• Non ci sono risultati.

La distribuzione dei redditi già tassati in capo al trust

5 . Il trust senza beneficiari individuati

7. La distribuzione dei redditi già tassati in capo al trust

77 In definitiva, quindi, ogni qualvolta il trust sia titolare di un ambito di “discrezionalità” in merito alla destinazione dei redditi derivanti dalla gestione, di modo da poter indirizzare tali ricchezze al perseguimento di interessi di cui lo stesso trust è portatore, in forza dell'atto istitutivo (così nei trust di scopo, privi di beneficiari specificatamente individuati, nonché nei trust liberali c.d. di accumulo dove sono individuati beneficiari di patrimonio o finali), esso dovrà assolvere direttamente il debito d’imposta, che sorge nella sua sfera giuridica.

Con l'entificazione del trust, opportunamente incentrata sul patrimonio segregato, il nostro legislatore ha quindi voluto creare un autonomo centro d'imputazione soggettiva, mediante il quale commisurare la capacità contributiva a quegli interessi per la cui soddisfazione è costituita la stessa proprietà funzionale; interessi che potranno fare capo al trust stesso, a cui sarà quindi imputata ex art. 73 primo comma l'obbligazione d'imposta sui redditi “funzionali” prodotti dal patrimonio segregato, oppure ai beneficiari, nel qual caso opererà la tassazione per trasparenza dei redditi medesimi.

78 riflessioni, premettendo che le conclusioni sono necessariamente diverse a seconda che il beneficiario abbia “acquistato” (trust oneroso) o meno (trust liberale) il suo diritto a ricevere la prestazione patrimoniale dal trust, ossia se tale prestazione trovi o meno il proprio presupposto nel compimento di un’attività o nell’impiego di capitale da parte del beneficiario104.

Quanto al caso di trust liberale una certa dottrina, seppur minoritaria, nel periodo immediatamente successivo all’entrata in vigore della legge finanziaria per il 2007, aveva segnalato che la mancanza di raccordo derogatorio tra il primo e il secondo comma dell’art. 73 Tuir avrebbe potuto legittimare i dubbi (espressi in precedenza anche in relazione alla disciplina tributaria degli utili societari distribuiti ai soci) circa una possibile applicazione contestuale di entrambe le norme, da cui sarebbe derivata una doppia tassazione: dapprima i redditi sarebbero stati tassati in capo al trust opaco e successivamente, una volta distribuiti ai beneficiari finali o ai beneficiari successivamente individuati, sarebbero stati nuovamente tassati in capo a loro, nonostante tali soggetti non avessero “acquistato” il loro diritto alla attribuzione patrimoniale.

Tali dubbi erano alimentati anche dal fatto che l’art. 44 lett. g) sexies Tuir classifica i redditi distribuiti dal trust ai beneficiari come redditi da capitale, giacché il salto di categoria sembra sottendere un mutamento di titolo giustificativo.

Ad una medesima conclusione peraltro si era addivenuti ancor prima della emanazione della disciplina fiscale dei trust; una certa dottrina rilevava, infatti, che nelle ipotesi di trust nudi, dove il reddito veniva imputato ai beneficiari direttamente nell'atto istitutivo, senza alcun potere discrezionale di destinazione in capo al trustee, la tassazione sarebbe dovuta cadere prima in capo al trust, a fronte della attività gestoria che ha prodotto la ricchezza, e quindi in capo ai beneficiari, reali possessori del reddito, come interesse da capitale (ex art. 44 lett. h) Tuir) o come rendita vitalizia. La prassi e la dottrina che sostenevano tale posizione sottolineavano che la distribuzione dei redditi ai beneficiari dipendeva da una obbligazione di dare la quale è si indefettibile per l'esistenza del trust,

104. P. GAETA, Introduzione ai principali aspetti tributari dei trust interni, in AA.VV., Introduzione ai trust e profili applicativi, a cura S. BUTTÀ, Quaderni della rivista “Trust e attività fiduciarie” n. 2, Milano, Giuffrè, 2001, pag. 158.

79 ma comunque non afferente alla attività che ha prodotto il reddito; il differente titolo giustificativo era quindi l'argomento usato per escludere che si avesse una doppia imposizione vietata.

La prevalente dottrina105 peraltro si è sin da subito schierata dalla parte opposta, escludendo, quindi, l’applicazione contestuale dei commi primo e secondo dell’art. 73 Tuir in relazione al medesimo presupposto impositivo e deducendo di conseguenza la non tassabilità dei redditi distribuiti ai beneficiari, sui quali l’imposta è già stata scontata in capo al trust liberale.

I motivi di tale interpretazione erano vari; in primo luogo e principalmente si volevano ricostruiti i rapporti tra primo e secondo comma dell’art. 73 Tuir secondo una lettura sistematica che tenesse conto dell’art. 163 Tuir, il quale proclama il divieto di doppia imposizione, per cui nessuna imposta può essere applicata due volte in relazione al medesimo presupposto, nemmeno nei confronti di soggetti diversi. E’ chiaro che la ricostruzione criticata violava tale divieto, imponendo un doppio prelievo sullo stesso valore reddituale.

In secondo luogo si offriva un argomento di tipo comparatistico: dall’ esame delle legislazioni di diversi stati, infatti, emerge l’ alternativa tra tassazione in capo al trust e tassazione in capo ai beneficiari, laddove questi ultimi siano titolari di un diritto attuale ed incondizionato a ricevere annualmente i redditi del trust106.

In terzo luogo si rilevava la non inquadrabilità all'interno di alcuna categoria di reddito, delle somme già tassate in capo al trust, una volta distribuite ai beneficiari.

Questa conclusione si fondava sul fatto che i beneficiari non hanno impiegato alcun capitale, né compiuto alcuna attività, né investito la loro ricchezza nel trust fund; ossia, per dirla in altre parole, essi non hanno “acquistato” il loro diritto alla distribuzione patrimoniale, con la conseguenza che le somme da loro percepite andrebbero tassate

105. G. SEPIO, E. COVINO, La regolamentazione del trust ai fini delle imposte sui redditi: luci e ombre, in Dialoghi di diritto tributario, 2007, n. 1, pag. 77; D. STEVANATO, G. SEMINO, Il regime fiscale del trust tra punti fermi e questioni irrisolte, in Dialoghi di diritto tributario, 2008, n. 2, pag. 95;

106. D. STEVANATO, Redditi del trust e soggetti titolari della relativa capacità economica, in Dialoghi tributari, 2007, n. 12, pag. 1579; Regime di trasparenza per i trust interni “non discrezionali”, in «Dialoghi di diritto tributario», 10, 2004, pp. 1391 - 1402;

80 nell’ambito delle imposte sui trasferimenti, piuttosto che in quello delle imposte sui redditi107.

A ben guardare, infatti è anzitutto sbagliato assimilare i beneficiari del trust ai soci di una società di capitale, al fine di applicare, alle somme percepite dai primi, la disciplina della tassazione degli utili distribuiti, quali redditi di capitale108. Come abbiamo già detto, i beneficiari del trust non investono capitale nel trust fund, mentre, in relazione alle società, i soci traggono i redditi dai frutti dei loro conferimenti nel capitale sociale.

Analogamente la distribuzione di somme patrimoniali ai beneficiari non può essere ricondotta alla categoria dei redditi di capitale mediante il richiamo alla norma di cui all'art. 44 lettera g) sexies del Tuir, la quale, stante il rinvio all’art. 73 secondo comma, si applica esclusivamente ai redditi conseguiti dal trust e direttamente imputati ai beneficiari.

L'unica equiparazione che sembra astrattamente possibile per la distribuzione delle somme patrimoniali è quella alle rendite, le quali sono tassate come redditi di capitale (rendite perpetue) o come redditi da lavoro dipendente assimilati (rendite vitalizie).

Peraltro il beneficiario non ha diritto alla rendita a fronte di un negozio oneroso, dato che esso non ha alienato beni né impiegato capitale; la sua posizione sembra quindi più vicina allo schema di rendita a favore di terzo, a cui è applicabile la disciplina delle liberalità e non quella degli atti onerosi109.

Sul punto si è definitivamente pronunciata l'Agenzia delle entrate con circolare 48/E del 6 agosto 2007, escludendo che la distribuzione successiva ai beneficiari del reddito già tassato in capo al trust liberale possa comportare nuova imposizione; sul punto quindi non sembrano esserci più dubbi.

107 . P. GAETA, Introduzione ai principali aspetti tributari dei trust interni, in AA.VV., Introduzione ai trust e profili applicativi, Quaderni della rivista Trust e attività fiduciarie n. 2, a cura S. BUTTÀ Milano, 2001, pag. 158;

108. A. RIGHINI, R. LUPI, D.STEVANATO, Irrilevanza fiscale delle erogazioni ai beneficiari e trust non residenti, in Dialoghi di diritto tributario, 2008, n. 4, pag. 101; G. ZIZZO, La ricchezza erogata dal trust, tra reddito e capitale, in Rassegna Tributaria, 2008, n. 5, pag. 1275.

109. N. DE RENZIS SONNINO, Il trust e i redditi dei beneficiari, in Trusts e attività fiduciarie,2007, n. 4, pag. 361.

81 Quanto fin qui affermato, comporta che le somme attribuite ai beneficiari del trust liberale non sono riconducibili alla nozione di reddito, riconosciuta nel nostro ordinamento110.

Questa conclusione, peraltro, non deve far sorgere dubbi circa l’operatività del meccanismo di tassazione per trasparenza, previsto dal secondo comma dell’art. 73 Tuir, il quale, come sappiamo, stabilisce che i redditi conseguiti dal trust sono tassati direttamente in capo ai beneficiari, titolari di un diritto attuale e incondizionato a percepire i redditi medesimi.

La scissione che si viene a creare in tali ipotesi, tra titolarità della fonte del reddito (infatti il reddito è sempre del trust) e rapporto obbligatorio d’imposta (imputato ai beneficiari) si giustifica, come abbiamo già detto, in relazione al fatto che sono i beneficiari ad esprimere effettivamente la capacità contributiva circa il reddito conseguito dal trust, dato che tale ricchezza deve essere destinata alla cura di interessi facenti capo a loro stessi111.

Quanto invece al caso di “trust oneroso”, in cui il diritto dei beneficiari alla distribuzione somme determinate è previsto a fronte di una precedente attività o impiego di capitale, la qualificazione reddituale delle somme percepite è astrattamente possibile e dovrà essere valutata nel caso concreto in relazione all’esistenza dei requisiti previsti per le singole categorie di reddito.

Con “trust onerosi”, infatti, ci si riferisce a quei trust costituiti dal disponente allo scopo di adempiere ad una obbligazione che lo lega al beneficiario, in forza di un precedente contratto; in questo caso le somme patrimoniali distribuite ai beneficiari a titolo di adempimento, non potranno sfuggire alla loro qualificazione reddituale derivante dal contratto sottostante.

110. G. ZIZZO, La ricchezza erogata dal trust, tra reddito e capitale, in Rassegna tributaria, 2008, n. 5, pag. 1275.

111. M. CASALINI, L’imputazione per trasparenza dei redditi del trust ai beneficiari – condizioni e conseguenze, in Teoria e pratica della fiscalità dei trust, a cura di G. FRANSONI e N. DE RENZIS SONNINO, Milano, 2008, pag. 161.

82 Potrà cosi realizzarsi il caso in cui i redditi già tassati in capo al trust siano successivamente distribuiti al beneficiario a titolo oneroso, scontando l’eventuale imposizione anche in capo ad esso112.

Questa struttura si realizza tipicamente nei trust costituiti per l’adempimento di una obbligazione o nei trust di garanzia.