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Le dinamiche di un 1963

forme di lotta più strutturate, l’emergere di nuovi fermenti so-ciali permise alla sinistra sindacale lucchese di trovare nel 1963 un punto di contatto con le maestranze. Certo, non si trattò di un fattore relegabile alla sola Lucchesia: nelle pieghe del biennio 1963-64 sono infatti individuabili tanto gli esiti quanto le radi-ci dei conflitti successivi, nonché la formulazione di spinte dal basso destinate a segnare il 1969 e a dialogare con le peculiarità politiche ed economiche del paese. Stando a Lucca, non si trattò neppure di un avvicinamento ideologico: in termini più chiari, gli operai e le operaie trovarono nella Cgil una voce in grado di amplificare insufficienze retributive ormai ineludibili. Ad ogni modo, fu proprio il persistere di condizioni deficitarie ad alimen-tare il malcontento nei reparti, specialmente dopo i licenziamenti disciplinari che nella seconda metà degli anni Cinquanta coin-volsero la Smi di Fornaci di Barga, il Cotonificio Oliva e le Offi-cine Lenzi.

sui cambiamenti in corso all’interno dello stabilimento. Gli in-terlocutori di Perria, di fatto, presentavano i tratti di una nuova generazione operaia che rifletteva squilibri sociali persistenti.

Erano giovani arrivati da poco in fabbrica, giunti dalle campagne circostanti nella speranza di migliorare i propri standard di vita;

erano donne divise tra lavoro di fabbrica e lavoro domestico, intenzionate a garantirsi una propria autonomia; talvolta erano anche operai più anziani, figli di una diversa tradizione politica ma ugualmente coinvolti nelle trasformazioni della società italia-na. Soggetti che rifiutavano sempre più la devozione al focolare domestico delle loro madri, iniziavano a desiderare il ballo, la gita domenicale, case con il frigorifero e la televisione, l’aumento del periodo di ferie per godere dei quindici giorni ai piedi delle Apuane o sul mare della Versilia28. A queste legittime aspirazioni subentravano poi motivazioni più concrete che facevano riferi-mento al persistere di sperequazioni salariali fra uomini e don-ne, impiegati e operai, di discriminazioni ormai percepite come inaccettabili. Dal 1961, la Fiot-Cgil iniziò così a far proprie queste frizioni e a conseguire buoni risultati tra gli operai della multi-nazionale tessile, avanzando in piattaforma il raddoppio del pre-mio di presenza, un’equiparazione della paga a quella percepita dai “cucirini” lombardi e un’indennità di mancato cottimo a tutti i lavoratori che operavano in economia29. Rivendicazioni che alla Cucirini Cantoni Coats trovarono il loro epicentro nella vertenza che si protrasse dalla primavera all’ottobre del 1963.

La lotta, orientata per la prima volta a strappare un contratto aziendale e sottosettoriale, si chiuse con un compromesso: oltre al reintegro degli undici addetti alle turbine sospesi nel mese di luglio (tutti iscritti alla Camera del lavoro), decretò un premio di buon servizio di 1.200 lire per la totalità delle maestranze e 28.  Cfr. Federico Creatini, «Dalla fabbrica alla città». Conflitto sociale e sindacato alla Cucirini Cantoni Coats di Lucca (1945-1972), Lucca, Maria Pacini Faz-zi Editore, 2019, pp. 70-71.

29.  Sospeso oggi il lavoro alla Cucirini di Lucca, in “L’Unità”, 26 luglio 1961.

un altro una tantum di 30.000 lire da pagarsi in un’unica soluzio-ne. Nondimeno, sulla via dell’accordo emersero limiti evidenti:

gli scioperi, pur partecipati, contarono su adesioni altalenanti e non sempre condivise. Anche la città aveva risposto tiepidamen-te alle richiestiepidamen-te operaie, tiepidamen-temendo che le sinistre potiepidamen-tessero trarre un vantaggio elettorale dalla vertenza: all’indirizzo dei “cuciri-ni” giunsero così solo poche offerte esterne, mentre – durante i cortei – i negozianti serrarono sovente le saracinesche nel timore di atti vandalici.

Segnato dalle divisioni tra le principali organizzazioni sinda-cali, pertanto, il 1963 della Cantoni trascinò con sé gran parte del-le difficoltà operative precedentemente evidenziate. Sospinto sul piano conflittuale dalla Cgil e – in misura ridotta – dalla Cisnal di Alfredo Cesari, scontò inoltre un complesso tentativo di poli-ticizzazione relegabile allo sforzo del Pci di estendere il conflitto sociale verso gli obiettivi organici della sua strategia complessi-va. Fu in quest’ottica, ad esempio, che il viareggino Francesco Malfatti – segretario della Camera del lavoro di Lucca – lasciò la guida del sindacato ad Alfredo Bianchi in piena vertenza, eletto nelle file parlamentari comuniste nell’estate del 1963.

Persisteva infine un’altra condizione, forse la più incisiva:

l’impossibilità per le rappresentanze di sedersi al tavolo di di-scussione con i dirigenti. Il nodo concerneva due aspetti: uno politico-giuridico, l’altro politico-economico. Dal punto di vista costituzionale, l’equiparazione sociale legata all’art. 3 prelude-va sia al riconoscimento degli scopi individualistici dell’impresa privata (art. 41), sia all’autotutela degli interessi dei lavoratori attraverso gli artt. 39 (libertà sindacale) e 40 (diritto di sciopero).

Tuttavia, come nel resto d’Italia, lo spazio istituzionale del con-flitto sociale continuava a restare fuori dalla dialettica azienda-le: ciò non si concretizzava solo nelle serrate e nei licenziamenti contro i soggetti più facinorosi, ma anche nel rifiuto aziendale di riconoscere alle forze sindacali il ruolo di interlocutrici. In aree come la Lucchesia, dove le maestranze mancavano di maturità conflittuale e i quadri scontavano evidenti difficoltà

proselitisti-che, queste dinamiche risultarono ancora più marcate: nel corso della vertenza, nessun dirigente della Cucirini Cantoni Coats aveva voluto incontrare i membri della commissione interna, li-mitandosi a trasmettere le proprie controproposte ai canali isti-tuzionali dalla sede amministrativa di Milano. Una differenza sostanziale se comparata con quanto avveniva in altre aree del paese, specialmente – come avrebbe confermato anche una te-stimonianza di Alfredo Bianchi – per i dirigenti che già avevano avuto a che fare con realtà operaie più incisive:

Nel 1966, durante una vertenza allo Iutificio di Ponte a Moriano e al Cotonificio Oliva che, a quel tempo, pur essendo due società di-verse, erano dei Costa, riuscimmo, tramite i sindacati di Genova, a fissare un appuntamento con la Direzione di Genova. Riempimmo 7-8 pullman e facemmo un corteo a Genova, dove ci aspettavano i sindacalisti genovesi. Per noi fu una cosa nuova nel senso che era la prima volta che si andava a fare una manifestazione al di fuori di Lucca. Quando arrivammo al palazzo della Direzione notammo subi-to una mentalità diversa rispetsubi-to ai padroni lucchesi, perché ad aspet-tarci c’erano i dirigenti delle due società. Ci accolsero, ci salutarono, ci domandarono se si era fatto buon viaggio, se si aveva bisogno di niente! Non risolvemmo le cose, ma ci fu la trattativa; andammo su, si discusse civilmente.30

Invero, nel 1963 lo scozzese James Gordon Ruffel – ammi-nistratore delegato dell’azienda – era sceso per la prima volta a Lucca con l’intento di trovare una soluzione al problema: lo aveva fatto però incontrando solo il prefetto Carlo Ponzano e il sindaco democristiano della città, Italo Baccelli. Erano stati loro – assieme al presidente della provincia Ildo Barsanti – ad assu-mere le vesti di mediatori della vertenza, recandosi due volte in Lombardia per gestire una trattativa che la Cisl aveva posto an-che all’attenzione del ministro del Lavoro, Umberto delle Fave.

30.  Giovanni Lencioni, Luciano Franchi (a cura di), 40 anni di storia della Cgil lucchese nel racconto dei protagonisti, Lucca, Tipolito, 2000, pp. 31-32.

D’altronde, come riportava un resoconto della seduta del Consi-glio comunale di Lucca del 10 settembre 1963, la questione – pur nelle divergenze interpretative – aveva assunto un’importanza decisiva anche all’interno della Giunta:

In apertura di seduta, il segretario della Federazione Comunista, Ser-gio Dardini, chiedeva che, «al di là delle diverse valutazioni sulla tattica sindacale e sui tempi della lotta, il Consiglio esprimesse chia-ramente la sua condanna per la Direzione della Cantoni, per la con-dizione intollerabile in cui tiene gli operai, la sua solidarietà verso le maestranze e l’auspicio che si arrivi al più presto ad una trattativa che porti ad una soluzione della vertenza favorevole per i lavoratori anche nell’interesse della economia cittadina danneggiata dal regime di bassi salari imposto alla Cucirini Cantoni Coats». Favorevolmen-te a questa proposta si pronunciava il socialista Spinelli, mentre la democristiana on. Martini, pur consentendo sulla valutazione della denuncia fatta dalle sinistre, tendeva a spostare la discussione sui metodi di lotta, ricalcando, in sostanza, la posizione della Cisl, che è quella di rinviare tutto alla lotta contrattuale.31

È qui che si colloca il secondo punto, quello di natura politico-economica. La politica della Democrazia cristiana lucchese rifletteva infatti una linea partitica tesa a mediare i conflitti di lavoro entro un orizzonte «genericamente conciliativo e praticamente privatistico»32, orientato a marginalizzare l’azione delle sinistre. Un posizione che aveva assunto tratti di aperto contrasto: nel luglio 1963, temendo nuovi scioperi e «manifesta-zioni tese a turbare l’ordine pubblico», il Comune di Lucca aveva esemplificativamente negato la concessione delle aree antistanti allo stabilimento per eventuali comizi33. Vista l’importanza dello stabilimento per la Lucchesia, dalle parole di Maria Eletta

Marti-31.  Incontro a Lucca per la Cantoni, in “L’Unità”, 11 settembre 1963.

32.  L. Baldissara, 1969. Dalle storie separate, cit. p. 74.

33.  ACLu, Registro dei verbali delle deliberazioni del Consiglio comunale, luglio 1963.

ni emergeva però anche un altro timore: quello del dislocamen-to aziendale più volte minacciadislocamen-to da Ruffel. La classe dirigente democristiana, impegnata a catalizzare interessi nazionali per lo sviluppo delle imprese, non poteva certo rischiare la rescissione di un legame imprescindibile per l’intera provincia; a dimostra-zione di quanto fosse esteso il raggio economico della Cantoni, basti pensare che alle trattative milanesi aveva partecipato anche Adolfo Lucchesi, primo cittadino di Capannori34.

Ciononostante, la memoria sindacale ha comunque attribui-to al 1963 i caratteri di vera e propria svolta: «se un giorno uno studente volesse fare una tesi di laurea sul movimento operaio lucchese, dovrebbe considerare questa lotta come un momento di rottura, un momento dal quale poi cambia qualcosa nella so-cietà lucchese», avrebbe ricordato Francesco Malfatti35. A essere mutata, ha invece osservato Paolo Barsocchi, fu soprattutto la concezione dei rapporti sociali: «non ci furono grandi benefici economici, ma il cambiamento fu nella testa della gente che si rese conto che potevano essere delle “persone”, che potevano dire una loro idea, che potevano urlare anche ad uno che le trat-tava male, che anche in casa, e questo le donne, potevano contare di più»36. Parole riconducibili a quelle spese anche da un altro sindacalista, Riccardo Fratino, tra i quadri più attivi alla Cantoni nella seconda metà degli anni Sessanta: «se quella dell’indimen-ticabile 1963 restò principalmente la lotta della fabbrica, senza quell’esperienza sarebbe stato impossibile far assumere a quella del 1968-1969 i connotati di lotta cittadina, di tutti»37.

Queste affermazioni ci consegnano una prospettiva impor-tante. La vertenza, di fatto, ispirò istanze rivendicative analoghe

34.  Cfr. Franco Salvetti, Cucirini Cantoni Coats: il settore tessile, in “Documen-ti e Studi”, 2007, 29, pp. 293-294.

35.  G. Lencioni, L. Franchi, 40 anni di storia, cit., p.19.

36.  Intervista a Paolo Barsocchi, Riccardo Fratino e Venanzio Pieruccini a cura dell’autore, Isrec Lucca, 7 gennaio 2015.

37.  Ibidem.

anche al Cotonificio Oliva, allo Iutificio di Ponte a Moriano e alle Officine Lenzi. Il supporto peraltro non arrivò solo dalle Federa-zioni giovanili socialiste e comuniste di Lucca, ma anche da alcu-ne aree circostanti: furono i mezzadri di Gragnano, Montecarlo e Altopascio a inviare ai lavoratori della Cantoni un furgoncino carico di uova e latte in segno di solidarietà. E fu sempre in que-sta prospettiva, pur con scarsi risultati, che il sindacato cercò di promuovere nuove forme per legare le rivendicazioni dei “cuci-rini” alla città, organizzando cortei per le vie di Lucca e conve-gni allo stadio Porta Elisa e al Teatro del Giglio: l’obiettivo, come riportava Liborio Guccione, era mostrare quanto «migliorare le condizioni economiche dei lavoratori della Cantoni significasse mettere in circolazione molti milioni che anziché restare nelle ta-sche degli azionisti» sarebbero andati in «quelle dei commercian-ti lucchesi, incrementando l’atcommercian-tività commerciale cittadina»38.

In termini assoluti, risulta comunque difficile attribuire il

«grande collegamento» tra il 1963 e il 1969 a una «eredità di co-scienza di fabbrica»39. Se, da un lato, non sarebbe infatti possibi-le comprendere i caratteri del 1968-69 lucchese senza un’analisi pregressa dello spazio politico, sociale ed economico in cui prese forma, è altrettanto certa l’impossibilità di conferire al rivendica-zionismo operaio una centralità assoluta – tanto più in termini di classe – all’interno di questa cornice. Come cercherò di dimo-strate in quest’ultimo paragrafo, a incidere furono piuttosto due fattori collaterali: il persistere di condizioni di fabbrica deficitarie e di retribuzioni insufficienti, tali da segnare – ben oltre il piano ideologico – istanze di economia morale legate alle trasformazio-ni sociali in atto nella fabbrica e nell’intera Lucchesia; una spinta sindacale diversa, rafforzata dall’esperienza del 1963 e da un’u-nità capace di implementare la connessione tra le rivendicazioni aziendali e l’economia del territorio.

38.  Liborio Guccione, La lunga lotta dei tremila della Cucirini, in “L’Unità”, 26 settembre 1963.

39.  Ibidem.

4. Prospettive e limiti di un 1969: fabbriche e