• Non ci sono risultati.

Elementi che influenzano il rischio cardiovascolare nel DM1 129 130 70

9   EPIDEMIOLOGIA DEI FATTORI DI RISCHIO CARDIOVASCOLARI NEL DM1 70

9.1   Elementi che influenzano il rischio cardiovascolare nel DM1 129 130 70

Suscettibilità genetica alla CVD nel DM1

Alcuni dati sembrano fornirci una risposta affermativa in questo senso e a tal proposito potremmo citare la questione della “Haptoglobin” (Hp).

Negli ultimi anni si è dimostrato che il genotipo dell’Hp può meglio caratterizzare nell’ambito dei soggetti DM2 sottogruppi a minore e maggiore rischio cardiovascolare 131-

134; si è anche visto che i soggetti con genotipo a maggior rischio (Hp 2-2) potrebbero

trarre un qualche beneficio tramite la supplementazione con Vitamina E 135.

Parentesi sull’Haptoglobina:

L’Haptoglobina è una proteina che fisiologicamente lega l’Hb libera, facilitando pertanto la sua rimozione dal circolo tramite il sistema monocito-macrofagico e pertanto, indirettamente, prevenendo il danno ossidativo Hb-indotto sui tessuti 136.

La distribuzione degli alleli Hp non è diversa nella popolazione diabetica ed in quella non diabetica, ma solo nella prima essa influisce sul rischio cardiovascolare.

Il genotipo 2-2 è stato dimostrato essere a maggior rischio in studi fatti su pazienti DM2, e recentemente si sono ottenuti risultati simili in pazienti DM1, ad esempio nel ‘Pittsburg EDC study of childhood onset type 1 diabetes’, in cui si analizzò il DNA di 486 pazienti DM122.

Non si sa ancora se la Vitamina E può essere d’aiuto nei DM1 con genotipo 2-2.

Quindi, sembra che il genotipo Hp permetta di meglio caratterizzare il rischio cardiovascolare in un paziente diabetico.

Correlazione tra le complicanze microvascolari ed RCV nel DM1

Neuropatia autonomica

Forte associazione(vd dopo)

Nefropatia diabetica

La DN rappresenta uno spartiacque prognostico dal punto di vista della mortalità nei pazienti con DM1, e ciò è corroborato da numerosi studi.

Nello Steno Diabetes Center Group 124 si dimostrò incontrovertibilmente che la malattia renale era fortemente associata al rischio cardiovascolare in DM1, suggerendo un possibile ruolo causale.

Sembra anche che la malattia renale modifichi la modalità di presentazione della CAD in pazienti DM1.

Nell’EDC study si è confrontata la prima manifestazione della CAD in soggetti con e senza nefropatia (stabilita in base all’Albumin excretion rate > 200 microgrammi/min). Nei

primi vi era una maggiore probabilità di avere un evento CV grave (infarto o morte) piuttosto che semplici alterazioni ECG (vd.fig sotto).

Fig. 9.1. Effetti della nefropatia sulla modalità di manifestazione del primo ECV nel DM1, tratto da When Are Type 1 Diabetic Patients at Risk for Cardiovascular Disease, di Orchard et al., 2010

Qualche altro dato:

-i soggetti DM1 con nefropatia diabetica hanno un rischio di morire per ECV x 40 rispetto a quelli senza nefropatia diabetica 137;

-in uno studio di Tuomilehto et al. 138 si è visto che la nefropatia è strettamente correlata con rischio CVD globale (inclusi CHD e stroke), e che all’età di 40 anni l’incidenza cumulativa di CVD nei DM1 nefropatici era del 43 %, versus il 7% dei DM1 non nefropatici.

Fig. 9.2. Effetti della nefropatia sull’incidenza cumulativa di CVD nel DM1, tratto da Cardiovascular Disease Risk in Young People with Type 1 Diabetes, Snell-Bergeon et al.

Si manifesta di solito già alla pubertà, ed è riscontrabile microalbuminuria nel 12-16 % degli adolescenti 139-143.

L’insorgenza di microalbuminuria si associa al comparire di altri fattori di rischio CV come l’ipertensione 144, l’iperlipidemia 145, 146 , ed un aumento della frazione delle IDL 147 (molto pericolose dal punto di vista dell’aterogenesi).

Anche qui c’è da ricollegarsi all’epidemia di obesità: essa peggiora sia direttamente il profilo lipidico, sia indirettamente andando a peggiorare la nefropatia.

Pertanto i DM1 nefropatici ed obesi rappresentano una classe fortemente a rischio di avere un profilo lipidico sfavorevole 148, tanto che frequentemente essi arrivano a soddisfare i

Infine un’ultima considerazione sulla DN 130 .

Qual’è la relazione tra DN ed MCV ? Vi è un ruolo causale?

La natura di questo legame non è stata definitivamente chiarita.

Forse la malattia renale influenza negativamente una serie di fattori di rischio come la pressione arteriosa, il profilo lipidico, i marker infiammatori.

Un altro possibile collegamento che ci potrebbe essere tra malattia renale e rischio cardiovascolare nel DM1 è la condivisione di una condizione di insulinoresistenza, riscontrata in alcuni studi in cui si valutava la resistenza all’azione dell’insulina con la tecnica dell’ “hyperinsulinemic-euglycemic clamp”13.

Questo potrebbe spiegare come mai, sebbene ci sia stata una netta riduzione della mortalità per cause renali (tramite stretto controllo della glicemia e della pressione arteriosa), non vi sia stato un proporzionale calo della mortalità per CAD.

Inoltre molti studi hanno dimostrato che la mortalità per ECV non è molto alta per i DM1 non nefropatici 149 .

Di quì alcuni autori hanno addirittura messo in dubbio il fatto che il DM1 di per se stesso aumenti il rischio CV, supponendo che l’aumento del RCV sia imputabile alle sue complicanze e comorbidità.

Purtoppo mancano studi per smentire o confermare questa ipotesi, dal momento che sarebbero necessari studi longitudinali in cui i DM1 abbiano un gruppo di controllo non diabetico.

Studi del genere ci aiuterebbero a capire se e quanto nei DM1 liberi da complicanze renali sia aumentato il rischio CV e se questo sia dovuto ad altro. L’unico studio in cui vi erano dei controlli non diabetici è stato lo studio statunitense CACTI.

Ruolo della glicemia e del suo controllo

E’ una questione controversa. Alcuni studi sperimentali, come il già citato DCCT/EDIC 4, dimostrarono una drammatica riduzione (del 57 %) nel lungo termine (17 anni) del rischio di ECV, a partire dai 6 anni circa di terapia insulinica intensiva; altri studi invece, osservazionali, hanno documentato una debole, forse inesistente associazione tra la glicemia e gli ECV nei DM1 150.

Un’ importante differenza tra le due tipologie di studi è la durata media di malattia: nel DCCT 6 anni, negli altri di tipo osservazionale invece 14-19 anni 150. Di qui un’interessante ipotesi: che la glicemia sia determinante nelle fasi iniziali dello sviluppo delle placche aterosclerotiche, ma non dopo, quando esse si sono già formate, comportamento forse spiegato dalla teoria della “memoria metabolica”.

Pertanto solo in queste condizioni, cioè con un periodo di precoce ed ottimale controllo della glicemia, sembra ci sia un beneficio dal punto di vista CV.

Anzi, sembra che le placche possano essere a maggior rischio di eventi acuti qualora il paziente sperimentasse frequentemente ipoglicemie a seguito di una terapia insulinica aggressiva150.

Risultati concordanti vengono da studi su pazienti DM2, potendo citare lo studio VADT, dove i benefici da un punto di vista cardiovascolare di un più rigido controllo glicemico, si vedevano solo in coloro che all’inizio dello studio avevano una durata di malattia minore di 15 anni.

Infine un’ulteriore conferma di quanto detto viene da un recente aggiornamento dal DCCT/EDIC study (2009), dove a 30 anni di follow up, l’incidenza cumulativa di ECV nel braccio aggressivo è dell’8 %, nel braccio convenzionale del 15 %.

Forse alcuni benefici dell’abbassamento della glicemia derivano indirettamente dal miglioramento di altri fattori di rischio tradizionali: profilo lipidico e pressione arteriosa, che traggono giovamento da un migliore controllo glicemico (vd dopo).

L’iperglicemia è inoltre stata associata ad altri marker di ECV, ad esempio disfunzione della muscolatura liscia vascolare in donne DM1 151, aumento del cIMT in soggetti giovani DM1 152, disfunzione diastolica valutata ecocardiograficamente con anormale rapporto E:A

153, ed un profilo delle lipoproteine misurato con RMN più aterogenetico nel DCCT/EDIC 154.

Migliorare il controllo glicemico nel giovane DM1 quindi sembra essere un ragionevole target perché correla con una ridotta mortalità per cause CV in studi epidemiologici e longitudinali 4.

Tuttavia, da un lato una terapia insulinica aggressiva, nel paziente pediatrico/giovane DM1 potrebbe esser di difficile realizzazione, per frequenti problemi di compliance.

Dall’altro lato, il DCCT sottolinea il fatto che il controllo glicemico ottimale riduce, ma non elimina le complicanze cardiovascolari nel paziente DM1: in altre parole, pur con un controllo perfetto della glicemia, il giovane DM1 avrà comunque un maggior rischio cardiovascolare rispetto ai suoi coetanei non diabetici: l’iperglicemia 155 ed i tradizionali fattori di rischio 156, 157 spiegano solo in parte l’aumento del rischio CV nel DM1.

Cos’altro potrebbe esserci?

La terapia insulinica aggressiva si associava ad aumento di peso in un sottogruppo dei soggetti del DCCT 158, specialmente donne, in cui si assisteva ad un peggioramento del profilo lipidico, della pressione arteriosa e dell’insulino resistenza.

velocità diastoliche nei giovani (maschi) DM1159, e nelle ragazze DM1 ritardardo rilasciamento miocardico 160 ed attenuato aumento della gittata sistolica in risposta all’esercizio 161.

Quindi sarebbe un bene conoscere cos’altro comporta l’aumento del rischio CV e potervi intervenire. Interessanti ipotesi, ancora da confermare, riguardano l’insulino-resistenza e lo

stato di flogosi locale/sistemica

Insulino resistenza

L’insulino resistenza è l’elemento patogenetico più importante del DM2, tuttavia è recentemente emersa la possibilità che essa possa giocare un qualche ruolo nel DM1 153,

162.

Si è visto che nei giovani soggetti DM1 normopesi, l’insulinoresistenza è significativamente più spiccata dei controlli, accoppiati per età, sesso, BMI 153.

In aggiunta l’epidemia di obesità non sta risparmiando i soggetti DM1, pertanto in quelli anche obesi, l’aumento di peso peggiora ulteriormente l’aspetto dell’insulino resistenza, configurando in alcuni casi quella sitazione nota come “Double Diabetes”27.

Questo potrebbe spiegare una parte dell’eccesso di rischio nel DM1.

Qualche dato a sostegno: in soggetti giovani DM1, indipendentemente dalla glicata, l’insulinoresistenza (misurata con la tecnica dell’ ”hyperinsulinemic euglycemic clamp”) correlava positivamente nel “CACTI study “ col CAC (coronary artery calcium) ed un pattern lipidico aterogeno162-164, mentre in un altro studio con rapporto E:E’ uno dei migliori indici ecocardiografici di disfunzione diastolica 153.

Un’ulteriore conferma sul ruolo dell’insulino-resistenza come fattore di rischio cardiovascolare potrebbe giungere da studi sugli effetti della metformina nei pazienti

La metformina è nota essere un farmaco di prima linea nel DM2; essa migliora l’insulino resistenza riducendo l’output epatico di glucosio e incrementandone la captazione a livello periferico, specie muscolare 165.

Sono stati fatti diversi trials in giovani DM1; in questi si è visto che il farmaco ha un effetto metabolico apparentemente favorevole migliorando l’HbA1c 166 e l’insulino resistenza, come dimostrato in uno studio di Sarnblad et al. nel quale essa veniva stimata con la tecnica dell’ ”Hyperinsulinemic euglycemic clamp “167. Tuttavia non ci sono ancora stati trials con follow-up abbastanza lungo da poterci fornire notizie sull’outcome CV 168.

Infiammazione ed Adipochine

E’ noto che stati di flogosi sistemica,come per esempio quelli riscontrabili in numerose malattie immuno-reumatologiche, come il LES, inducano un’ accelerazione del processo aterosclerotico.

Nei giovani DM1 i livelli di alcuni marker di flogosi sono aumentati 169, come ad esempio l’hs-CRP, IL-6, TNF-α, in particolare nei soggetti con IR più marcata e di sesso femminile170.

Questi dati vengono da studi osservazionali trasversali.

Non si sa ancora, e servono studi longitudinali per poterlo scoprire, se siano semplici marker di flogosi nel DM1 o se siano predittori di ECV.

Infine l’adiponectina, ormone che correla inversamente con l’insulino resistenza, è paradossalmente aumentata nei DM1 giovani e adulti 153, 162.

Ruolo dei tradizionali fattori di rischio cardiovascolari nel DM1

specifico per cause CV, come si è visto nello studio EURODIAB.Tra questi il rapporto fianchi/vita, pressione arteriosa e profilo lipidico come fattori di rischio modificabili 171 . Mentre per la popolazione generale (FHS) e per gli individui con DM2 (UKPDS) sono disponibili dei calcolatori di rischio, questi non sono validi per gli individui DM1, sia per la precoce età d’esordio del diabete, sia per l’importante interazione con le complicanze, specialmente la nefropatia 172.

Sono in via di sviluppo dei calcolatori di rischio ad hoc per i DM1.

Profilo Lipidico 173

A differenza dei DM2, il profilo lipidico degli individui DM1 è generalmente normale da un punto di vista quantitativo, ovvero in termini di concentrazioni, anzi le HDL sono spesso più alte del normale.

Da un punto di vista quantitativo, il profilo lipidico tende ad essere normale in chi raggiunge un controllo glicemico ottimale (Hb A1c < 7,5 %), tende ad essere meno buono in chi invece non raggiunge un valido controllo glicemico.

Va infine detto che da un punto di vista qualitativo, anche a fronte di un controllo glicemico ottimale, persistono delle anomalie delle lipoproteine,

anomalie che potrebbero avere un ruolo nell’aterogenesi ed essere uno di quegli elementi che potrebbe contribuire a spiegare, assieme ad altri, come mai le complicanze macrovascolari non sono controllate come le microvascolari da un buon controllo glicemico.

In un lavoro ad esempio 174 è stato visto che, dopo correzione per età, sesso e malattia renale, il rischio di nuovi ECV era indipendentemente associato alla composizione della lipoproteina HDL-c: in altre parole, a parità di livelli di colesterolo HDL , gli individui con una minor quota di Lp A-I (valutando il rapporto Lp A-I:A-II) avevano un peggior

Se ciò fosse vero (cioè ruolo aterogeno delle anomalie qualitative delle lipoproteine), i cut- off utilizzati per la popolazione generale per definire le dislipidemie, potrebbero non esser validi per i DM1, nel senso della necessità di un abbassamento delle concentrazioni soglia. Infine mentre i soggetti DM1 adulti mostrano un profilo lipidico generalmente normale, da alcuni studi fatti in giovani DM1 (età pediatrica,adolescenti,giovani adulti) sembra più frequente un’alterazione del profilo lipidico nel senso di un aumento dell’ LDL-c.

Non si capisce bene se questo possa essere spiegato o meno da una minore compliance in quella fascia d’età e quindi peggior controllo glicemico.

Ipertensione

E’più frequente nei pazienti pediatrici DM1 rispetto ai coetanei 175.

Nello studio EURODIAB 176 si è vista essere un reperto molto frequente: circa un quarto dei pazienti era iperteso (>140/90) trattato o non.

L’ipertensione è un importante fattore di rischio per lo sviluppo della DN (Diabetic Nephropathy), oltre che poter essere una sua conseguenza.

In uno studio su 82 pazienti pediatrici Koreani DM1, tramite registrazione ambulatoriale della pressione arteriosa nelle 24 ore, si è visto che 38 di questi avevano una normale Pa, 30 solo ipertensione notturna, 12 ipertensione anche diurna 177.

Si è visto che, confrontati con i normotesi, quelli con ipertensione solo notturna avevano un aumento del cIMT, segno di principio di malattia aterosclerotica, anche senza avere ipertensione franca.

Stile di vita

Esistono delle raccomandazioni della ADA 2014 riguardo la dieta e l’esercizio fisico 18. In alcuni studi come il CACTI study 178 è stato riferito che gli adulti con DM1 spesso hanno una scarsa compliance verso le raccomandazioni dietetiche.

Aggiungiamo qualche nota riguardo l’esercizio fisico.

E’ ben noto che, l’attività fisica decresce il rischio di CDV mediante il miglioramento del profilo pressorio, lipidico, flogistico e ponderale.

Tuttavia sembra esser meno praticata nei giovani DM1 l’attività fisica rispetto ai loro coetanei.

Possibili spiegazioni potrebbero essere:

-l’esercizio può portare ad ipoglicemia notturna, i ragazzi ed i genitori lo sanno e per paura di tale evenienza non fanno sport;

-l’esercizio richiede di rivedere l’apporto di cibo e il dosaggio dell’insulina;

-i DM1 potrebbero esser meno prestanti sia in senso assoluto che relativo (rispetto ai loro coetanei) aspetto che potrebbe esser demotivante .

Insulin Omission

Significa minor grado di controllo del diabete.

E’ abbastanza frequente, specialmente tra le donne, e tra queste specialmente tra le adolescenti; una delle possibili motivazioni è la paura di aumentare di peso con la terapia insulinica 179, 180.

Si stima che ciò avvenga nel 31 % delle donne trai 13 ed i 60 anni, e nel 9 % questa omissione è molto frequente 179.