• Non ci sono risultati.

Fabbriche fordiste e non

all’inizio del decennio ’70)88. Qui siamo di fronte alle uniche due espressioni della presenza, scarsa ma esemplare, di un’industria tipicamente fordista nell’area. Lo stabilimento Fiat di Novoli, progettato secondo le indicazioni di quanto si stava sperimen-tando in grande alla Mirafiori di Torino a cavallo della guerra, già alla fine degli anni ’40 vedeva una composizione della for-za lavoro fortemente sbilanciata verso gli operai comuni (oltre il 60% e nessun apprendista)89. La Stice, dal momento del suo inserimento in Zanussi nel 1967, avrebbe visto una rapida e pro-fondissima conversione fordista – analoga a tutti gli altri stabili-menti assorbiti dal gruppo in quegli anni – tanto che gli operai comuni in linea, al 1971, sarebbero stati il 61% delle maestranze, mentre al Nuovo Pignone fra 1969 e 1970 erano soltanto il 25%90.

passaggi di categoria che riconoscevano il mestiere a chi era sot-to-inquadrato fra gli operai qualificati, il 38% nel 1970.

L’isolamento della Stice-Zanussi rispetto agli stili conflittuali e negoziali delle altre grandi fabbriche fiorentine non derivava solo dall’organizzazione del lavoro, che per altro l’accomunava alla Fiat, ma anche dal suo decentramento geografico nella piana a sud-o-vest, di là d’Arno, rispetto alla piana a nord-ovest che vedeva in stretta contiguità territoriale, malgrado il diaframma ferroviario, Fiat e Nuovo Pignone fra Novoli e Lippi e le Officine Galileo a Ri-fredi. Questa prossimità – come ricorda un operaio Fiat92 – permet-teva pur nella diversità di situazioni aziendali una consuetudine di rapporti e di comunicazione fra i consigli di fabbrica di queste tre grandi aziende, con la possibilità di appoggiarsi al ricco tessuto associativo popolare dei quartieri industriali della città, che inve-ce non era consentita dalla distanza a Stiinve-ce-Zanussi, collocata in un luogo molto più rarefatto come Badia a Settimo. Mancava ancora, ad esempio, un ponte per attraversare l’Arno all’altezza di Scandicci (sarebbe arrivato successivamente con l’Indiano nel 1978) e gli unici collegamenti possibili verso nord erano da Firenze o dalle Signe.

La “conflittualità permanente” della fabbrica di Scandicci negli anni 1970 e 1971, mutuata da altri modelli di autonomia della con-tesa industriale del Nord e in buon parte estranea alle altre imprese fiorentine – soprattutto alle Officine Galileo, più in sintonia con la tradizionale mediazione sindacale esterna –, rese in certa misura la Stice-Zanussi quasi un corpo estraneo rispetto al contesto fiorentino e ne fece una protagonista della battaglia interna alla Fiom, alla Flm e alla Camera del lavoro. Non a caso il consiglio di fabbrica si pro-iettò già alla fine del 1970, a compensazione, verso una egemonia territoriale del suo comprensorio esterno alla città storica e verso le Signe, attraverso il consiglio di zona, unico caso significativo nella Toscana centro-settentrionale fuori dei distretti industriali93.

92.  R. Rossi, Le grandi fabbriche fiorentine, cit., pp. 252-253.

93.  Del consiglio di zona, oltre alla Stice-Zanussi che da sola assommava il 42% degli oltre 3.800 lavoratori rappresentati territorialmente, facevano parte

Confrontando l’Autunno caldo di Nuovo Pignone e Fiat a Fi-renze ho già avuto modo di individuare quasi tipologicamente il differente ruolo svolto dalla fabbrica specializzata, solo taylori-sta, rispetto a quella standardizzata, forditaylori-sta, nei confronti della città e della sua area: l’una, grazie al fatto di essere capofila del gruppo guida nell’impiantisca di una grande holding naziona-le attiva nel settore energetico su scala internazionanaziona-le come l’E-ni, proiettava Firenze nel mondo anche sul piano dei contenuti presenti nelle sue piattaforme aziendali; l’altra, segmento locale di una grande multinazionale dell’auto, portava il mondo – il

“biennio rosso” globale – a Firenze. A suo modo, malgrado tutto la Stice-Zanussi svolse anch’essa questo ruolo, con un impatto simbolico minore rispetto allo stabilimento dell’azienda torinese.

Chiuderei con l’esemplificazione di questa duplicità quale possiamo riscontrare all’interno dell’affermazione delle parole d’ordine espresse nei mesi a cavallo del 1969 e del 1970 su ritmi, cottimi, salari, qualifiche, gruppi omogenei, delegati, ecc., che furono costitutive dell’esperienza consiliare: questa duplicità, di difficile ricomposizione allora come oggi, fu la forma con cui il mondo esploso con l’Autunno caldo venne recepito a Firen-ze e con cui FirenFiren-ze contribuì a quanto succedeva nel mondo, partendo da due degli elementi più originali, anche a livello internazionale, della vicenda sindacale italiana che va dalla promulgazione dello Statuto dei lavoratori nel 1970 alla tornata contrattuale del 1973-’74. Da una parte la sperimentazione del modello sindacale di prevenzione su ambiente di lavoro, salu-te e sicurezza; dall’altra la parità normativa operai-impiegati e l’inquadramento unico94.

Su salute e sicurezza Firenze si è mossa abbastanza presto, come abbiamo visto. La Fiat introdusse già nella primavera del

anche altre grandi e medie aziende come Billi (meccanica di precisione), Superpi-la, Sma (sistemi d’arma), ElettroPlast (apparecchiature elettriche), Fonderia delle Cure; L. Falossi, G. Silei, “Qui STICE libera”, cit., pp. 56-66, 86.

94.  P. Causarano, Verso una nuova costruzione sociale, cit., pp. 151-159.

1969 le tensioni innovative, figlie della rottura di legittimità gerar-chica del modello fordista di organizzazione del lavoro che veniva da Torino, subito seguita all’inizio del 1970 dalla Stice-Zanussi.

Successivamente fu il Nuovo Pignone di Firenze – grazie all’arena protetta delle partecipazioni statali – che dopo un duro confronto iniziato nell’estate del 1970 ottenne risultati di rilievo nazionale, confluiti poi nell’accordo pilota del 1972, che ne faranno una delle esperienze di punta nel perseguimento del modello sindacale di prevenzione95. Le grandi fabbriche dell’area fiorentina, in partico-lare la produzione di serie, furono fra quelle che maggiormente interagirono in Toscana con l’esperienza dei servizi provinciali per la prevenzione sui luoghi di lavoro promossi nell’ambito della pri-ma regionalizzazione, uno degli elementi che poi sarebbero stati alla base della riforma sanitaria del 197896.

Dall’altra parte, la tradizione del mestiere operaio che carat-terizzava aziende come il Nuovo Pignone e le Officine Galileo giocò un ruolo decisivo – nel contesto delle partecipazioni statali e in collegamento con la siderurgia pubblica – sul piano della parità normativa fra operai e impiegati e nella ricerca di nuove forme dinamiche di classificazione e valorizzazione del lavoro industriale. La Fiat a Firenze era portatrice della strategia tori-nese dei passaggi collettivi di categoria come risoluzione della crisi della classificazione tradizionale secondo un’idea risarcito-ria (salarisarcito-riale) della mobilità professionale per gli operai comuni, perseguita dalla tarda primavera del 1969 fino al 1972. Al Nuovo Pignone – dopo una breve fase di gestione dei passaggi collettivi contestuale alla messa in mora del cottimo individuale nel 1969

95.  Gli esempi toscani riportati in una descrizione delle esperienze più in-novative di quegli anni sono solo la Solvay di Rosignano (chimica) e il Nuovo Pi-gnone; Marco Biocca, Pietro Schirripa, Esperienze di lotta contro la nocività in alcune aziende italiane tra il 1965 e il 1980, Roma, CENSAPI, 1981.

96.  Verso la riforma sanitaria. L’ente locale per la salute in fabbrica, a cura dei Servizi di medicina preventiva-Provincia di Firenze, Bari, De Donato, 1975.

– ben presto si svilupperà la discussione e l’elaborazione di una strategia di valorizzazione della professionalità (operaia e impie-gatizia) all’interno dei cosiddetti “gruppi omogenei” definiti su base funzionale, a ricalcare la geografia organizzativa della fab-brica e la collocazione di ruolo dei singoli in essi.

Già nella primavera del 1970 al Nuovo Pignone di Firenze il tema dell’inquadramento unico diventò l’asse strategico, men-tre la circolazione di questa idea in almen-tre aziende fiorentine – so-prattutto quelle standardizzate – continuava a essere declinata sostanzialmente con i passaggi collettivi di categoria. Il Nuovo Pignone ottenne l’inquadramento unico operai-impiegati, su set-te livelli, nella primavera del 1971; l’accordo del gruppo Italisi-der era arrivato alla fine dell’anno precedente e ambedue costi-tuiranno la base in materia di qualifiche e nuova valorizzazione del lavoro per la piattaforma contrattuale discussa dalla Flm nel 1972 e poi portata con successo alla firma dell’accordo nazionale del 197397.

L’“autunno tiepido” delle Officine Galileo viceversa farà sì che questa azienda, storica espressione della leadership dell’avan-guardia operaia di mestiere, in una fase di instabilità proprieta-ria e di stagnazione produttiva si trovasse di fatto a traino delle esperienze più nuove e originali e soggetta a una forte, spesso soffocante, tutela politico-sindacale centralizzata che ne condi-zionava l’autonomia, fortemente rivendicata e praticata invece soprattutto al Nuovo Pignone e alla Stice-Zanussi98. Del resto, a segnare il pluralismo sociologico dell’industria fiorentina su cui ci siamo soffermati, la fabbrica di Rifredi era molto più autocen-trata sulla città delle altre. Nella sua grandezza tecnico-profes-sionale rispondeva più all’immagine artigiana tradizionale del

97.  Pietro Causarano, Unire la classe, valorizzare la persona. L’inquadramento unico operai-impiegati e le 150 ore per il diritto allo studio, in “Italia contemporanea”, 2015, 278, pp. 224-246.

98.  R. Rossi, Le grandi fabbriche fiorentine, cit., pp. 174-178.

lavoro operaio fiorentino, era più urbana rispetto ai contesti dove la componente pendolare a corto e medio raggio dalla provincia era più consistente e dove le problematiche di conflitto sull’orga-nizzazione del lavoro erano più complesse per via di situazioni maggiormente innovative99.

99.  Un terzo dei lavoratori del Nuovo Pignone per esempio risultava pen-dolare su distanze superiori ai dieci chilometri (il 13% fra dieci e trenta, il 18% ol-tre i ol-trenta chilometri), dato che era ancor più consistente nelle fabbriche fordiste;

C. Greppi, L. Rombai, Fabbrica e territorio, cit., p. 95.

origini e forme di un 1969

f

ederico

c

reatini

Il 3 maggio 1969, Alessandro Cardulli chiudeva un suo artico-lo sulle pagine de “l’Unità” con una frase evocativa: «dove pri-ma si taceva, adesso si grida»1. L’espressione del corrispondente comunista non alludeva solo agli scioperi che stavano animando parte della Lucchesia 2, quanto alla percezione di una trasforma-zione sociale in atto: «Lucca - scriveva - non è più una città di ani-me morte», suggellando alcune osservazioni formulate durante le rivendicazioni dell’aprile 19633.

Tuttavia, la decisione di collocare in apertura il pezzo de “l’U-nità” non sta a indicare un’adesione al giudizio di Cardulli. Que-sto saggio, anzi, tenterà di constatarne la validità: in quale forma è possibile individuare nel 1969 lucchese l’apice di un mutamen-to così significativo? Nel rispondere, dopo un necessario

inqua-1.  Alessandro Cardulli, Lucca: gli operai vincono perché sono uniti e forti, in

“L’Unità”, 3 maggio 1969.

2.  Con Lucchesia faccio riferimento alle realtà di Lucca, Capannori e Villa Basilica.

3.  Alessandro Cardulli, A Lucca il tempo si è fermato, in “L’Unità”, 28 aprile 1963. «In questo clima oppressivo», riportava il pezzo, «qualcosa sta uscendo […].

In quei pochi posti dove si sono impiantate industrie […], alla Cucirini Cantoni Coats, alla Smi di Fornaci di Barga, giovani e donne […] hanno cominciato a dar vita ad una serie di lotte contrattuali».

dramento contestuale, esaminerò due aspetti: da un lato, assu-mendo come osservatorio privilegiato la multinazionale tessile Cucirini Cantoni Coats, i limiti e le prospettive con cui le dina-miche conflittuali presero forma tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio degli anni Sessanta; dall’altro, come queste evoluzioni segnarono nel 1968-69 un nuovo rapporto tra fabbrica e territo-rio, subordinando parte delle richieste sindacali alla dimensione economico-occupazionale della provincia di Lucca4.