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Dal contemptus mundi alla riforma monastica. Il pensiero damianeo attraverso il

Nel documento DOTTORATO DI RICERCA IN Studi storici (pagine 126-136)

III. I L SERMONARIO DI SAN P IER D AMIANI TRE RETORICA , AGIOGRAFIA E PUBBLICO

III.4. Dal contemptus mundi alla riforma monastica. Il pensiero damianeo attraverso il

Escludendo il caso assisiate, ho volutamente qui tralasciato l’aspetto cronologico dei sermoni; in parte perché già affrontato nel mio precedente studio64, in parte perché l’aspetto formale e, di conseguenza, comunicativo non sono contraddistinti da un’evoluzione stilistica, trattandosi, come detto, di rielaborazioni scrittorie avvenute solo negli anni Sessanta del secolo XI. L’intreccio tra la questione della datazione e la visione del mondo di Pier Damiani, posta in evidenza dagli studi sul sermone per san Rufino, rimanda al pensiero riformatore dell’Avellanita. È ormai assodato che i sermoni non riflettano un impegno riformatore chiaro e deciso come l’epistolario, tuttavia, si possono cogliere alcuni riferimenti più o meno velati non solo alla riforma ecclesiastica e a quella fase di discussione denominata “pregregoriana” ma anche al tentativo squisitamente damianeo di riforma monastica di stampo eremitico.

63 Ibid.

64 Manco A., Tesi di laurea Predicazione e riforma nel secolo XI: i sermoni di Pier Damiani, Università Cattolica del Sacro Cuore, relatore Nicolangelo D’Acunto, 2014.

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Pier Damiani aveva sempre presente un modello a proposito di perfezione monastica e non era, come si potrebbe pensare, quello seguito a Montecassino, bensì nel suo piccolo eremo di Fonte Avellana, lì dove trascorse quasi tutte le Quaresime della sua vita lontano dal mondo e quindi anche dalla predicazione. Il celeberrimo cenobio fondato da san Benedetto era nell’XI secolo in piena ascesa economica e culturale, l’Avellanita non trascurava certo questo aspetto e infatti era sovente ospite dei monaci cassinesi.

Il sermone VIII, scritto per celebrare la vigilia del santo fondatore, va probabilmente collocato durante la permanenza dell’Avellanita nella Quaresima del 1069 e non fu mai effettivamente pronunciato65. Uno scritto però ci aiuta a capire i rapporti tra il Damiani e il cenobio cassinese in questo periodo, si tratta della lettera 16166, conosciuta con il titolo De laude flagellorum. L’ascesi auspicata è qui ai massimi livelli, Pier Damiani è negativamente colpito dal fatto che i suoi precetti non venissero più seguiti dai monaci cassinesi che avevano abbandonato la pratica della flagellazione. Non bisogna però vedere in questo scritto una sorta di obbligo da parte del Damiani nell’imporre tale la pratica. Già Tabacco67 sottolinea la volontarietà auspicata dall’eremita e la pone sul piano di una lotta dialettica con il cardinale Stefano di San Crisogono, che con ragionamenti umani e mondani (a detta del nostro) aveva messo un limite al fervore e all’ascesi praticate nel cenobio. Pier Damiani con questa lettera e con gli altri scritti contenuti nei libri liturgici cassinesi si erge a padre spirituale per quei monaci; i suoi ammonimenti sono dettati sicuramente dal suo fervore ascetico ma anche, più semplicemente, da questo rapporto di filiazione spirituale nutrito per quel santo luogo e per i suoi inquilini. Egli è un maestro di vita spirituale, di preghiera e di liturgia.

Considerato ciò, non si fatica a immaginare la preoccupazione occorsa all’Avellanita nel

65 Il sermone è tràdito dai lezionari liturgici Casinensis 453 e Vaticanus latinus 1202, il passionario avellanita non riporta, invece, alcuna lettura per la vigilia della festa di san Benedetto. (Pier Damiani, Petri Damiani Sermones, a cura di U. Facchini - L. Saraceno, Città Nuova, Roma 2013, pag. 193).

66 Briefe n. 161 in Kurt Reindel, Verlorene Briefe des Petrus Damiani, in Mittelalterliche Texte. Überlieferung - Befunde –Deutungen. Kolloquium der Zentraldirektion der Monumenta Germaniae Historica am 28./29. Juni 1996. Herausgegeben von Rudolf Schieffer, Hannover, Hahnsche Buchhandlung, 1996 (“Monumenta Germaniae Historica”, Schriften, Band 42), pp. 135-136.

67 Tabacco G., Pier Damiani fra edonismo letterario e violenza ascetica, in Spiritualità e cultura, 2013, p. 249-266.

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1064, quando l’abate Desiderio di Montecassino minaccia di toglierlo dalla lista delle persone da suffragare in caso di morte, al fine di sollecitarne una visita che ci sarà. Proprio in questa occasione Pier Damiani propone e vede accolte le sue indicazioni per un rinnovamento della disciplina monastica. Tutte le fonti concordano su questo punto riportatoci sia dalla Vita Petri Damiani di Giovanni da Lodi, sia dalla Chronica monasterii Casinenis di Leone Ostiense68. Non stupisce quindi che, tornandoci cinque anni più tardi e notando l’abbandono di tali pratiche, ne risulti profondamente amareggiato, tanto da attaccare il defunto cardinale Stefano. Tornando al sermone summenzionato, dopo aver raccontato alcuni miracoli raccontati post mortem dal santo fondatore, l’Avellanita congeda i fratelli cassinesi:

Nunc itaque illius ultimae resurrectionis, veri scilicet Paschae, vigilias colimus, si voluntates proprias frangamus, si carnis impetum refrenemus, si cogitationes pravas a corde repellamus, crucem post Jesum, nosmetipsos affligendo, corde bajulemus, si denique studeamus offendentibus parcere, indigentibus subvenire, veritatem ore proferre, charitatem non fictam in corde servare: si non vacemus fabulis, non verbis intendamus otiosis, non terrena quaelibet concupiscamus, non negotiis saecularibus nos implicemus;

si puras et quotidie Deo mundas studeamus orationes offerre, si verbum Dei toto cordis affectu jugiter delectet audire ut Christus audiatur in lingua, Christus videatur in vita, Christus in corde, Christus in voce.69

La conclusione del sermone è quindi un invito, una sollecitazione a non abbandonare più le pratiche ascetiche come fatto in passato, anche se a consigliare ciò fosse stato lo stesso abate, perché solo così ci si può avvicinare ulteriormente a Dio. Sono dei topoi comuni nel sermonario, ma, se rapportati alla lettera del 1069 e al fatto che questo sermone sia stato composto al fine di essere inserito nel lezionario liturgico, assumono il valore di un testamento spirituale lasciato da Pier Damiani agli amati monaci di Montecassino.

Purtroppo per il Damiani, quelli di Montecassino non furono gli unici monaci ad abbandonare le pratiche ascetiche da lui promosse e, se per questi l’attacco è rivolto al

68 Cfr. Chronica monasterii Casinenis, III, 20, pp. 386-387.

69 Sermo VIII, coll. 548 A- 548 B.

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cardinale Stefano (una sorta di capro espiatorio), diverso è il caso proposto nella lettera 142, in cui destinatari del biasimo sono i suoi eremiti dell’eremo di Gamugno:

Illud quoque de sanctitatis vestrae praeconiis notitiae nostrae nuper accessit, quia pleraque capitula ad continentiae pertinentia disciplinam, quae inter vos regulariter constituimus, ita nunc oblivioni sunt tradita, ac si a deliro quolibet fuerint opilione mandata. […] Quod ut agnovi tanto magis prodigii novitate perculsus exhorrui, quanto id in heremo fieri ne audisse me quidem eatenus contigisset.70

Questa lettera va posta in relazione con il trittico di sermoni XXI, LXXIII, LXXIV71 e scritti come letture spirituali indirizzate ai confratelli. Per capire dove fu pronunciato questo sermone rivolto a dei non meglio precisati eremiti potremmo guardare, come rilevato da D'Acunto72, appunto alla lettera 142, scritta nel maggio del

70 Briefe, 142.

71 Nel corso del sermone LXXIV Pier Damiani sottolinea, una volta di più, come non sia sufficiente essere vestito dell'abito monastico, giacché anche i monaci sono tentati dal mondo e dai suoi vizi, come la lussuria, l'avarizia, l'invidia, ed è proprio il combattimento spirituale ciò a cui bisogna prepararsi. A inizio sermone Pier Damiani parla anche del sacerdozio regale dei fedeli citando il versetto 9 di 1 Pt 2, tema già presente nel sermonario (nel sermo X riporta lo stesso passo biblico). I monaci sono paragonati al popolo ebreo in attesa di entrare nella terra promessa al fine di motivarli nel raggiungimento del proprio itinerario di perfezione. Il sacerdozio regale all'interno dei sermoni è visto come effetto sia del crisma, che della pratica delle virtù teologali dell'amore e della fede. (D’Acunto N., Genus electum, regale sacerdotium, (1Pt.

2, 9). Il sacerdozio regale dei fedeli negli scritti di Pier Damiani, in Florentissima proles Ecclesiae, Miscellanea Hagiographica, Historica et Liturgica, Reginaldo Gregoire O.S.B. XII Lustra Complenti Oblata Gobbi, Domenico [Hrsg.]., Trento 1996, pp. 121-138.) Visto il tema particolare affrontato in questo sermone, si può supporre che fosse stato declamato per l'eremo di Fonte Avellana (e non quindi presso l’eremo di Gamugno come il precedente) dove Pier Damiani si era ritirato già dal 1061 per dedicarsi alla letteratura. È proprio in questo periodo che egli si dedica alla stesura della Vita di Domenico Loricato e delle lettere 86 e 90 dirette ai monaci di Montecassino. (Pier Damiani, Petri Damiani Sermones, a cura di U. Facchini - L. Saraceno (vol. 1), Città Nuova, Roma 2013.)

72 D'Acunto N., I laici nella Chiesa e nella società secondo Pier Damiani. Ceti dominanti e riforma ecclesiastica nel secolo IX, Roma, Istituto Storico Italiano per il Medio Evo, 1999 (“Nuovi studi storici”, 50), p. 51.

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1066. Infatti, in quella lettera Pier Damiani li rimprovera già in apertura73 per aver scandalizzato un uomo di Milano (forse Erlembaldo, uno dei capi della Pataria), tanto che questi ha deciso di non entrare più a far parte di quella comunità e, addirittura, di rinunciare totalmente alla vita monastica.

È sufficiente fare un raffronto tra l’attacco presente nella lettera, indirizzato a dei destinatari certi, su temi, luoghi e personaggi ben definiti, e lo stile adottato nel corrispondente sermone, molto meno circostanziale e finalizzato a indicare dei precetti cui attenersi in futuro, per capire come l’ideale di perfezione monastica promosso sovente negli scritti damianei trova nella predicazione omiletica il modo di esprimersi lontano dall’invettiva, dalle dispute, dalle imposizioni, dalle critiche portate spesso avanti verso i contemporanei. Il modo utilizzato per promuovere i suoi ideali è quello dell’exemplum.

È improprio definire tali le vitae e le passiones da cui muovono le orazioni analizzate, se però guardiamo al loro fine e a come l’autore le proponga ai suoi uditori, ci rendiamo conto di come si tratti di un uso non solo celebrativo dei santi in questione ma soprattutto strumentale.

Un primo esempio può essere fornito dal secondo dei tre sermoni sull’evangelista Marco. Questo viene presentato nella sua attività da neofondatore della Chiesa di Alessandria d’Egitto, la sua vita riporta alla mente l’operato dello stesso Pier Damiani e non è certo un caso. Infatti, l’evangelista è prima di tutto un predicatore e ci viene riportato anche il contenuto di quest’attività con gli effetti prodotti sui cristiani che vi assistevano:

[…] cui nimirum Deus omnipotens tantam verbi virtutem contulit, tantam praedicationis efficaciam praerogavit ut omnes, qui tunc ad fidei rudimenta confluerent, mox per continentiam ac totius sanctae conversationis instantiam, tanquam ad monasticae perfectionis fastigium pervolarent. Unde et Philo, disertissimus Judaeorum, dum de

73 Briefe, 142: «Vir quidam a Mediolanensi urbe progrediens dum me quaereret, per vos transitum habuit, sed et habitare vobiscum, ut ipse professus est, sub meo nomine concupivit. Qui dum lassus itinere moram velut quiescendo protraheret, sed ab explorationis vestrae custodia clausos oculos non haberet, nescio quos vestrum aniles nugas et ociosa perpendit deliramenta profundere, cum laicis etiam scurriles iocos et ludibria vidit urbana u miscere . Unde factum est, ut non modo vos nostrumque propter vos contubernium omne contempneret, sed et ipsum conversionis animum quantum deprehendi potuit funditus amisisset.»

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primatu beati Marci apud Alexandrinam Ecclesiam scriptitat, in Christianorum laude versatus eorum habitacula monasteria nuncupat. Et non solum per Alexandriae fines, sed et in multis aliis, Marco tunc Ecclesiam illam administrante, provinciis tales exstitisse perhibet Christianos quales et Lucas meminit apostolorum fuisse discipulos, videlicet ut eorum esset cor unum, et anima una nullusque eorum aliquid proprium diceret, sed omnes omnia communiter possiderent essetque inter eos inseparabilis unitas animorum, inter quos nulla poterat intervenire diversitas faculatum (Act. IV). Talis ergo sub Marco Alexandrina fuit Ecclesia qualis et Hierosolymae fuisse sub apostolica legitur disciplina, ut neminem paupertatis indigentia premeret, nullus eorum divitiis abundaret, sed, dum unicuique, prout opus erat, necessitas administrata suppeteret, locum inter eos querela murmurii [murmuro] non haberet. Significat ergo praedictus Philo inter nova tunc nascentis fidei cunabula ac teneram, ut ita loquar, Ecclesiae lactantis infantiam, quosque sub beati Marci regimine constitutos sobrietati simul ac pudicitiae deditos, orationibus et jejuniis vehementer intentos quos utique beatus evangelista, non modo miraculorum plerorumque prodigiis, non modo sanctae praedicationis erudiebat eloquiis, sed ad spiritualis vitae rectitudinem eximiis etiam propriae continentiae ac pietatis provocabat exemplis, ut omnes pene vaporantis fidei fervore succensi ita per novae conversationis viderentur anhelare propositum ac si monachicae perfectionis arduum arriperent institutum.74

Il passo è lungo, ma fondamentale, perché qui ritroviamo non solo le idee del Damiani riguardo la vita comunitaria, ma anche la sua arte retorica nel propugnare tali idee. Si tratta di quasi un terzo dell’intero sermone ed è sapientemente ripetitivo. Per giustificare la veridicità della vicenda viene citata la fonte di queste informazioni, tale Filone disertissimus Iudaeorum; la vita quotidiana dei seguaci di Marco è descritta attraverso alcune locuzioni quali habitacula monasteria; omnes omnia communiter possiderent; inseparabilis unitas animorum; deditos sobrietati ac pudicitiae; intentos orationibus et ieiuniis. È la descrizione della vita monastica, portata avanti qui dai primi seguaci di Marco, che monaci non erano. Si tratta di laici, ma di quei laici dei primi secoli che conducevano una vita perfettamente evangelica. Non è un caso che il passo sia

74 Sermo XV, coll. 581 B – 582 A.

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introdotto e concluso con lo stesso concetto: perfectio monastica. Un concetto che può sembrare vago se pronunciato davanti a un pubblico incolto come quello veneziano e che qui viene introdotto, spiegato dettagliatamente e, infine, ribadito. Dal punto di vista formale è come se la ripetizione chiudesse un cerchio: Marco predica la perfezione monastica; questa avviene in abitazioni simili a monasteri per condotta di vita; vita che è contraddistinta dalla comunione dei beni che a sua volta provoca la comunione degli animi; sul piano dell’individualità vengono osservate la castità e la temperanza, rafforzate da preghiere e digiuni; tali risultati straordinari vengono raggiunti grazie agli insegnamenti dell’evangelista tramite la predicazione e il suo esempio; esemplarità che è la perfezione della vita monastica da lui condotta. Questo in sintesi lo schema strutturale seguito nella stesura del passo.

I contenuti, d’altra parte, invitano alla riflessione. Il sermone è pronunciato probabilmente durante gli anni di permanenza a Pomposa, cioè tra il 1040 e il 1041, fa parte di una delle testimonianze scritte più antiche del nostro autore75. In questa fase l’idea di trasformare tutto il mondo in un eremo è vivissima in Pier Damiani e non stupisce che questi ideali di vita monastica vengano proposti di fronte a un uditorio laico come quello veneziano. L’insistenza sulla vita comunitaria è invece un filo rosso comune che collega non solo la produzione damianea, ma quella di tanti riformatori, seppur in questo secondo caso da un punto di vista ecclesiologico della vita canonicale dei chierici.

L’esemplarità nella condotta di vita è una costante nel sermonario. Particolare è, tuttavia, il caso dei santi milanesi Gervasio e Protasio, questi, figli dei martiri Vitale e Valeria, vengono celebrati nel sermone XVII/1 dedicato a loro padre. La lezione si presenta come di tipo morale, un invito agli uditori nel prendere esempio da questi orfani dediti alla contemplazione piuttosto che alla lussuria e alla licenziosità, spesso praticate da chi perde la guida dei genitori in fase adolescenziale. Il discorso, partendo da questo ammonimento, prosegue con un argomento caro al Damiani, la vita eremitica cittadina.

Un riferimento viene messo in risalto: De populosa urbe faciunt heremum76. La città di Milano era tra le più grandi dell’Impero e, nonostante le numerose tentazioni offerte sia dalla vita cittadina sia dall’eredità lasciata loro dai defunti genitori, i due giovani

75 Pier Damiani, Petri Damiani Sermones, a cura di U. Facchini - L. Saraceno, Città Nuova, Roma 2013, pag. 231.

76 Sermo XVII/1. Migne, PL 144, coll. 583D-593B

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conducono una vita perfettamente eremitica all’insegna dell’umiltà e mundani strepitus negotia fugiunt.

Il sermone fu pronunciato per la Pasqua del 1044, siamo quindi, come sottolinea giustamente D'Acunto77, in una fase di propaganda ascetica damianea anche presso i laici, per un ritorno alla primitiva purezza ideale del cristianesimo. La pratica dell'eremitismo per l'Avellanita è quanto di più vicino possa esserci agli angeli, è il massimo che l'uomo possa fare sulla Terra per avvicinarsi a Dio, ed è quindi necessario proporla anche al di fuori delle mura dell'eremo.

Un altro esempio denuncia un male evidentemente frequente ai tempi del Damiani. Il sermone LXV fu probabilmente pronunciato a Classe, sempre intorno alla metà degli anni Quaranta78:

Perpendite, dilectissimi fratres mei, quam miserabilis vecordiae est laboriose agere, et ab ore hominum laudes inhiare; forti opere praeceptis coelestibus inservire, sed terrenae retributionis praemium quaerere. Sicut enim beatus ait Gregorius, qui pro virtute quam agit, humanum favorem desiderat, rem magni meriti vili pretio venalem portat.

Unde coeli regnum mereri potuit, inde nummum transitorii favoris quaerit. Intus ergo, fratres mei, intus servanda sunt bona, quae agimus, si ab interno judice vicem recipere nostri operis exspectamus.79

Si rifà all’auctoritas di Gregorio Magno nei Moralia in Iob, VIII, 48, 81 per denunciare coloro che praticano una vita di stenti per avvicinarsi al divino, quando poi in realtà cercano la gloria terrena nella lode degli uomini. Pur accettando la datazione proposta, non si può non pensare all’incontro che avverrà a Firenze circa dieci anni dopo con Teuzone e all’aspra polemica che ne seguirà.80 Il problema è reale, pratico: la nuova

77 D'Acunto N., I laici nella Chiesa e nella società secondo Pier Damiani. Ceti dominanti e riforma ecclesiastica nel secolo IX, Roma, Istituto Storico Italiano per il Medio Evo, 1999 (“Nuovi studi storici”, 50), pp. 13-14.

78 Pier Damiani, Petri Damiani Sermones, a cura di U. Facchini - L. Saraceno, vol. 1, Città Nuova, Roma 2013, pag. 345.

79 Sermo LXV, Migne, PL 144, coll. 879 A – 879 B.

80 «Superiora tibi, Teuzo pater, exempla proposui, ut desinas de singularitate tumescere». Lettera 44. Scritta tra il 1055 e il 1057, secondo il Lucchesi e il Reindel, costituisce un resoconto della lite scoppiata

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spiritualità sorta nella prima metà del secolo conosce evidentemente delle derive e quello dell’eremita fiorentino non rappresenta un caso isolato. L’Avellanita mette in guardia i suoi uditori proprio da queste persone e il caso di Barbaziano che operava miracoli in segreto si presta facilmente a questo tipo di invettiva.

Pier Damiani si preoccupa del problema di questo eccesso di predicatori nel suo opuscolo Contra clericos regulares proprietarios. Prendendo le mosse da un brano degli Atti degli apostoli, egli dimostra come siano adatti a predicare solo quei chierici che imitano nella loro vita in tutto e per tutto gli apostoli.81

Naturalmente le invettive damianee non si limitano all’ambito ecclesiastico o ai soli pseudo eremiti, anche i pastori d’anime hanno la loro parte e non potrebbe essere altrimenti vista la contingenza storica. Riporto qui alcuni passi emblematici sul tema della corruzione dettata dal potere, intendendo con questo termine un ruolo di rilievo nella società come poteva essere quello pastorale e, in particolare, delle alte cariche ecclesiastiche:

Nonnulli vero antequam officii sacerdotalis culmen attingant, mites se et humiles in omnibus exhibent, excrescere in virtutibus student, bonis moribus pollent, et in omni se honestate sanctae conversationis exercent, mala nulli aliquando inferunt, illata vero patienter ferunt, carnem suam assidue jejuniis et orationibus edomant, et cunctos in se vitiorum motus censura rigidae severitatis frenant. Sed cum pastoralis custodiae jura suscipiunt, quidquid sanctitatis habuerant, ut ita, proh dolor! dicam, concambio miserae permutationis amittunt, omne quod pie vixerant obliviscuntur, et decurrentium more fluminum, ad ima absque ullo retentionis obstaculo devolvuntur.82

a Firenze tra Pier Damiani e l’eremita cittadino Teuzone, monaco della Badia fiorentina. Quest’ultimo conduceva una vita eremitica in una cella attigua al cenobio in seguito ad un contrasto con il suo abate.

L’accusa rivoltagli dall’Avellanita è quella di voler contaminare eremitismo e vita cittadina. Secondo Pier Damiani l’obiettivo di Teuzone era quello di stupire il popolo fiorentino nel tentativo di divenirne la guida spirituale simulando un rigore ascetico che nulla aveva a che vedere con la vera disciplina praticata negli eremi. Vedi: D’Acunto N., Introduzione al volume Petri Damiani, Epistulae (XLI-LXVII). Pier Damiani, Lettere (41-67), Città Nuova, Roma 2002 (Opere di Pier Damiani 1/3), pp. 14-17.

81 Ibid., pp. 52-53

82 Sermo V, coll. 531 A – 531 B.

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Audiant neophyti, audiant elati, et quasi folles vento arrogantiae, et igne cupiditatis inflati, qui ante volunt docere, quam sciant; et in schola Christi ante inhiant in cathedra praesidere, quam ferulam sentiant. Dumque inordinato ordine non per ostium, sed aliunde ad regiminis jura prorumpunt, non se pastores esse, sed fures, et mercenarios patenter ostendunt, qui prodesse nil curant, sed praeesse flamma perniciosissimae cupiditatis anhelant. Hi profecto non praeferuntur, ut Christi ovile custodiant, non ut gregem Dominicum pascant, sed ut miseram carnem suam in lasciviis et voluptatibus molliter nutriant; dumque se proximis praelatos esse considerant, caecam mentem in superbiae cornibus exaltant.83

Interessante, anche se apparentemente di poco utilità, rimane la genericità con cui questi attacchi vengono portati avanti. Di conseguenza, le coordinate topiche e croniche perdono validità, volendo tracciare un percorso incentrato sul pensiero damianeo. Il fatto di attaccare i vescovi e i monaci che assumono comportamenti particolarmente scorretti può essere letto in due modi diametralmente opposti: la prima considerazione sarebbe quella di interpretare questi passi come degli obblighi letterari nella spiegazione e nell’interpretazione delle vicende agiografiche declamate, dal semplice intento morale; la seconda, quella di vedere in ogni minimo riferimento ad atteggiamenti simoniaci, concubinari o in ogni attacco agli ecclesiastici un attacco attivo e pedante nell’alveo della riforma. La verità, come spesso accade, sta nel mezzo. È innegabile che, come accennato, la vita del santo funga da exemplum morale in molte delle casistiche esaminate dall’autore, così come è evidente dalla tradizione manoscritta che sermoni singoli o gruppi di sermoni siano correlati ai luoghi, agli interessi di coloro che li hanno trascritti e, volendo tornare ai codici sorgente, all’intenzione prima dell’autore, cioè selezionare alcuni suoi scritti esemplari che avessero una validità atemporale e spendibile in ogni circostanza, soprattutto nel delicato momento storico della riforma. Si tratta di scritti con una sottigliezza maggiore, attacchi per certi versi latenti ma efficaci, il pubblico e le festività inducono certune riflessioni e Pier Damiani è in grado di piegarle a suo piacimento, sempre mantenendo la centralità della lettura liturgica.

83 Sermo XXX, Migne, PL 144, coll. 652D-660A; CCCM 57, pp. 161-170.

Nel documento DOTTORATO DI RICERCA IN Studi storici (pagine 126-136)

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