperi e delle mobilitazioni in questione, di modelli di scontro sociale diversi da quelli prevalentemente studiati del Nord Italia;

modelli che, nonostante una bassa intensità delle lotte e un ruo-lo marginale delle forze politiche extra-parlamentari, riuscivano ugualmente a conseguire conquiste rilevanti per le maestranze industriali.

missione interna, obiettivo che raggiunsero agli inizi di marzo. Nell’aprile 1970 gli operai del secondo si astennero ripetutamente dal lavoro per far ritirare la sospensione a un componente della commissione interna e riscuotere il paga-mento del premio di produzione pattuito. Sarà eletta la C.I. alla Coca-Cola di Terni, in “l’Unità”, 8 febbraio 1968; Il 100% dei voti alla Cgil alla Coca-Cola di Stroncone, ivi, 6 marzo 1968; ACS, MI, Gab., Fascicoli correnti, 1967-70, b. 138, fasc. 13257, te-legrammi del prefetto di Perugia al ministero dell’Interno, 15, 24 e 30 aprile 1970.

in Basilicata

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1. Introduzione

Durante gli anni Sessanta il sindacalismo industriale fu pro-tagonista di una stagione economica e sociale che trovò nella fabbrica il perno e il motore del “miracolo economico” italiano.

Le organizzazioni sindacali si fecero promotrici del rinnovamen-to del sistema di rappresentanza, “puntando sulla nuova forza contrattuale operaia e sul radicamento organizzativo in fabbrica per proiettarsi verso l’esterno e tentare una trasformazione so-ciale del paese”1. Si trattò di un processo che coinvolse, seppure con maggiore fatica, anche aree della penisola economicamente marginali e solo da poco avviate verso lo sviluppo industriale, come la Basilicata. Ma con un epilogo differente. La stagione di lotte che chiuse il decennio colse ampi territori del Mezzogiorno a metà del guado, nel pieno di un processo di trasformazione degli assetti economici e sociali: abbastanza lontani dal paradig-ma rurale che li aveva caratterizzati fino agli anni Cinquanta, paradig-ma certamente non definibili industrializzati, di fatto avviati verso un’inevitabile terziarizzazione. Inevitabilmente, questo stato di 1.  Lorenzo Bertucelli, 1969. La centralità della fabbrica, in Pietro Causarano, Luigi Falossi, Paolo Giovannini (a cura di), Il 1969 e dintorni. Analisi, riflessioni e giudizi a quarant’anni dall’“autunno caldo”, Roma, Ediesse, 2010 p. 48.

cose ridisegnò il profilo sociale dell’Autunno caldo meridionale.

Se nelle aree economicamente avanzate del paese il protagoni-smo collettivo venuto alla luce con il movimento studentesco fu riproposto in forme ancora più robuste e diffuse dalle lotte ope-raie, nel Mezzogiorno la nuova – e non del tutto affermata – cen-tralità del sindacato di fabbrica fu accompagnata dal risveglio di una pluralità di soggetti sociali che ne rispecchiavano a pieno la complessa e dinamica realtà. Esplicative in tal senso sono le affer-mazioni sull’Autunno caldo di Gerardo Chiaromonte – uno dei più importanti leader meridionali del partito comunista –, frutto di una posizione, minoritaria, che esprimeva la richiesta di una diversa politica di alleanze sociali, ma anche la consapevolezza della differente fisionomia dei movimenti collettivi meridionali:

“che a Torino venisse gridato lo slogan “operai e studenti”, era sbagliato: ma che anche a Napoli si gridasse solo quello slogan, era incredibile […] e del tutto fuori dalla realtà”2.

In definitiva, non ci si discosta dal vero se si afferma che l’Au-tunno caldo meridionale fu anche di braccianti e contadini, delle vedove bianche e dei disoccupati.

Alla luce di queste considerazioni preliminari, le lotte e le mobilitazioni che scossero profondamente la società lucana dal 1966, raggiungendo la massima intensità nei primi mesi del 1970, se per alcuni versi possono essere pienamente inserite nell’esten-dersi dei conflitti industriali che caratterizzarono la società italia-na a partire dai rinnovi contrattuali del biennio 1966-67, per altri trovano una più adeguata collocazione nella “stagione dei movi-menti” descritta da Guido Crainz, tra quei movimenti “spuri”, tradizionalmente considerati non rappresentativi3.

2.  Giovanni Cerchia, Gerardo Chiaromonte, una biografia politica. Dai quartieri spagnoli alla Commissione Antimafia, Roma, Carocci, 2013, p. 131.

3.  Guido Crainz, La «stagione dei movimenti»: quando i conti non tornano, in

“Meridiana”, 2000, 38-39, pp. 127-149.

2. L’affermazione del sindacato di fabbrica in