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2. Problematiche di comfort acustico nei freni

2.1. Generalità e cause

Il fenomeno del fischio freno, o anche detto brake squeal noise, è un comportamento d’instabilità dinamica causato da fenomeni vibratori che si generano durante le fasi di arresto di una vettura. Il fenomeno tende a propagarsi sottoforma di rumore molto fastidioso, il quale incide negativamente sul comfort dei passeggeri e del guidatore.

Da osservazioni sperimentali si è riscontrato che il fenomeno si manifesta a qualunque condizione operativa, caratterizzandosi di un’elevata imprevedibilità e scarsa riproducibilità.

Questo tende a verificarsi in qualsiasi range di frequenza, compreso tra 100 e i 20000 Hz, pienamente compreso nel campo dell’udibile. A causa dei moltissimi fattori che influenzano la generazione di un suono, per avere pieno controllo del fenomeno vanno analizzati e compresi tutti i meccanismi che stanno all’origine di un rumore.

Qualunque emissione sonora, indipendentemente dalla frequenza in cui si genera, necessità di due elementi:

 l’eccitatore, ovvero la sorgente sonora che fornisce energia al sistema così da indurre l’elemento alla vibrazione;

 il risuonatore, il componente che entra in risonanza con l’elemento eccitante.

La natura fisica del suono è, dunque, di tipo ondulatoria, trattandosi di onde che trasportano energia lontano dalla propria sorgente sonora. Ogni volta che un sistema subisce una perturbazione dalla sua condizione di equilibrio, infatti, si generano delle onde che tendono a propagarsi in qualunque direzione attraverso un mezzo di trasmissione, per esempio l’aria circostante. Il passaggio dell’onda mette in vibrazione qualunque elemento che si trovi lungo la sua traiettoria, il quale ritorna alla propria posizione d’equilibrio una volta terminato il transitorio. Qualsiasi evento rumoroso generato, dunque, non è nient’altro che una vibrazione.

Una prima classificazione delle onde prevede l’identificazione di due tipologie: onde longitudinali e trasversali. Le prime sono caratterizzate dal proprio asse di vibrazione coincidente con la direzione di propagazione; un esempio classico è rappresentato da una molla che viene compressa lungo il suo asse. Nel secondo caso, le onde presentano un asse di vibrazione perpendicolare alla direzione

40 di propagazione dell’onda, come accade per una corda libera di muoversi a un’estremità, e fissa dall’altra.

Per comprendere appieno il fenomeno vibratorio consideriamo il movimento di una particella che viene perturbata dalla sua condizione iniziale. Questa condizione di equilibrio viene detta posizione zero. Se la perturbazione consiste nell’imposizione di un movimento mediante un impulso iniziale, la particella inizia a muoversi lungo una direzione definita. Raggiunta la distanza massima percorribile rispetto alla posizione zero, la particella subirà un’inversione di direzione; la particela verrà quindi riportata alla posizione iniziale. Superata la posizione iniziale, la particella continuerà il suo cammino nella direzione imposta fino al raggiungimento della distanza massima. La particella subirà nuovamente una perturbazione, invertendo nuovamente la direzione di propagazione e tutto si ripeterà. La particella realizzerà quindi un ciclo che si ripete nel tempo (17). Il ciclo viene caratterizzato da una lunghezza d’onda, ovvero la frequenza con cui si ripetono i cicli elementari.

La descrizione viene effettuata lungo l’asse del tempo; è quindi possibile riprodurre la posizione della particella nel tempo, ottenendo così le principali caratteristiche dell’oscillazione.

Figura 2.1: Caratteristiche principali di un'onda.

Esaminiamo un caso molto importante di onda piana, meglio nota come onda armonica, ovvero una funzione periodica nel tempo.

Il parametro più significativo per esprimere l’energia trasportata dall’onda prende il nome di ampiezza dell’oscillazione; essa rappresenta la distanza massima dalla propria posizione di equilibrio, raggiunta dall’oscillatore.

Il numero di oscillazioni compiute da una particella attorno alla posizione di equilibrio, nell’unità di tempo, viene identificata dalla frequenza di vibrazione. Identificata con f, ed espressa in Hertz, tale grandezza risulta fondamentale in quanto permette di confrontare due suoni provenienti dalla stessa sorgente. Il reciproco della frequenza rappresenta il tempo che una particella impiega a compiere un ciclo completo, ed è indicato come periodo T.

Un’onda tende a propagarsi in una direzione con una data velocità v, nota come velocità di propagazione. Nell’unità di tempo, essa esprime la distanza alla quale le oscillazioni si sono propagate.

41 Fissato un istante di tempo, è possibile definire la posizione occupata da un punto nell’onda. Data la natura periodica dell’onda armonica in esame, a un dato istante di tempo, la stessa particella occuperà la medesima posizione rispetto a quella di equilibrio. La distanza tra due punti identici tra due cicli adiacenti, quindi, è indicata come lunghezza d’onda λ. L’unità di misura della lunghezza d’onda è il metro.

Lunghezza d’onda e frequenza di oscillazione sono strettamente legate tra loro secondo la seguente equazione:

L’espressione mostra come le tre grandezze siano tra di loro dipendenti. Esiste un’ulteriore relazione tra frequenza e la pulsazione dell’onda ω, espressa dall’equazione 2.3:

Infine, l’ultima caratteristica di un’onda da citare è la forma d’onda. Essa mostra il profilo dell’onda riprodotto su di un piano cartesiano, determinando così quale sia l’andamento dell’onda.

L’andamento sinusoidale è la forma più rappresentata per la sua semplicità.

La comprensione dei parametri coinvolti è chiaramente necessaria per capire cosa generi un suono.

Il primo parametro che richiede approfondimenti è l’ampiezza sonora. Se consideriamo un suono, l’ampiezza viene misurata in un determinato punto nello spazio in cui si ha il passaggio dell’onda, poiché, come anticipato, essa rappresenta la distanza percorsa da una particella. Tuttavia, alcuni suoni ordinari percorrono spazi ridotti tali da risultare difficili da percepire. E’ dunque richiesta una rappresentazione più semplice e intuitiva, che utilizzi come punti di riferimento il valore della soglia d’udibilità. Si correla, così, l’ampiezza sonora ad altre due grandezze, una legata all’energia trasportata dall’onda e l’altra legata alla pressione dell’aria indotta dalla compressione e rarefazione delle particelle.

Facendo riferimento all’energia trasportata, viene introdotta l’intensità sonora. Essa è definita come rapporto tra la potenza del suono e la superficie attraversata. Indicata come SIL, tale grandezza assume il nome di Livello d’Intensità Sonora:

dove I rappresenta l’intensità sonora e I0 esprime la soglia di udibilità dell’orecchio umano, espresse in W/m2. Fissata la frequenza a 1000 Hz, il valore I0 è pari a 10-12 W/m2.

Numericamente simile ma concettualmente differente, la pressione sonora rappresenta la differenza di pressione p causato da un suono, rispetto alla pressione atmosferica p0 pari a 2,5*10-5 Pa. Anche in questo caso, la soglia è determinata rispetto un suono caratterizzato da una frequenza di 1000 Hz. Indicata come SPL, tale grandezza viene misurata in decibel, o dB.

( ) Le due grandezze risultano pressoché identiche in quanto esiste una relazione tra intensità e pressione. L’energia di un’onda sonora è, infatti, proporzionale al quadrato della pressione, e dunque, al quadrato dello spostamento. Il fattore moltiplicativo 2 è dunque legato all’esponente del logaritmo. Il confronto viene comunque sempre effettuato in relazione alla soglia di udibilità, quindi

42 i valori risultano pressoché identici. L’utilizzo di uno o di un altro resta quindi a discrezione dell’operatore che ne determina l’ascolto.

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