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L’esordio della predicazione patarinica di Arialdo, tra formazione ed eloquenza

Nel documento DOTTORATO DI RICERCA IN Studi storici (pagine 191-199)

IV. L A MISSIONE DI P IER D AMIANI NELLE G ALLIE . I NTERLOCUTORI ETEROGENEI E APPROCCI

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storia della Chiesa milanese a partire dall’anno 375 e dedica largo spazio alle vicende cronologicamente più vicine, anche qui il termine della narrazione è rappresentato dalla morte del pontefice Gregorio VII, ma il tratto più interessante è quello stilistico.

Nonostante le affinità di parte e di genere letterario con Arnolfo, la narrazione è tutt’altro che oggettiva e raramente l’autore cerca di dissimulare i propri sentimenti verso i protagonisti, il racconto è vivo e le emozioni dei personaggi sono continuamente messe in risalto e sono proprio queste a muovere la storia. Un esempio su tutti è quello di Anselmo da Baggio che, secondo Landolfo, a causa dell’invidia provata nei confronti del clero milanese e verso Guido, che gli aveva sottratto la cattedra ambrosiana, darà il là a tutta la vicenda della Pataria. L’autore difende strenuamente anche il matrimonio del clero e descrive minuziosamente la struttura gerarchica della Chiesa ambrosiana, rimarcando più volte il grande spessore culturale e morale dei suoi chierici.229

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strutturazione fondata sulla conoscenza teologica e canonistica, finalizzata all’elevazione spirituale degli uditori e, per converso, dell’intera società. L’operato di Arialdo trova un suo primo banco di prova nei luoghi che lo avevano visto nascere e suoi interlocutori non sono da subito i laici, bensì gli ecclesiastici, coloro che soli potevano comprendere nelle campagne del varesotto e del comasco un messaggio che, inoltre, li vedeva come bersagli di un duro attacco. I vizi del clero non si limitavano solo all’aver preso moglie, ma a una condotta di vita largamente immorale, che in nulla differiva da quella dei laici, dal frequentare le taverne all’esercitare l’usura230. Questa fase ‘locale’ della predicazione arialdina trova poco spazio nelle fonti, non si sapeva molto del periodo antecedente al suo arrivo a Milano e il fatto che lo stesso Andrea, così prodigo di dettagli riguardo ai successivi discorsi del santo, si concentri più sulle generiche colpe degli ecclesiastici della diocesi, lascia intendere che lo stesso Arialdo abbia mantenuto una certa riservatezza circa il suo passato anche verso i propri seguaci. Tutte le fonti concordano sulla grande preparazione teologica del diacono e non potrebbe essere altrimenti, considerando il tenore della sua battaglia. Arnolfo, tuttavia, fa risalire tali meriti all’arcivescovo Guido, che gli aveva fornito le possibilità per accrescere la propria formazione231. Al contrario, Andrea glissa questo punto dicendo come la formazione di Arialdo fosse avvenuta in

230 Andrea Strumensis, Vita Arialdi, c. 7: «Nam alii, cum canibus et accipitribus huc illucque pervagantes, suum venationi lubricae famulatum tradebant, alii vero tabernarii, et nequam villici, alii impii usurarii existebant, cuncti fere cum publicis uxoribus sive scortis suam ignominiose ducebant vitam;

omnesque, quae sua erant, non quae Christi, quaerebant».

231 Cfr. Pellegrini C., I santi Arialdo ed Erlembaldo. Storia di Milano nella seconda metà del secolo XI, Milano 1897, pp. 1-13; 76-79; Idem, Fonti e memorie di S. Arialdo, in ASL I e II: 27 (1900)/2, pp. 209-236; III: 28 (1901)/2, pp. 5-24; IV: 29 (1902)/1, pp. 60-98; Castiglioni C., I santi Arialdo ed Erlembaldo e la Pataria, Milano 1944, pp. 53-55; Violante, La pataria, pp. 175-178; Fonseca C. D., Arialdo, in DBI 4 (1962), pp. 135-139; Golinelli, La Pataria, op. cit., pp. 35-37; Lucioni, Arialdo, santo, in DCA 1 (1987), pp.232 e ss. Arnolfo, Gesta, III, 10: «Quidam igitur ex decomanis diaconus nomine Arialdus, penes Widonem antistitem multis fotus deliciis multisque cumulatus honoribus, dum litterarum vacaret studio, severissimus est divinae legis factus interpres, dura exercens in clericos solos».

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diversis terris232 prima che fosse inviato a continuare la sua opera moralizzatrice a Milano a Deo233.

Nelle poche righe che ciascuna fonte dedica all’avvento milanese di Arialdo nel 1057 è possibile riscontrare i tre diversi livelli della pubblicistica in merito alla Pataria.234 Appena prima che le tre fonti (Andrea, Arnolfo e Landolfo) introducano il discorso principiale e programmatico del santo proveniente da Cucciago, sono gli stessi autori a far presente al lettore in maniera implicita la propria visione programmatica degli avvenimenti che stanno per narrare.235 Procedendo in ordine cronologico: Andrea di Strumi vuole far notare al lettore, oltre alla grande formazione culturale del protagonista, le vittorie ottenute nella sua area di provenienza (che dobbiamo immaginare afferente alla città di Cantù e alle parrocchie limitrofe) e l’immediato avvio della predicazione una volta raggiunta Milano. Per Arnolfo, invece, non solo Arialdo è debitore verso l’arcivescovo che egli stesso decide di attaccare, ma difetta anche in auctoritas, fondamentale per una comunicazione efficace e motivo per cui fin dall’inizio si fa affiancare da Landolfo, detto Cotta, chierico della cattedrale e facente parte dell’ordine dei notai236 «cum esset expeditioris lingue ac vocis»237, abilità su cui concordano tutte le fonti238. Infine, per

232 Andrea Strumensis, Vita Arialdi, c. 6: «Indesinenter denique, in diversis terris, scholasticis se studiis tandiu tradidit, donec optime tam liberalium quam divinarum litterarum haberet scientiam simulque aetatem perfectam».

233 Andrea Strumensis, Vita Arialdi, c. 8: «Ad quorum nimirum perversitatem detegendam et corrigendam, Mediolanum, ubi haec iniquitas tanto erat copiosior quanto urbibus caeteris ipsa est populosior, a Deo procul dubio praefatus missus est Arialdus, divinis, ut praediximus, legibus bene eruditus».

234 La prima manifestazione della Pataria si fa risalire al 10 maggio 1057 con lo scontro avvenuto durante la processione per la festa di san Nazario.

235 In aggiunta a queste fonti merita una menzione la lettera di prete Siro ad Andrea di Strumi in cui viene narrato che sono gli stessi chierici del Varesotto a invitare Arialdo a predicare a Milano, per poter avere dei sacerdoti all’altezza e che sapessero controbattere alle sue invettive contro i costumi del clero.

Andrea Strumensis, op. cit., MGH, p. 1073.

236 Landolfo Seniore, Historia, III, 30. Sulla data di morte di Erlembaldo non c’è nessuna indicazione precisa nelle fonti contemporanee. Il fatto si colloca poco dopo la Pasqua (5 aprile) del 1075.

237 Arnolfo, Gesta, III, 10.

238 Bonizone di Sutri, Liber ad amicum, 7. I partigiani di Erlembaldo fuggirono verso Piacenza e Cremona, città in cui i Patarini avevano già trovato dei sostenitori.

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Landolfo Seniore, il principio della lotta dei patarini si deve ad Anselmo da Baggio, vero artefice dell’attacco al clero milanese a causa dell’invidia in lui provocata dalla mancata elezione ad arcivescovo e da un interessante episodio sulla predicazione di Ambrogio Biffi, chierico ambrosiano dotato di notevoli abilità oratorie ed esperto conoscitore del latino e del greco239; solo in un secondo momento egli avrebbe pianificato l’attacco al clero assieme a Landolfo e Arialdo.240 Landolfo Seniore pone subito delle etichette ben precise ai suoi “personaggi”: Anselmo da Baggio è invidioso e pieno d’ira, Landolfo Cotta ambizioso, Arialdo superbo. Tutta la cronaca è tempestata di giudizi espressi dall’autore circa le qualità e gli stati d’animo dei protagonisti, fornendo non solo la sensazione di trovarsi di fronte ad una sorta di palcoscenico teatrale o cinematografico ma anche al cospetto di un autore estremamente di parte, più di quanto non fosse già ricavabile dal tenore della narrazione.

L’esordio di Arialdo nell’ambito della sua predicazione milanese è quello del manifesto programmatico241 di tutto quel movimento che da lì avrebbe preso il largo.242 Il primo discorso segnalatoci da Andrea di Strumi e da Arnolfo presenta dei tratti in

239 Landolfo, Hist. Med., III, 4. Sull’episodio cfr. Rusconi R., Predicazione e vita religiosa nella società italiana, op. cit., pp. 47-48.

240 Landolfo seniore, Hist. Med., III, 4: «Praeterea alium forensem clericum, levitam tantum, quem ipse Guido sibi consecraverat, Arialdus nomine, ortus in loco Cuzago prope Canturium, artis liberae magister, ut magis ac magis animi sui voluntatem erga ordines omnes indiscrete exardescentem exerceret, sibi associavit. Hic enim Arialdus cujusdam superbiae zelo gravatus, qui paulo ante de quodam scelere nefandissimo accusatus et convictus ante Guidonem, astantibus sacerdotibus hujus urbis multis, et partim quia urbani sacerdotes forenses togatos urbem intrare minime consentiebant, et ecclesias civiles illis habere nisi per tonsuram non permittebant, per omnia occasionem quaerebat qualiter omnes sacerdotes ab uxoribus, populi virtutem sollicitando, removeret».

241 Già Miccoli, Chiesa gregoriana, op. cit., pp. 96-103, forniva un accurato commento al primo discorso di Arialdo e Violante C., I laici nel movimento patarino, in I laici nella «societas christiana» dei secoli XI-XIII. Atti della III Settimana internazionale di studio della Mendola, 21-27 agosto 1965, Milano 1968, p. 656 sottolinea come si tratti del nucleo più genuino della predicazione patarinica.

242 Arialdo sapeva benissimo che la sottigliezza delle distinzioni giuridiche mal si adattava alla predicazione nelle piazze, da qui derivava la riduzione in termini morali di tutta la discussione sul celibato del clero e sulla simonia. I laici non erano in grado di capire lo spessore ecclesiologico del dibattito, che doveva quindi essere ridotto in termini più accessibili. D'Acunto, N., Argomenti di natura giuridica, in Verbum e ius: predicazione e sistemi giuridici nell'Occidente medievale (32). Firenze University Press, Firenze 2018, pp. 89-107.

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comune tra le due versioni, ma soprattutto delle divergenze non casuali. L’introduzione mira a mettere a proprio agio il pubblico. Nella versione dello Strumense viene presentato un breve excursus storico sull’umanità prima della venuta del Salvatore, un mondo dedito all’idolatria che viveva nella cecità. Sarà il Cristo a conferire una speranza di salvezza attraverso la parola di Dio e la vita dei maestri che il popolo avrebbe dovuto seguire, perché improntate alla santità. Il lungo preambolo mira ad esaltare il ruolo dei pastori, i quali hanno un compito fondamentale nell’indirizzare la società non soltanto da un punto di vista morale ma soprattutto di salvezza eterna.243 Coloro che avrebbero dovuto essere i fari dell’umanità ora hanno rigettato la stessa nell’oblio. Il nucleo del discorso è rappresentato dalle citazioni evangeliche in cui Cristo invita i fedeli a imitarlo e Arialdo non manca mai – nella versione di Andrea di Strumi – di segnalare le citazioni della parola di Dio. Interessante è la conclusione. Dapprima, spiega quali siano le colpe del clero enunciando una condotta di vita in tutto simile a quella dei scelestes laici244 e macchiata dal desiderio carnale verso le donne. Dunque, un attacco diretto al nicolaismo, ma non alla simonia. Successivamente, ammette di aver già provato a interloquire con gli ecclesiastici senza avere successo, ragion per cui si ritrova ora a rivolgersi direttamente ai fedeli245 senza alcun filtro e pronto (qui il paragone con il sacrificio di Cristo per la salvezza dell’umanità è esplicito) a imboccare la strada del martirio.246

243 Il tema della doctrina sulla condotta di vita dei sacerdoti è molto caro all’ambiente riformatore, trovando la sua origine nella tradizione evangelica. Cfr. Miccoli, Chiesa gregoriana, p.137.

244 Come già notato da Miccoli, in questo modo si carica il clero milanese di un ulteriore motivo di esecrazione, allo stesso tempo evitando di porre questi chierici peccatori sullo stesso piano del laicato cui egli in quel momento si rivolgeva. Miccoli, Chiesa gregoriana, p. 142.

245 Per il Violante, questa frase corrisponderebbe a quanto riferisce Siro nell’epistola di Andrea in merito alla predicazione iniziale di Arialdo al clero di Varese, ponendo la predicazione ai laici solo in un secondo momento. Non si esclude che questo episodio venga posto da Siro per sottolineare la sordità dei laici alle istanze di riforma propugnate da Arialdo e, di conseguenza, legittimare il suo rivolgersi a un uditorio di laici. Violante, I laici nel movimento patarino, pp. 602-604.

246 Andrea Strumensis, Vita Arialdi, c. 11: «E contra vero, ut inspicitis, vestri sacerdotes, qui effici possunt ditiores in terrenis rebus, excelsiores in aedificandis turribus et domibus superioribus, in honoribus, in mollibus delicatisque vestibus pulchriores, ipsi putantur beatiores. Et ipsi, ut cernitis, sicut laici, palam uxores ducunt; stuprum, quemadmodum scelesti laici, sequuntur, atque ad nefandum hoc opus patrandum tanto sunt validiores quanto a terreno labore minus oppressi; videlicet viventes de dono Dei. Christus autem in suis econtra ministris tantam munditiam quaerit et exoptat ut non solum in opere, verum etiam stupri

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Quest’ultima è l’unica occorrenza, nella versione restituitaci da Andrea di Strumi, in cui Arialdo pone al centro del discorso se stesso. Di tutt’altro tenore, ma con i medesimi temi, è la predica riportata nei Gesta di Arnolfo. Anche in questo caso, dopo aver esortato i fedeli a fare il segno della croce, viene evidenziata la cecità del popolo di Dio a causa dello smarrimento di coloro che avrebbero dovuto esserne le guide. Le divergenze con quanto riportato in Andrea di Strumi sono sottili, ma importanti. Anzitutto, in questo secondo caso Arialdo predica fin dal principio contro l’eresia simoniaca e non soltanto in merito a quella nicolaitica; in chiusura si trova, inoltre, la citazione del Salvatore, ma come se fosse stato lo stesso Arialdo a pronunciarla in prima persona, invitando a seguire il proprio esempio di vita. Sembra quasi di trovarsi di fronte a un discorso motivazionale composto per un esercito in procinto di combattere e, infatti, l’invito è a interrompere la partecipazione alle celebrazioni eucaristiche tenute da chierici corrotti, «quorum sacrificia idem est ac si canina sint stercora, eorumque basylice iumentorum presepia».247 Arnolfo in questo modo denuncia un atteggiamento già da principio teso all’offensiva da parte di Arialdo e non alla semplice denuncia dell’immoralità del clero ambrosiano. Ne risulta che la reazione del popolo appaia la logica conseguenza di un discorso di questo tipo. I dialoghi in Arnolfo non sono frequenti come nell’agiografo strumense e il fatto che egli sia stato qui così preciso nel riferire il primo tra quelli tenuti dal capo patarino a Milano, almeno per quanto riguarda i temi affrontati, si deve alla ricerca di una giustificazione per l’incontrollata massa di laici che da subito è sospinta ad attaccare con

scelus damnet in corde, dicens: «Qui viderit mulierem ad concupiscendam eam, jam moechatus est eam in corde suo (Matth. V, 28.)» Redite, dilectissimi, ad corda vestra, redite: et sumere verum, falsumque respuere discite. Nam conatus sum reos reducere ad suam lucem; sed nequivi. Ut enim vos ad vestram reducam, huc ideo veni; et hoc aut fecero, aut pro vestra salute paratus sum animam meam tradere gladio».

247 Arnolfo, Gesta, III, 11: «Abundant enim supra multimoda, haeresis quoque illa symoniaca in sacerdotibus et levitis, ac reliquis sacrorum ministris, qui cum nicholaytae sint et symoniaci, merito debent abici. A quibus, si salutem a Salvatore speratis, deinceps omnino cavete, nulla eorum venerantes officia, quorum sacrificia idem est ac si canina sint stercora, eorumque basilicae jumentorum praesepia.

Quamobrem ipsis amodo reprobatis, bona eorum omnia publicentur; sit facultas omnibus universa diripiendi, ubi fuerint in urbe vel extra. Nam et ego plectenda plura commisi; sed quod pejus omnium fuit, indignis usque modo communicando Regem coelorum offendi. Nunc autem propicia divinitate ago poenitentiam, talia provisurus in posterum. Igitur imitatores mei estote, carissimi, et ita ambulate, sicut habetis formam nostram».

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violenza fisica i chierici e i loro beni. Ciò nonostante, affidare al semplice discorso di Arialdo la causa di una tale sollevazione apparirebbe fuorviante circa la sua profonda influenza oratoria e Arnolfo se ne rende pienamente conto, precisando come motore della rivolta siano stati allo stesso tempo il desiderio di avvicinarsi a Dio e l’ansia di lucrare sulle spalle delle vittime dell’attacco, ricavandone in tal modo un tornaconto personale, così da attenuare i meriti del predicatore.248

In seguito a sì gravi reazioni, l’arcivescovo Guido, rivoltosi al pontefice Stefano IX, ottiene la possibilità di riunire a Fontaneto presso Novara una sinodo in cui condannare i due capi del movimento patarino. Proprio quest’ultimo punto non compare nella narrazione agiografica e non si tratta di una dimenticanza dell’autore. Al contrario, Andrea arricchisce di dettagli il seguito del primo discorso di Arialdo e colloca in questo frangente l’incontro con Landolfo Cotta. Il tutto appare frutto del caso: una reazione estemporanea di quest’ultimo gli permette di dialogare proficuamente con il diacono di Cucciago e allo stesso tempo di esprimere a parole quelli che dovevano essere stati i sentimenti del popolo, che udendo le sue parole ne gioiva, quasi liberato da un grave peso.

Nell’ottica della Passio, Arialdo non fa altro che scoperchiare un vaso di Pandora, il popolo si era sentito ingannato dai falsi pastori ed era una semplice vittima di questo sistema immorale (si parla ancora soltanto del problema dei chierici concubinari). Tutto sembra ben lontano da quella moltitudine di genti assetate di sangue e avide di denaro descritte dal cronista di parte avversa. Le reazioni al discorso di Arialdo sono certamente infiammate ma non da violenza, bensì da pietà popolare e ne è una controprova la risposta del laico Nazaro:

Domine Arialde, ea quae dicis esse vera et utilia, non solum advertere possunt sapientes; verum etiam et vecordes […]. Sed, ut omnes inspicimus, non solum non mundior, verum etiam sordidior perspicue cernitur. […]. Cave ne ad sanguinem altum de quo ortus es, et ad opem multam qua polles, inspic as, ne forte, sacramente pro quo te adjuravi spreto, non quae Dei, sed quae tua sunt quaerere videaris.249

248 Arnolfo, Gesta, III, 12: «His ita decursis, et pluribus aliis quae humana non capit memoria, populus semper avidus novorum in nimium zelum excitatur adversus clerum, aliis se deferre Deo putantibus, aliis avaritiae lucris inhiantibus».

249 Andrea Strumensis, Vita Arialdi, c. 6.

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Al momento di mettere i propri beni a disposizione della causa, il monetiere sottolinea alcuni aspetti fondamentali per capire in che modo Arialdo avesse comunicato le proprie idee. Elogia il modo di esprimere determinati concetti in maniera il più possibile comprensibile agli illitterati, facendo sentire costoro partecipi della battaglia che si stava per cominciare. Basti qui richiamare, all’opposto, la reazione dei chierici, riportataci da Arnolfo, dopo il medesimo discorso di Arialdo: «ad cuius conpescendam temeritatem maiores ecclesie sepe conveniunt, sacras illi scripturas et sanctiones opponentes canonicas»250. La tendenza era quella di tenere il popolo lontano dalla questione, contrapponendo alle teorie patariniche i canoni e le Scritture. Una strategia evidentemente fallimentare.

La forza della predicazione e quindi della comunicazione orale davanti a delle masse avide di partecipare ai problemi inerenti al proprio status spirituale, non poteva essere sconfitta riportando il dibattitto “in sacrestia” e ce lo testimonia la fuga di Arialdo ed Landolfo quando Guido, in una prima fase conciliante verso le agitazioni provocate dai due chierici, li aveva invitati a risolvere la controversia entro le mura dell’episcopio251. Il passo in questione è narrato dal solo Landolfo Seniore, il quale a sua volta riporta una terza differente reazione alla prima predica arialdina:

Cum autem Arialdus verbis turpissimis sacerdotes in populo pessime ac criminose diffamando, orationi turpissimae finem imposuisset, et eamdem Landulphus stylo, prout erat facundus, graviori reiterasset: in ea quae turpissimi in populo pandere ac divulgare verecundarentur, populum quasi leones ac ferocissimas tygres praeda et calido sanguine anxiae adversus sacerdotes sollicitantes commovebant. Horum disseminatis verbis pestilenter, subito multi, quibus alienum aes durissime exigebatur, quosque foris et intus dura paupertas trucidabat, quamcumque occasionem quaerentes, unde miseros filios et uxores saepissime verberatas recreare ac sustentare possent, immenso plausu ipsos

250 Arnolfo, Gesta, III, 10.

251 Landolfo seniore, Hist. Med., III, 8: «Si tibi Deus operum bonorum perfectionem coelitus aministrasset, nos modo private, ac si opus foret quandoque publice, sic publice ut in presbyterio nostro, emendando bonis verbis bonisque exemplis humiliter ac devote corrigeres».

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laudabant; alii vero simplices et idiotae sua pectora verberantes, quasi Petri et Pauli eorum verba habebant.252

Anche qui, come in Arnolfo, l’invito è a discutere la questione in privato o in pubblico, intendendo in questo senso il presbiterio. La reazione di Arialdo allo schiaffo fisico e morale ricevuto non si fa attendere e il diacono di Cucciago riunisce tutta la popolazione cittadina, concludendo l’orazione con un invito a seguirlo, così come narrato nelle altre due fonti.

La descrizione della conseguente rivolta popolare è in Landolfo ancor più dettagliata e assume i tratti di una vera e propria rivoluzione sociale. A differenza di quanto scritto in Andrea di Strumi e in Arnolfo, qui viene posto come motivo scatenante un discorso di Landolfo Cotta, che, tuttavia, non viene riportato. A essere sottolineata è la differenza tra i nobili della città e il popolo, dunque non solo i chierici, ma tutta l’aristocrazia milanese si sente minacciata dalle parole dei patarini e decide così di abbandonare temporaneamente la città o di attendere che le rapine, i saccheggi e le violenze contro i sacerdoti terminino, nonostante essi, non paghi di quanto compiuto a Milano, si siano già riversati verso villas, municipia e castella della zona suburbana.253

V.4. Il phytacum de castitate servanda. Tentativi di risoluzione della controversia

Nel documento DOTTORATO DI RICERCA IN Studi storici (pagine 191-199)

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