3. la concezione differenziata dei ruoli familiari. Le rappresentazioni sociali relative ai ruoli di genere all’interno delle mura domestiche possono influenzare le aspettative
5.5 Gli studi sul genere e sulla distribuzione del carico familiare in un’ottica critico- critico-discorsivista
svolgerebbero la stessa mole di lavoro interno alla casa poiché possono decidere di non farlo e in caso di partecipazione hanno la possibilità di scegliere i compiti meno sgradevoli o impegnativi (Burr, 1998). Allo stesso modo, le donne continuano a rappre-sentare la cura della casa e della prole come una propria responsabilità esclusiva, men-tre l’intervento del partner è inteso come un supporto o un aiuto di cui essere grate, ciò permette di vivere l’illusione di agire una distribuzione egualitaria dei ruoli interni alla casa (Croghan, 1991; Coward, 1993; Peace, 2003). “In questa prospettiva, la resi-stenza maschile al cambiamento e il rifiuto di cooperare alle fatiche domestiche […]
sono perfettamente prevedibili. Le dispute sulle pulizie non sono soltanto querelle in-dividuali, ma fanno parte di una più estesa lotta di potere” (Bryson, 1992, p. 198).
Alle relazioni di potere e di dominanza si può resistere discorsivamente in una sfida agli interessi in gioco: il linguaggio, scritto e parlato, contribuisce alla riproduzione e al mantenimento dell’ordine sociale o, al contrario, alla resistenza e alla trasformazione di questo ordine (Fairclough, 1992; 1995).
Nonostante l’ideologia di genere sia egemonica e agita quotidianamente in diverse pratiche sociali, essa può essere contestata e combattuta. Il cambiamento tuttavia è comunque determinato in base ai contenuti discorsivi alternativi offerti dalle stesse strutture e relazioni sociali (Fairclough, 1995; Chouliaraki, Fairclough, 1999).
La critica femminista intende contribuire alla trasformazione sociale esaminando le produzioni discorsive e le pratiche sociali che sostengono o mettono in crisi le relazioni di potere che indicano sistematicamente gli uomini come gruppo sociale privilegiato e mettono in una condizione di svantaggio le donne (Lazar, 2007; Holmes, Marra, 2010).
Diventa però fondamentale studiare il rapporto tra linguaggio e genere localmente, tenendo conto delle specifiche comunità di pratiche (Eckert, McConnell-Ginet, 1992;
1995), poiché, come precedentemente affermato, le produzioni discorsive danno sen-so alla realtà sen-sociale ma allo stessen-so tempo sen-sono sen-soggette alla costrizione del contesto socio-culturale di appartenenza.
5.5 Gli studi sul genere e sulla distribuzione del carico familiare in un’ottica
re-pertori intrepretativi nettamente contrastanti all’interno dei discorsi, indipendente-mente dal contesto storico-culturale e dalle differenze legate all’età, al genere, alla classe sociale, alla condizione professionale, al livello di studio e al gruppo etnico di appartenenza dei/delle partecipanti.
Nel loro ormai classico studio sul “unequal egalitarianism” Wetherell, Stiven e Potter (1987) osservano che la (ri)produzione dell’accesso femminile al mercato del lavoro è fortemente influenzata dai limiti insiti nei sistemi di produzione di senso dell’individuo, inerenti le ideologie a cui le persone hanno accesso. Il repertorio maggiormente pro-posto dagli studenti e dalle studentesse universitari* intervistat* si riferisce alla natu-ralizzazione delle differenze di genere che consente di giustificare la condizione di ini-quità che relega le donne a specifiche figure professionali, spesso associati al care, o impedisce loro di raggiungere posizioni di prestigio e guadagnare stipendi eguali agli uomini che svolgono medesime mansioni. Allo stesso tempo il cambiamento è inteso come inevitabile, ma graduale. Tuttavia, la possibilità di ottenere eguali opportunità dipende da alcune considerazioni pratiche, come per esempio le differenze sessuali ri-spetto alle competenze professionali. Tali discorsi esprimono un’ideologia egemonica potente che continua a perpetrare nel quotidiano forti asimmetrie tra uomini e donne, in primis rispetto all’accesso di quest’ultime al mondo del lavoro.
Più recentemente altre ricerche condotte in ambito universitario (Gough, 1998; Peace, 2003) hanno confermato la presenza di discorsi dilemmatici che bloccano le trasforma-zioni sociali delle relatrasforma-zioni tra i generi. Da un lato si rileva la presenza di repertori che propongono la rottura con lo status quo, descrivendo la parità tra i generi come immi-nente e le condizioni di iniquità come un evento passato, dall’altro tuttavia la prematu-ra celebprematu-razione del cambiamento impedisce l’attuazione concreta dell’emancipazione femminile. Paradossalmente altri repertori definiscono le donne oppressore e gli uomi-ni vittime o etichettano le donne come mauomi-nipolatrici. Il riferimento a un supposto po-tere femminile che mina i privilegi maschili sembra impedire un effettivo bilanciamen-to del potere tra i generi (Peace, 2003). In altri casi, le donne sono identificate come la causa della loro stessa condizione di subordinazione, ciò sarebbe derivato dalle carat-teristiche naturali che le predestinano al ruolo materno, dai processi di socializzazione che guidano uomini e donne a ruoli distinti, dalle stesse caratteristiche psicologiche delle donne che le renderebbero più incostanti e vulnerabili rispetto all’uomo (Gough, 1998).
La presentazione simultanea di repertori interpretativi dai contenuti contrastanti ri-spetto alla visione dei generi e dei ruoli a essi associati, che danno luogo ai dilemmi ideologici, è un fatto costante della nostra vita quotidiana che può avere conseguenze negative, confermando e reiterando lo status quo, o conseguenze positive, mettendo in discussione il sistema che opprime le donne in ruoli socialmente prestabiliti (Nentwich, 2006). Edley e Wetherell (1999) individuano tre strategie discorsive utilizza-te da studenti delle scuole superiori per gestire il dilemma ideologico, presentato nel corso dell’intervista, riferito al desiderio di essere padri presenti e premurosi vs. la pos-sibilità di intraprendere una carriera professionale. La prima strategia “Back to basics”
consiste nel recuperare il vecchio senso comune legato alla naturalità della competen-za materna che la rende la responsabile principale dei compiti di cura. La seconda stra-tegia proposta “Dividing theory and practice” consiste nel presentare le posizioni tradi-zionaliste come non sessiste per evitare etichettamenti negativi. Per esempio, alcuni ragazzi affermano che si dedicherebbero esclusivamente al lavoro familiare se perdes-sero il lavoro o se la partner guadagnasse molto più di loro. Da un punto di vista retori-co, è significativo che per quanto essi stiano presentando scenari nei quali loro assu-merebbero il ruolo domestico, i ragazzi si stiano difendendo dall'accusa di aver escluso tale idea. Il riferimento a considerazioni pratiche è più efficace quando distanziato dal-la realtà, cioè quando rappresentano “condizioni estreme” fuori dal controllo dell’oratore (Wetherell, Stiven, Potter, 1987). La terza strategia “Renegotiating the ideals” gestisce le due posizioni dilemmatiche reinterpretando o stravolgendo il senso di alcune affermazioni precedentemente proposte. È il caso del costrutto del padre at-tivo; inizialmente approvato, poi deriso poiché scimmiotterebbe le donne e infine ridi-colizzato attraverso l’attribuzione del desiderio di allattare o di partorire.
Le ricerche discorsive confermano, coerentemente con gli studi mainstream, che il la-voro familiare è principalmente a carico delle donne, tuttavia esse si dichiarano soddi-sfatte e grate dell’aiuto ricevuto dal partner (Backett, 1987; Croghan, 1991; Coward, 1993; Blain, 1994; Nentwich, 2008). Ciò sembra guidarle nell’illusione di agire una di-stribuzione dei compiti paritaria (Peace, 2003). Uomini e donne spiegano il maggior ca-rico femminile chiamando in causa le abilità naturali della donna, il mito dell’incompetenza maschile, l’apprendimento sociale dei ruoli e la naturalità della ma-ternità (Blain, 1994). Tali temi rendono impossibile qualsiasi azione eversiva e di cam-biamento sociale. Rispetto alla gestione e alla distribuzione dei lavori familiari e dei
la-vori retribuiti Nentwich (2008) osserva che la partecipazione maschile e femminile è costruita discorsivamente facendo riferimento a due topoi contrapposti “importanza del lavoro retribuito” e “importanza del/della figli*”. L’organizzazione di tali temi e la rilevanza attribuita all’uno o all’altro o a entrambi determina la produzione di diversi scenari della genitorialità eterosessuale. In particolare:
1) “The Boring normal case: housewives and breadwinners” in cui i ruoli sono netta-mente differenziati in base al genere di appartenenza, la partecipazione maschile ai compiti di cura è intesa come facoltativa e occasionale poiché la responsabilità prima-ria è della madre.
2) “Balancing the double burden: part-time working mothers and active fathers wor-king full-time” le coppie non danno per scontata la divisione gender-typed dei ruoli, ma ritengono necessario decidere e negoziare insieme la distribuzione dei compiti tra i partner. Nonostante la presenza di ideologie paritarie, la logica binaria del genere è ri-stabilita formulando casi estremi, per esempio ipotizzando che quando nascerà il/la fi-gli* lui dovrà occuparsi maggiormente del lavoro fuori casa e lei del lavoro di cura. Ciò conferma che, sebbene per entrambi i partner possano presentarsi nuovi ruoli, esisto-no differenti responsabilità principali per l’uomo e per la donna. L’equità è un’idea im-portante per la coppia, ma sfortunatamente impraticabile.
3) “Equal parenthood: active fathers and mothers both working part-time” le divisioni dei ruoli non sono più nette ma uomini e donne hanno eguali responsabilità verso i/le figli* e verso il lavoro retribuito.
4) “Single mother: the caring breadwinner” sia la sfera interna sia la sfera esterna sono di sua competenza poiché deve prendersi cura del/della figli* sia emotivamente sia economicamente.
Per finire ci soffermeremo su alcune ricerche che si sono concentrate unicamente sulla genitorialità e in particolare sulla transizione legata a tale evento.
Un repertorio interpretativo, centrale per gli uomini che si preparano alla paternità (Draper 2003), è rappresentato dall’immagine del nuovo/bravo padre: impegnato emotivamente e praticamente nella cura del/della bambin* e delle responsabilità do-mestiche. Tale argomentazione confermerebbe che anche i padri possono partecipare alla cura e suggerirebbe un maggiore coinvolgimento maschile nei compiti genitoriali (Paff Ogle, Tyner, Schofield-Tomschin, 2011). Tuttavia, Finn e Henwood (2009) osser-vano che gli uomini intervistati sul tema della preparazione alla genitorialità mostrano
un dilemma: se da un lato sostengono l’immagine del nuovo padre impegnato attiva-mente in qualsiasi attività di cura rivolta al/alla propri* figli*, dall’altro continuano a proporre la figura paterna tradizionale, spesso identificata con il proprio genitore, im-pegnato occasionalmente in famiglia e più concentrato sugli impegni del lavoro retri-buito. Tale dilemma ideologico è utilizzato dagli uomini intervistati per giustifica la limi-tata e spesso occasionale partecipazione maschile ai compiti familiari (Draper 2003;
Finn, Henwood, 2009).
Per quanto riguarda la maternità, invece, un repertorio ancora estremamente presen-te tra gli uomini e le donne è quello della mapresen-ternità inpresen-tensiva, rappresentato nel senso comune dallo stereotipo della brava madre (Garey 1999; Arendell 2000; Elvin-Nowak, Thomsson, 2001; Miller, 2007; Paff Ogle, Tyner, Schofield-Tomschin, 2011). Tale reper-torio fa principalmente riferimento alla capacità istintiva della donna di prendersi cura efficacemente del/della figli*, all’onnipresenza femminile per lo svolgimento delle atti-vità di cura e all’annullamento dei bisogni femminili in risposta a quelli del/della figli*.
La madre perfetta è totalmente centrata sul/sulla bambin* e votata al sacrificio (Hays, 1996). Hays (2003) afferma che l’ideologia della maternità intensiva diventa più salien-te quando le donne entrano nel mondo del lavoro, per questo ci si atsalien-tende socialmen-te che quando la lavoratrice deciderà di avere un/una figli* abbandonerà il proprio po-sto di lavoro retribuito.
Anche lo studio della Miller (2007) conferma il riferimento allo stereotipo della brava madre da parte dalle donne da lei intervistate prima e dopo il parto, attraverso il ricor-so a repertori fondati sulla naturale competenza femminile per la cura. L’adesione ad aspettative irrealistiche legate all’istintuale bravura materna, tuttavia, genera in molte di esse nei primi giorni di vita del/della bambin* un senso di inadeguatezza legato all’incapacità di raggiungere gli standard socialmente loro richiesti. Quando dopo qual-che mese mostrano più pratica e confidenza con i compiti e il ruolo genitoriale, tutta-via, reiterano nuovamente lo stereotipo poiché invece di riferirsi all’esperienza attri-buiscono la propria capacità all’istinto femminile, che tutto risolve. In questo modo, le stesse neo-mamme reiterano il tanto odiato e sofferto stereotipo di genere, che so-stiene - e dà luogo a - un maggior carico femminile nello svolgimento dei compiti fami-liari.
Le concezioni della brava madre, tuttavia, non sono sempre condivise e in contesti dif-ferenti possono esiste parallelamente ad altri discorsi equamente dominanti
(Elvin-Nowak, Thomsson, 2001). I dati della ricerca condotta in Svezia da Elvin-Nowak e Thomsson (2001) confermano che i repertori tradizionalisti riferiti alla disponibilità to-tale della donna per il/la propri* figli* sono associati a repertori che sostengono l’importanza della realizzazione professionale femminile.
Nonostante i contenuti di tali ricerche siano interessanti e coerenti con quanto ipotiz-zato e proposto dalla AD e dalla CDA, il fatto di aver intervistato principalmente soli uomini o sole donne rispetto al tema del genere e della genitorialità rischia di dare vo-ce solo a una delle parti coinvolte nel dibattito sociale, reiterando lo stereotipo che ta-le tema riguardi unicamente, o principalmente, ta-le donne.
CAPITOLO 6
LA RICERCA