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4. Il ruolo degli Open Educators

4.4 Come creare competenze open

Come abbiamo visto nel Capitolo 3, molte università stanno investendo nella creazione di competenze open tra i loro docenti. Questi sforzi sono in genere focalizzati all’acquisizione di competenze per l’uso e la creazione di OER e per lo sviluppo di MOOC (Grodecka e Śliwowski 2014; Agbu et al.

2016), mentre le università che si stanno concentrando sullo sviluppo della consapevolezza e delle capacità degli educatori di lavorare con approcci aperti in senso ampio sono ancora una minoranza (Nascimbeni 2015). Le iniziative nazionali che mirano a sviluppare tali capacità tra i docenti universitari, come il programma OEPS in Scozia o l’iniziativa OER-Info in Germania, che si concentrano su attività di sensibilizzazione e su pratiche pedagogiche aperte (Inamorato dos Santos et al. 2017; Mulder 2013), dovrebbero essere integrate da attività organizzate dalle stesse università che tengano conto dei contesti di lavoro dei docenti (Nascimbeni e Burgos 2016).

Per intenderci, è molto diverso lavorare all’interno di un politecnico dove si presume che le competenze digitali siano sufficientemente alte rispetto a un dipartimento umanistico dove è possibile che la situazione sia differente. In altre parole, avere un quadro delle capacità open del corpo docente è fondamentale per capire sia chi ha bisogno di formazione e supporto sia dove trovare queste competenze all’interno dell’università. Il problema è che misurare le capacità open dei docenti universitari, così come di tutti gli insegnanti, è complicato in quanto l’apertura è una pratica che si evolve nel tempo, cui gli educatori danno forma attraverso la loro attività didattica (Veletsianos 2015) e perché la scelta di adottare o meno approcci open dipende da una continua negoziazione tra la cultura dei singoli docenti e il contesto di lavoro (Cronin 2017).

Cambiare il modo in cui i docenti progettano i loro corsi, condividono le loro risorse, coinvolgono gli studenti nella creazione di conoscenza e valutano i progressi degli studenti significa agire su tutti gli aspetti della loro attività professionale. L’introduzione del digitale nel lavoro di un docente è già di per sé un processo problematico, principalmente perché la maggior parte dei docenti universitari non è stata formata per insegnare: “L’uso della tecnologia nella didattica deve essere combinato con una comprensione di come gli studenti apprendono, come vengono sviluppate le competenze, come la conoscenza viene rappresentata attraverso diversi media e quindi elaborata e come gli studenti usano strategie diverse per l’apprendimento”

(Bates 2015, pag. 420). L’introduzione di pratiche di Open Education introduce una serie di tensioni che vanno ancor più in profondità e che hanno a che fare con un cambiamento culturale negli atteggiamenti e nella percezione di sé dei docenti, che devono ripensare e rimodellare il proprio

ruolo non solo all’interno dei processi di insegnamento ma anche come produttori di conoscenza da “trasferire” in primis agli studenti ma anche alla società (Crook e Harrison 2008; Orr et al. 2015; Rivoltella e Rossi 2012).

Queste barriere culturali rappresentano il maggiore ostacolo alla trasformazione dei docenti universitari in Open Educators, in quanto presuppongono la necessità di lavorare in modo trasparente. Queste barriere sono ulteriormente aggravate dal basso livello di adozione delle reti sociali nella didattica (Jaschik e Lederman 2013). Manca e Ranieri (2015), riferendo di un sondaggio del 2015 rivolto all’intera popolazione di insegnanti di istruzione superiore in Italia, concludono che la grande maggioranza degli intervistati non usa Twitter (94,5%), Slideshare (84,5%) o Researchgate / Academia.edu (74,4%) a scopo didattico e che “i social media sono principalmente percepiti come una perdita di tempo, come una grande preoccupazione per la privacy e come una minaccia per i ruoli tradizionali di insegnante e studente” (pag. 110).

Al fine di facilitare il superamento di queste barriere, è importante lavorare sulle fasi di transizione del quadro concettuale presentato nella Tabella 3. Per superare la prima transizione, che riguarda la consapevolezza riguardo le pratiche open, è necessario trasmettere il messaggio che l’adozione di tali pratiche può avere un impatto positivo sui risultati dell’apprendimento e che lavorare con approcci aperti non comporta necessariamente un aggravio del carico di lavoro. È importante mettere in chiaro i diversi modi in cui l’apertura può influire sulla carriera degli educatori e sulla loro visibilità, aumentando l’efficienza e diminuendo i costi per la produzione delle risorse, così come aprendo nuove possibilità di sperimentazione didattica (McGill 2012; Weller 2014). Per superare la seconda fase di transizione, e quindi per costruire competenze e allo stesso tempo tenere alta la motivazione per lavorare con approcci open, le università possono mettere in campo diverse strategie. Innanzitutto, è importante creare un ambiente abilitante, che vuol dire offrire opportunità di sviluppo professionale e incentivare l’adozione di risorse e pratiche open.

Ciò che è importante è la continuità di questo sforzo, che dovrebbe mirare a creare un ambiente favorevole all’Open Education, fatto di chiari orientamenti relativi al copyright, di supporto tecnologico, di incentivi per i docenti che intraprendono progetti legati a pratiche aperte. Inoltre, come dimostra l’esperienza dell’OER Service dell’Università di Edimburgo, una struttura di riferimento all’interno dell’università può aiutare a canalizzare tali azioni di supporto in modo coerente. In secondo luogo, il supporto offerto ai docenti deve essere graduale. Come abbiamo visto in precedenza, la consapevolezza riguardo alla disponibilità di risorse didattiche aperte è aumentata negli ultimi anni e gli insegnanti stanno sperimentando sempre

più con pratiche didattiche aperte: come osservato da Weller (2014), l’Open Education è simile a un virus che, una volta entrato in circolo, tende a diffondersi naturalmente tra le attività degli insegnanti. I servizi delle università incaricati di appoggiare i docenti nel loro viaggio verso l’open by default devono considerare che l’adozione di risorse e pratiche aperte, analogamente all’insegnamento con il digitale, deve essere supportata in modo graduale, lasciando tempo e spazio per una sperimentazione sicura e assicurandosi che percorsi diversi possano essere attivati a seconda del livello iniziale degli educatori. Importante in questo caso è il tutoraggio, attraverso cui Open Educators esperti possano aiutare altri docenti fungendo da esempi su come lavorare con approcci open. Inoltre, la costruzione di una comunità è fondamentale. In genere, i docenti iniziano a esaminare l’opzione di utilizzare OER e approcci aperti a partire da una raccomandazione di un collega fidato o perché vedono che ciò viene fatto all’interno di comunità di pratica di cui sono parte (Nascimbeni, et al. 2018). Vista la forte relazione tra collaborazione e openness, l’esistenza di reti all’interno dell’università che possano supportare queste collaborazioni è molto importante, in quanto è all’interno di queste reti che i docenti vengono esposti a nuove idee e pratiche, specialmente in un mondo in cui le novità rilevanti sono sempre più difficili da identificare (Cormier 2008). È quindi importante promuovere tali reti (Mwanza-Simwami et al. 2008), nonché appoggiarle affinché si aprano verso l’esterno (Mikroyannidis et al. 2012).