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Considerazioni conclusive

Nel documento DOTTORATO DI RICERCA IN Studi storici (pagine 178-182)

IV. L A MISSIONE DI P IER D AMIANI NELLE G ALLIE . I NTERLOCUTORI ETEROGENEI E APPROCCI

IV.5. Considerazioni conclusive

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Ecclesia, l’unica in grado di correggere le devianze interne alla propria gerarchia e a porre giusta soluzione nel rispetto dei canoni.

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canoni come era il nostro non dev’essersi molto preoccupato della soluzione della disputa, con tutta probabilità egli era già certo dell’esito positivo della stessa e delle conseguenze che il suo viaggio avrebbe provocato. Sono gli anni in cui il rapporto con Alessandro II e Ildebrando inizia a diventare complicato199 e lo spirito d’iniziativa del Damiani diventa più palese e, per certi versi, scomodo. Il centro delle scelte damianee sono gli interlocutori, il suo pubblico. In questo caso il concetto di pubblico va inteso nella più ampia accezione possibile, non solo un pubblico di massa. Purtroppo, non abbiamo riferimenti espliciti alle masse, alle reazioni che il popolo delle Gallie possa aver avuto nei confronti del Damiani, non sappiamo se effettivamente la sua larga fama giungesse anche agli strati più bassi della popolazione.

La stessa Vita Odilonis è certamente stata riscritta per far sì che avesse una diffusione più capillare, ma è comunque un’opera indirizzata alla rete monastica cluniacense e non ai laici. Questi ultimi vengono citati in maniera del tutto anonima nella prima delle fonti analizzata, il sermone LXXII, l’unico indizio di una qualche utilità potrebbe essere la loro profonda ignoranza a livello teologico e liturgico, sottolineata a più riprese dal Damiani, ma che in un’opera standardizzata come la messa per iscritto di un sermone non può essere considerata indice di un ipotetico basso livello culturale dilagante oltralpe. Dunque, ciò che preme analizzare è il pubblico cluniacense e più in generale afferente alla gerarchia ecclesiastica. Nonostante la grande produzione damianea ci permetta di ricostruire non solo la sua vicenda biografica, ma anche l’evoluzione del suo pensiero, la vera cartina tornasole capace di delineare quanto la sua influenza fosse più o meno forte al di là delle Alpi è l’Iter gallicum.

In particolare, l’incipit del discorso ivi riportato con l’inconsueta autoesaltazione del ruolo di cardinale vescovo, lascia trasparire una sicurezza tale da permettere di far leva sul proprio prestigio al fine di indirizzare la disputa verso un binario ben preciso e congeniale allo sviluppo della stessa a vantaggio dell’abbazia di Cluny. In questa situazione il riformatore è consapevole di partire da una posizione di assoluta preminenza per esportare le prerogative di Roma e non ultimo il concetto del primato petrino sulle altre sedi, cosa che, come vedremo, non era avvenuta nello stesso modo a Milano. Certo, c’è uno scarto di quattro anni tra la legazione milanese del 1059 e la missione gallica del

199 Briefe 107 in MGH, Ep., IV, pp. 188-120. Ne parla anche Longo, Come angeli in terra, pp.

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1063 e nel frattempo il papato guidato da Alessandro II si era trovato in una posizione di vantaggio all’interno dello scisma cadaloico. Ciò a sicuramente permesso di raggiungere una chiara consapevolezza del nuovo indirizzo della riforma, non più guidata dall’Impero, ma portata avanti da Roma anche in contrasto con esso e con risultati soddisfacenti. Il rapporto con il pubblico cambia proprio in relazione a questo e ne abbiamo la prova nei discorsi pronunciati e riportati per iscritto in merito alle due occasioni sopraenunciate.

Se al cospetto dei prelati gallici Pier Damiani fa leva sulla propria fama e sul ruolo di cardinale vescovo, la stessa cosa non si può dire per il suo rapporto con il pubblico cluniacense. Nelle interazioni con Ugo di Semur e con i monaci di Cluny si assiste all’”entrata in scena” del peccator monachus nella sua versione più votata all’umiltà e alla riverenza per quei santi uomini, in sostanza è un Damiani più diplomatico. Nella sua visione Ugo rappresenta il vertice massimo della Cristianità, non tanto per gli attriti in corso tra Pier Damiani e Alessandro II, quanto perché all’importanza della carica di abate di Cluny Ugo unisce uno stile di vita molto vicino, se non perfettamente coincidente, a quel prototipo di monaco ideale tanto auspicato dal Damiani; un modello da esportare, come se nei cluniacensi egli avesse finalmente visto la realizzazione dei propri precetti e, pur tentando di perfezionarne ulteriormente la pratica ascetica, si vede rigettare la proposta dell’aumento dei digiuni dallo stesso Ugo, non riuscendo (e questo è già di per sé molto raro) a controbattere, ma anzi accettando di buon grado la pronta risposta dell’autorevole abate.200 Egli sa che la riforma, sia quella incentrata sul primato petrino, sia intesa come riforma monastica non ha bisogno di essere esportata a Cluny, che anzi è lo strumento attraverso di cui servirsi per propugnarne ulteriormente la causa. Il viaggio in Gallia è funzionale a questo e certamente contribuisce alla crescita personale del nostro grazie alle numerose relazioni instaurate nel corso di quella significativa esperienza.

200 Briefe 113, in MGH, Ep., IV.

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V. MILANO. GRANDI PROTAGONISTI E POPULUS INQUIETO. LA PREDICAZIONE PATARINICA E I SUOI EFFETTI SUL PUBBLICO CITTADINO

La missione gallica del 1063 non era stata certamente la prima compiuta dal Pier Damiani in qualità di legato apostolico e sicuramente non si era trattato della più complicata nella sua risoluzione. In realtà, da un punto di vista prettamente logistico, dovuto all’attraversamento dei valici alpini, l’Iter Gallicum201 rimarca le difficoltà e i gravi rischi affrontati dall’Avellanita e dal suo entourage alla volta della celebre abbazia e, ancor più, al ritorno, quando la procrastinazione del viaggio alla stagione autunnale aveva destato ulteriore preoccupazione con grande disappunto del nostro.

Tuttavia, da un punto di vista strettamente diplomatico, ciò che il Damiani aveva compiuto circa quattro anni prima di quel viaggio oltralpe era stato fondamentale per quello che oggi definiremmo il suo curriculum, un’esperienza a tratti traumatica, una missione portata a compimento attraverso le straordinarie conoscenze in ambito teologico, liturgico, storico e a tratti demagogico del cardinale ostiense coniugando il tutto con la sua mai banale ars rethorica, che in più di un’occasione gli ha permesso di uscire vincitore anche dalle situazioni più delicate. Mi riferisco con ciò all’epistola 65202 che la

201 Anonimo, De Gallica profectione, a cura di Schwartz G.e Hoofmeister A., in MGH, Scriptores, XXX, 2, pp. 1034-1046.

202 Reindel K., Briefe, Nr. 65, MGH, pp. 228-247; Op. 5, Actus Mediolani, de privilegio Romanae Ecclesiae, Migne, PL 145, coll. 89-98D; Petri Damiani, Epistulae (XLI-LXVII). Pier Damiani, Lettere (41-67), a cura di Gargano G. I.e D'Acunto N., traduzioni di Dindelli D., Saraceno L., Somigli C., revisione generale di Saraceno L., Città Nuova, Roma 2002 (Opere di Pier Damiani 1/3), pp. 330-351. Per la bibliografia generale sull’Actus Mediolani (op. 5) Benson R. L., The bishop-elect. A study in medieval ecclesiastical office, Princeton, Princeton University Press, 1968, cfr. in particolare la p. 73; Palazzini P., San Pier Damiani, la Riforma e il «Privilegium Romanae Ecclesiae», “L’Osservatore romano”, 9 novembre 1969, p. 6; Palazzini P., La missione milanese di San Pier Damiani e il “Privilegium S. R. Ecclesiae”, “Atti e memorie della Deputazione di storia patria per le Marche”, serie VIII, 7 (1971-73), p. 171-195; Palazzini P., Una citazione errata di San Tommaso, il Privilegium Romanae Ecclesiae e la missione milanese di San Pier Damiani, in San Tommaso. Fonti e riflessi del suo pensiero, Roma, Città Nuova - Pontificia Accademia Romana di San Tommaso d'Aquino, 1975, (“Studi tomistici”, 1), p. 154-175; Caron P. G., La condanna dell’investitura laica nel pensiero e nell’azione dei pontefici precursori della riforma gregoriana, in La

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tradizione ha tramandato come Actus Mediolani, e che rappresenta una sorta di implicito

“scatto di carriera” del Damiani, in quanto al suo fianco nella risoluzione della controversia era presente Anselmo da Baggio, colui che pochi anni dopo, asceso alla cattedra petrina con il nome di Alessandro II, avrebbe affidato al nostro la delicata missione nelle Gallie, fiducioso nelle qualità di intermediazione già viste a Milano nel 1059. La legazione milanese è, però, solo una piccola parte di un problema più ampio sia in una prospettiva diacronica sia diatopica, che rende Milano uno degli epicentri di quella che sarà la lotta per le investiture.

Nel documento DOTTORATO DI RICERCA IN Studi storici (pagine 178-182)

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