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Premessa

Riprendiamo il discorso sin qui fatto da un altro punto di vista.

È almeno sin dai tempi di Trump che si parla di deglobalizzazione e di decoupling. Ora tale

discorso viene di nuovo portato sulla scena, in particolare dalla stampa anglosassone, in rela-zione ai fatti dell’Ucraina.

Quanto possiamo reputare ci sia di vero in tali affermazioni? A nostro parere bisogna distin-guere quello che è accaduto sino a oggi, e acca-drà ancora nel breve-medio periodo, da quello che si intravede come un possibile sbocco di fondo a più lunga distanza.

A breve, medio termine

Per quanto riguarda la prima parte del discorso, ricordiamo che, anche se non erano mancati al-cuni precedenti, è stato Trump che, intraveden-do una minaccia cinese alla supremazia Usa, ha innescato una serie di contromisure: così sono state alzate le tariffe per l’importazione negli Stati Uniti di molte merci del paese asiatico; è stata progressivamente bloccata la vendita di semiconduttori avanzati e di altre tecnologie sensibili alla stessa Cina, riuscendo a ottenere un comportamento simile anche dagli alleati; si è predicata più in generale la necessità di un de-coupling delle economie occidentali da quella cinese. Trump è arrivato a chiedere alle imprese americane di ritirarsi dal paese asiatico, mentre anche altri paesi, dal Giappone alla Corea del Sud, hanno promosso operazioni simili. L’arri-vo poi della pandemia ha mostrato, da una par-te, la precarietà delle catene di fornitura globa-le, con le rilevanti difficoltà logistiche che ne sono seguite, mentre dall’altra è emerso come i paesi occidentali siano legati alla Cina per mol-te forniture mediche cruciali.

Ma la realtà dei fatti, almeno sino a oggi, sembra andare in tutt’altra direzione da quella auspicata da Trump. Nel 2021 le esportazioni cinesi ver-so gli Stati Uniti e altri paesi occidentali hanno registrato un vero e proprio boom, nonostante le difficoltà logistiche; nello stesso anno la Cina è risultata essere il primo paese di destinazione degli investimenti esteri, mentre si è anche as-sistito alla rivalutazione dello yuan e all’afflus-so di copiosi capitali occidentali. Tali tendenze sembrano continuare nel nuovo anno. Intanto il mercato cinese è ormai il più importante al mondo per un numero crescente di settori, spes-so raggiungendo o superando in alcuni di essi il

50% del totale delle vendite mondiali, mentre le forniture cinesi al resto del mondo godono ancora di grandi vantaggi in termini di rapporto qualità/ prezzo.

Facciamo un solo esempio, ma molto signifi-cativo. A suo tempo il primo ministro inglese, David Cameron, aveva aperto le porte all’in-gresso dei cinesi nella costruzione delle nuove centrali nucleari del paese. È poi arrivato Boris Johnson, che, pressato anche dagli americani, vorrebbe mandare a casa gli asiatici. Ma ci sono dei problemi. Intanto ci vuole qualcuno che li sostituisca finanziariamente, operazione non fa-cile; poi, proprio in queste settimane, i cinesi hanno montato l’unità principale di una centrale inglese in costruzione; ebbene, essa, a parità di qualità con quelle occidentali, costa solo un ter-zo delle stesse.

Ma comunque non si può dire che dai tempi di Trump nulla sia veramente cambiato.

Si è registrato un distacco, certo parziale, ma molto significativo, in alcuni settori, da internet alle tecnologie avanzate, alla dimensione finan-ziaria. Per altro verso, si va in parte verificando una specie di decoupling asimmetrico da parte della Cina. Nel campo specificamente finanzia-rio, mentre il paese cerca di annullare la sua di-pendenza dall’esterno, spinge invece le imprese finanziarie estere a insediarsi in forze nel paese.

Qualcosa di simile sta accadendo, per alcuni versi, anche nel settore delle materie prime.

In un orizzonte più lungo

In una prospettiva di lungo termine, appare plausibile pensare a una situazione in cui le atti-vità degli Stati Uniti e quelle della Cina tendano a separarsi ancora di più. A questo proposito, si può individuare l’affermarsi di due blocchi separati, uno occidentale, l’altro a guida cine-se e che comprenderebbe, per quanto riguarda quest’ultimo, in prima linea, oltre alla Russia anche i paesi dell’Asia Centrale, l’Iran ed al-tri paesi asiatici e in seconda linea diversi alal-tri paesi asiatici, africani e dell’America Latina.

In alternativa ai due blocchi, potrebbe invece prevalere una maggiore frammentazione, con l’affermarsi di diversi centri relativamente au-tonomi.

È difficile prevedere quale sarà l’assetto vincen-te; pensiamo comunque che la Cina potrebbe forse preferire il secondo, tentata come è stata in tutta la sua storia dalla volontà di stare relati-vamente isolata dal mondo. Tale tendenza sem-bra ora riemergere parallelamente all’ostilità apertamente dichiarata dal mondo occidentale nei suoi confronti.

A che punto è la Cina

Esaminiamo a questo punto meglio il quadro della situazione cinese nei vari settori. Per quan-to riguarda quello agroalimentare, il paese è im-pegnato da tempo a raggiungere una sostanziale autosufficienza nelle produzioni più importanti.

I risultati raggiunti sono incoraggianti. D’altro canto, esso ha proprio di recente aumentato for-temente le sue riserve di prodotti di base, che ora costituiscono probabilmente, in alcuni set-tori, il 50% e anche più di quelle mondiali. Per altri versi, un terzo livello di sicurezza è rappre-sentato in questo campo dalle produzioni russe.

Nel settore finanziario, non dovrebbero esserci di nuovo problemi, e il paese ha abbondanza di capitali per finanziare la sua crescita. Anche per le materie prime, la Cina potrebbe contare sulla Russia.

E veniamo alle tecnologie. Oggi il paese asiatico compete ormai da pari a pari con gli Stati Uniti nella gran parte delle nuove tecnologie: pensia-mo all’intelligenza artificiale, all’auto elettrica e a quella autonoma, ai computer quantistici, alla fusione nucleare, ai missili ipersonici, ecce-tera. Esso è ormai il primo al mondo per quanto riguarda il numero dei brevetti depositati, quel-lo degli articoli scientifici pubblicati, quelquel-lo del numero dei laureati. Nnel 2021 hanno preso una qualche laurea circa 9.750.000 giovani, di cui circa 5.000.000 in materie scientifiche. Ma esso presenta ancora dei punti di ritardo nel settore chiave dei chip, oltre che nel campo aeronauti-co e del software, e ci vorranno anaeronauti-cora diversi anni perché possa sperare di raggiungere il top nel settore.

E veniamo al campo militare dove l’avanzo statunitense sembra quasi incolmabile; conside-riamo, a questo proposito, che nel 2021gli Sta-ti UniSta-ti hanno speso per il settore 778 miliardi

di dollari (il 3,8% del PIL), contro i 258 della Cina (solo l’1,7% del PIL). Ma il primo paese deve tra l’altro mantenere quasi 1000 basi mi-litari all’estero con i relativi costi (sia la Cina che la Russia sono sostanzialmente circondate da basi statunitensi), mentre la Cina non ha am-bizioni di questo tipo, mirando ad una strategia eminentemente difensiva ed è accreditata di una sola base all’estero.

Per altro verso, gli Stati Uniti posseggono, se ricordo bene, una ventina di portaerei, mentre la Cina deve ancora completare l’allestimento di una terza. Ora, l’investimento in una sola nave di questo tipo richiede, con tutti gli apparati di sostegno, una spesa di circa 12 miliardi di dollari. Ma alla Cina basta un missile che costa poche centinaia di migliaia di dollari per affon-darne una. Alla fine, quindi, il divario non è così esteso come sembra.

E veniamo infine alla questione della moneta, uno dei due strumenti più importanti di supre-mazia ancora in mano degli Stati Uniti, insieme ai chip.

Una valuta serve principalmente per regolare le transazioni commerciali, nonché quelle fi-nanziarie e come moneta di riserva delle ban-che centrali. Per quanto riguarda questo ultimo aspetto, il dollaro pesa oggi per il 59% delle riserve totali mondiali, contro il 71% di una ventina di anni fa (la differenza è dovuta all’av-vento dell’euro e alla diversificazione verifica-tasi nel frattempo), mentre lo yuan cinese pesa soltanto per il 3%-4% del totale. Tra le sanzioni poste in essere contro la Russia, c’è stata anche quella del sequestro delle riserve del paese che erano depositate in Occidente. Incidentalmente tale misura ricorderà al mondo che nessun pae-se con ripae-serve nelle valute occidentali è al riparo da possibili rappresaglie da parte di tali paesi;

questo spingerà molte banche centrali ad au-mentare le loro riserve nella valuta cinese, che presenta peraltro l’handicap di non essere con-vertibile (la Cina vuole restare autonoma dai mercati finanziari privati, poi in parte almeno

pilotati dagli Stati Uniti).

Per quanto riguarda le transazioni finanziarie, la gran parte di esse si svolge attraverso la rete swift, di nuovo controllata dall’Occidente. Le banche russe sono state escluse ora da tale rete, salvo alcune di esse per le transazioni sul gas;

ora anche questa misura spingerà presumibil-mente la Cina a cercare di sviluppare al massi-mo la sua rete autonoma, inserendo nel sistema anche la Russia. Restano le transazioni com-merciali, anch’esse per la gran parte regolate in dollari anche se negli ultimi tempi ci sono segni di un forte possibile aumento di quelle in yuan.

Una situazione, come si vede, in forte movi-mento, che solo nel lungo termine dovrebbe portare la Cina a un importante livello di auto-nomia rispetto al dollaro.

Conclusioni

Alla fine, sembra che ci troviamo a vivere in un difficile periodo di transizione tra un vecchio e un nuovo assetto dell’ordine mondiale; nuovo assetto di cui non si percepiscono peraltro an-cora i possibili caratteri. Sembra comunque che tale passaggio non sarà facile ed esso appare irto di pericoli. Il pacifico passaggio precedente del testimone tra la Gran Bretagna e gli Stati Uniti fu fortemente favorito, oltre che dal gra-ve indebolimento del paese europeo, comunque dalla seconda guerra mondiale.

Sulla base dei dati disponibili e a meno di sor-prese sempre possibili, sembra oggi difficile immaginare che il centro economico e finanzia-rio del mondo non si concentri in un prossimo futuro in Asia.

* Vincenzo Comito è economista. Ha lavorato a lun-go nell’industria, nel gruppo Iri, alla Olivetti, nel Movimento Cooperativo. Ha poi esercitato attività di consulente ed ha insegnato finanza aziendale pri-ma alla Luiss di Ropri-ma, poi all’Università di Urbino.

Autore di molti volumi. Collabora a “Il Manifesto”

e a www.sbilanciamoci.info.

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