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IL FUTURO È NELL’OCEANO

Coordinamento operativo: Dott.ssa Francesca Messina

francesca.messina@cnr.it

La mostra illustra le principali caratteristiche dell’ambiente marino, con particolare attenzione all’utilizzo e alla conservazione delle sue risorse per uno sviluppo sostenibile.

SPECIFICHE EVENTO PARTECIPANTI PREVISTI

TARGET

MEZZI DI DIVULGAZIONE

Max 30 persone ogni 30 minuti

> 6 anni

10k 0

BUDGET STIMATO

happening installazione mostra laboratorio

invito

organi di stampa pubblicità esterna cartacea

all’aperto standing

conferenza workshop convention evento personale

social comunicato radiofonica/TV chiuso

posto assegnato TIPOLOGIA

LOCATION contatti ORGANIZZATORI

PATROCINI

SPONSOR

NORMATIVE E SICUREZZA libero

sì importo

spazio riservato n° parcheggi

Consiglio Nazionale delle Ricerche 12 €

a pagamento

no

no

vie di fuga

protocollo antiterrorismo forze dell’ordine

passaggio in ZTL chiusure temporanee suolo pubblico siae

sì sì sì

sì sì sì sì

no no no

no no no no

no

SERVIZI AGGIUNTIVI accoglienza

assistenza tecnica

trasporti ristorazione

PERMESSI

PARCHEGGI

VIABILITÀ

NOTE AGGIUNTIVE La mostra fa parte del Festival della Scienza 2018.

25 ottobre - 4 novembre 2018 Palazzo Ducale, Genova

ACCESSO

Sensibilizzare alla raccolta differenziata

Il problema dello smaltimento dei rifiuti è di ri-levanza mondiale e dev’essere percepito come un problema di ogni singolo individuo sulla Terra.

Tutti i giorni solo in Europa ogni cittadino produ-ce un kg di rifiuti, ciò significa circa 200 milioni di tonnellate di rifiuti urbani che devono essere adeguatamente trattati, in qualche modo e in qual-che posto. Le quantità di rifiuti prodotti sono in continuo aumento e i siti di discarica autorizzati stanno diventando saturi. Metalli pesanti e sostan-ze tossiche filtrano nelle acque sotterranee e nel terreno circostante. Sono prodotti gas esplosivi e tossici. Particolarmente preoccupante è il numero sconosciuto, ma indubbiamente molto elevato, di discariche abusive, i cui rischi non possono esse-re quantificati. La principale alternativa di smal-timento rispetto alla discarica, ossia i termovalo-rizzatori producono tossine e metalli pesanti. Per evitarne il rilascio bisognerebbe installare negli in-ceneritori filtri costosi che, a loro volta, presentano difficoltà di smaltimento. Le quantità di rifiuti che produciamo sono il risultato del nostro stile di vita insostenibile. Le nostre attuali modalità di pro-duzione e consumo devono essere modificate per minimizzare la pressione sulle risorse (non rinno-vabili) della Terra. In breve, la produzione di rifiuti è uno dei migliori indicatori del nostro progresso verso lo sviluppo sostenibile. Una buona gestione dei rifiuti comincia innanzitutto con la prevenzio-ne: dopo tutto, ciò che non è prodotto non deve essere smaltito. In qualsiasi piano di gestione dei rifiuti, la prevenzione e la riduzione al minimo do-vrebbero pertanto avere la priorità assoluta.

La plastica venne inventata alla fine dell’Ottocento, ma iniziò a diffondersi massivamente intorno alla metà del Novecento. La sua produzione crebbe in maniera esponenziale ed incontrollata entrando a far parte della nostra quotidianità: la troviamo nelle nostre case, nei nostri vestiti, nei packaging alimentari, nei mezzi di trasporto, nei dispositivi elettronici ed in numerosissimi altri settori (agri-coltura, edilizia, arredamento, industria, etc). Della plastica esistente oggi sul nostro pianeta 6,3 miliar-di miliar-di tonnellate sono rifiuti e miliar-di questi 5,7 miliarmiliar-di di tonnellate non sono stati riciclati [ref: National Geographic, 2017]. È chiaro ed intuibile che que-sta enorme quantità di rifiuti plastici non riciclati debba essere smaltita in qualche modo. L’accumulo incondizionato ha costituito una vera e propria in-vasione non solo sulla terraferma, ma anche negli oceani. Non è possibile quantificare con esattezza la quantità di plastica non riciclata che finisce in mare o che sia già presente negli oceani, ma secon-do Jenna Jambeck, secon-docente di Ingegneria dell’Uni-versity of Georgia, indicativamente la quantità si aggirerebbe tra i 4,8 e i 12,7 milioni di tonnellate

5.1 IL GRAVE PROBLEMA DEI RIFIUTI PLASTICI

“Pacific Trash Vortex” è l’isola di plastica più grande al mondo.

Composta prevalentemente da plastica, metalli leggeri e residui organici in degradazione, è situata nell’Oceano Pacifico e si sposta seguendo la corrente oceanica del vortice subtropicale del Nord Pacifico.

annue. La difficoltà nel poter definire una misu-ra precisa è dovuta alla presenza delle micropla-stiche. La plastica, infatti, ha tempi lunghissimi di decomposizione (stimati da 450 anni a mai), ma tende a disgregarsi facilmente in particelle più pic-cole, note come “microplastiche”, non sono visibili ad occhio nudo, ma rilevate attraverso l’analisi al microscopio. La loro diffusione è allarmante: esse vengono ingerite da moltissimi animali, sono già quasi 700 specie, alcune delle quali a rischio di estinzione, a subirne gli effetti, molte delle quali rientrano nella nostra alimentazione. “È difficile stabilire quante microplastiche entrino nel nostro organismo quando ci nutriamo di pesce; in ogni caso queste sostanze si trovano nell’aria che respi-riamo, nell’acqua che beviamo (imbottigliata o del rubinetto), nel cibo che mangiamo e negli abiti che indossiamo. Inoltre la plastica contiene una vasta gamma di additivi che possono disperder-si nell’ambiente, alcune di queste sostanze sono considerate interferenti endocrini, cioè alterano la normale funzionalità degli ormoni. I ritardan-ti di fiamma possono ostacolare lo sviluppo nel cervello nei feti e nei bambini; altri composti che aderiscono alla plastica possono provocare il can-cro o difetti alla nascita. (…) Studiare l’impatto delle microplastiche marine sulla salute umana è complicato per diverse ragioni: non si può chie-dere alla gente di mangiare plastica in nome di un esperimento; la plastica e i suoi additivi agiscono in modo diverso a seconda del contesto fisico o chimico; le loro caratteristiche possono variare man mano che le creature della catena alimenta-re le consumano, le metabolizzano o le espellono.

Non sappiamo in che modo la lavorazione o cottu-ra del cibo incidano sulla tossicità della plastica, né quale livello di contaminazione possa farci male”

[ref: National Geographic, vol. 41 n. 6, 2018]. La soluzione al problema esiste già: sappiamo come raccogliere i rifiuti, come ridurli e come riciclarli, ma mancano le strutture per ottimizzare e rendere produttiva la raccolta differenziata. Purtroppo il

«Secondo uno studio, pubblicato su Science, un totale di 8,8 milioni di tonnellate di materie plastiche vanno ad inquinare il mare ogni anno e la sola area Asia – Pacifico ne produce 5,3 milioni di tonnellate, il 60%.» La Thailandia, secondo Science, si piazza al terzo posto nella top ten dei Paesi che contaminano l’ambiente con le materie plastiche.

giro d’affari che si cela dietro la raccolta dei rifiuti è ingente e genera spesso interessi economici lega-ti ad organizzazioni criminali di origine mafiosa.

Da parte di ogni cittadino è giusto che si faccia il possibile, magari non si risolverà il problema, ma ognuno può far parte del cambiamento e dare il suo contributo. Senza troppo sforzo alcune buo-ne pratiche possono diventare parte della nostra quotidianità; se ognuno di noi facesse al meglio la raccolta differenziata, il bidone del secco residuo sarebbe quasi completamente vuoto. La blogger Kathryn Kellogg ha dimostrato come sia possibile ridurre l’indifferenziata, riempiendo in due anni solo un barattolo di capienza un litro di rifiuti non riciclabili. La Kellogg è certamente un esempio per tutti noi, ma sarebbe già un inizio se ogni cittadino avesse piccole accortezze quotidiane come queste:

NON UTILIZZARE BUSTE DI PLASTICA Ogni anno nel mondo se ne consumano oltre un trilione (1018). I sacchetti di plastica rappresentano una grande minaccia per gli animali marini perché vengono scambiati per cibo e ciò comporta il sof-focamento per pesci, tartarughe ed uccelli.

NIENTE PIÙ CANNUCCE

Oltre ad essere inutili, tralasciando ovviamen-te l’ambito medico, sono forovviamen-temenovviamen-te inquinanti e usate in maniera spropositata (solo in America se ne consumano 500 milioni al giorno). Possono essere sostituite con cannucce di metallo, riutiliz-zabili infinite volte. Ultimamente, specialmente in Italia si sta diffondendo anche la moda di uti-lizzare pasta lunga come bucatini o ancor meglio ziti, in sostituzione delle tradizionali cannucce di plastica.

Le gravi conseguenze dell’inquinamento marino sugli animali

acquatici. All’apparenza sembra si tratti di una medusa,

nella realtà sono le buste di plastica che popolano gli oceani.

EVITARE LE BOTTIGLIE

Si acquistano bottiglie di plastica riutilizzabili, ma spesso hanno un ciclo di vita di pochi minuti. Ba-sterebbe riutilizzarle riempiendole nuovamente, favorendo la distribuzione d’acqua sfusa filtrata e controllata, ove possibile, ancor meglio se in bot-tiglie di vetro, riutilizzabili infinite volte. È allar-mante pensare che ogni minuto nel mondo viene venduto un milione di bottigliette d’acqua di pla-stica.

STOP AGLI IMBALLAGGI

Si devono favorire i prodotti sfusi o con imballaggi ridotti, così come bisogna rinunciare a piatti, po-sate e bicchieri di plastica. A tal proposito entro il 2020 la Commissione Europea prenderà rigidi provvedimenti verso bicchieri, posate e piatti di plastica monouso, ma anche cotton fioc, cannuc-ce, aste per i palloncini. L’Italia ha promesso di proibire i cotton fioc non biodegradabili dal primo gennaio 2019, e dal 2020 le microplastiche nei co-smetici.

RICICLARE IL PIÙ POSSIBILE

Nel mondo si ricicla pochissimo. Analizzando i dati del riciclo esclusivamente della plastica, a li-vello globale viene riciclato soltanto il 18% della plastica prodotta. Nello specifico l’Europa ne rici-cla il 30%, la Cina il 25% (ma è anche la prima pro-duttrice al mondo) e gli Stati Uniti soltanto il 9%.

Non tutti i tipi di plastica sono riciclabili e per aiutarci a distinguere il materiale che abbiamo di fronte, su ogni oggetto di plastica è presente un numero che va da 1 a 7. I numeri sono dei codi-ci identificativi e servono come linee guida per i centri di smistamento dei diversi tipi di plastica.

Inoltre, possono permettere al consumatore di ri-conoscere i materiali dei vari contenitori plastici.

1 – PET (Polietilene tereftalato): bottiglie, barat-toli, fibre sintetiche per abbigliamento e tappeti, alcuni contenitori di shampoo e collutorio, etc 2 – HDPE (Polietilene ad alta densità): flaconi per detersivi, recipienti per cibi pronti e latte, giocat-toli, cassette, vasi, secchi, mobili da giardino, etc 3 – PVC (Cloruro di polivinile): carte di credito, telai di porte e finestre, grondaie, tubi e accessori, guaine per fili elettrici e cavi, similpelle, etc 4 – LDPE(Polietilene a bassa densità): pellicole da imballaggio, buste per la spesa, millebolle, botti-glie flessibili, materiale isolante per fili elettrici e cavi, etc

5 – PP (Polipropilene): tappi per lattine, cannucce, contenitori per il pranzo e termici, fibre per tessuti e tappeti, tela cerata, pannolini, etc

6 – PS (Polistirene): bicchieri, contenitori per uova, vaschette per carne, chip da imballaggio, grucce, vasetti per yogurt, isolanti, giocattoli, etc 7 – Altro: Tessuti di nylon, biberon, CD, contenito-ri per medicinali, parti di automobili, boccioni per erogatori d’acqua, etc

La maggior parte delle bottiglie di plastica per l’acqua in commercio nei supermercati è in polietilene tereftalato (PET), mentre il tappo è solitamente in polietilene (PE).

Tuttavia la plastica non costituisce l’unico pro-blema in fatto di rifiuti, si deve prestare attenzio-ne alla raccolta differenziata in geattenzio-nerale. Sarebbe buona norma effettuare il compostaggio della materia organica, eliminando così lo smaltimento dei rifiuti umidi e producendo al contempo ferti-lizzante naturale. Questa pratica, inoltre, permet-te una riduzione delle tasse sui rifiuti. Allo spermet-tesso modo si dovrebbe conferire particolare attenzione allo smaltimento dei rifiuti domestici pericolosi e di quelli ingombranti, informandosi sui servizi di rimozione e smaltimento offerti dal proprio Co-mune di appartenenza.

La società odierna associa il concetto di bello al concetto di nuovo, questo perché siamo i successo-ri di un pesuccesso-riodo flosuccesso-rido come il boom economico degli anni ’80, epoca nella quale non era ipotizza-bile fermare le produzioni e ridurre i consumi, ma anzi, possedere più cose possibili e consumare era-no siera-nonimi di ricchezza. Processo che ha diffuso e radicato il concetto e la cultura dell’usa e getta.

“Usare, consumare, gettare a ritmi sempre più sin-copati; ubriacarsi di cose sempre diverse, perdersi nell’iperscelta, drogarsi di consumi per compen-sare tutte le possibili mancanze, vere o fittizie:

questa la regola degli anni Ottanta. Un volano che pareva potesse girare all’infinito e che faceva mar-ciare a pieno ritmo i motori delle aziende: basta-va produrre per vendere; cosa e di che qualità era indifferente, bastava fosse nuovo. Il mondo stava diventando senza qualità. La qualità, quella vera, che appartiene all’anima delle cose e non alla loro patinata apparenza, chiede di essere mantenuta.

Ma la manutenzione era diventata un concetto ob-soleto e patetico.” [ref: C. Morozzi, Oggetti risorti, quando i rifiuti prendono forma, 1998]. La cultura

5.2 RIFIUTO

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