• Non ci sono risultati.

Gli sviluppi dell’Umanesimo nei carteggi dei suoi protagonisti

IV. Storia dell’epistolografia fra Petrarca e Boccaccio: verso la respublica litteraria

IV.2 Gli sviluppi dell’Umanesimo nei carteggi dei suoi protagonisti

I modelli epistolari che Petrarca e Boccaccio hanno voluto consegnare ai loro lettori – la raccolta sistematica, nel caso del primo, e la rinuncia ad un corpus compatto, da parte del secondo – trovano entrambi dei corrispettivi nell’epistolografia latina fra Umanesimo e Rinascimento, sebbene goda di uno spiccato vantaggio l’esempio organico offerto dalla

Familiari e dalle Senili.306 Va tuttavia rilevato che anche i più celebri epistolari sottoposti

alle cure e alle revisione dei loro autori non propongono così chiaramente quel ritratto autobiografico che il Petrarca ha meticolosamente ricercato nella composizione – si intende architettonica, stilistica e tematica – delle sue due maggiori raccolte: prevale, nell’area del primo Umanesimo e poi dell’Umanesimo maturo, la finalità comunicativa, o meglio, il

305 Il ruolo basilare della struttura dell’epistola-novella nella fondazione della novellistica latina e volgare fra

Umanesimo e Rinascimento è stato riconosciuto e valutato da ALBANESE, Fondazione del genere novella, in partic. pp. 272-273 e ALBANESE, Da Petrarca a Piccolomini.

306 Tra i più noti umanisti raccoglitori del proprio epistolario si ricorda, a solo titolo esemplificativo, Coluccio

Salutati, Leonardo Bruni, Lapo da Castiglionchio, Poggio Bracciolini, Enea Silvio Piccolomini, Francesco Filelfo; sul versante opposto, non hanno provveduto alla formazione di una raccolta organica Guarino, l’Aurispa e il Valla, i cui carteggi sono oggi noti grazie alle sillogi messe a punto dai loro corrispondenti. Si avrà modo di riflettere su specifici aspetti di alcune di queste raccolte nelle pagine successive.

73

tentativo di fare delle proprie carte una cassa di risonanza dello spirito collaborativo di un’élite intellettuale impegnata dell’avanzamento culturale e civile: fatte salve, ovviamente, le altre personali istanze riposte nello scrivere dai singoli autori, e che pure meritano di essere analizzate analiticamente allo scopo di illuminare meglio i profili dei promotori degli studia

humanitatis. A fronte di queste considerazioni, tratte da un parziale ma comunque

significativo sondaggio fra alcuni degli epistolari ad oggi editi, è possibile avvalorare ancora la fortuna dello schema dialogico maturato nelle epistole fra Petrarca e Boccaccio, che, disgregatosi negli assestamenti (o non assestamenti) autoriali, ora si palesa nel continuum della loro corrispondenza come la vera culla della respublica litterarum, ossia della prima forma di una opinione culturale pubblica e condivisa.

La stretta sinergia intellettuale, attivata e tradotta dai due poeti negli schemi dello scambio epistolare, non rimane confinata al perimetro del loro dialogo. Basta scorrere velocemente il loro carteggio per rintracciare spie di numerosi corrispondenti laterali, che, restringendo il campo fra gli anni ’62-’74, si identificano specificamente in Francesco Nelli, ma soprattutto in Donato Albanzani, il grammatico di Pratovecchia, e Francesco da Brossano, genero di Petrarca: la linea biunivoca si allarga ad un circolo di amici ed intellettuali più giovani, chi più chi meno supportati da un fecondo spirito letterario, ma tutti egualmente pronti ad incentivare la renovatio studii messa in moto dal precursore Petrarca e dal suo più grande discepolo Boccaccio. Ufficialmente a partire dal 1367 si affaccia in questo circolo dotto Coluccio Salutati, il cancelliere della Repubblica che sarà l’anello di raccordo fra Petrarca-Boccaccio e gli umanisti dell’inizio del XV secolo: datata Todi, 20 dicembre 1367, infatti, è una lettera nella quale Coluccio ringrazia Boccaccio per la sua epistola tanto gradita quanto non attesa, e nelle trame di una prosa solenne dichiara al «facundissimo viro

domino...egregio cultori Pyeridum» il suo amore per la poesia.307 Solo un anno dopo, avviata

la corrispondenza anche con il poeta laureato, sottolinea in ruolo di mediazione svolto da Boccaccio in favore del suo ingresso entro la privilegiata schiera dei sodales:

«Quod etsi mirum michi visum sit, quia tamen optanti prona solet esse fides et tantum virum adulari aut scribere quod non sentiat nefas foret, credidi et id arbitror mediante forsitan Boccacii tui opera accidisse, quem studiosissime colere, imo adorare consuevi; qui, ut pluries ostendit, me diu amicicia complexus est quique novit quanto animi ardore cupidus semper tui fuerim; quamquam hoc non solum michi, sed pene omni generi humano commune sit. Omnes admiramur et diligimus tuam virtutem».308

307 S

ALUTATI, Epistolario, I, pp. 48-49, a p. 48.

308

74

La possibilità di instaurare legami di amicitia è connaturata al genere epistolare ab antiquis

temporibus, dall’epoca classica per tutto il medioevo; ma rispetto alle formule delle artes dictandi, preposte a sostenere retoricamente un’ideologia di amicizia basata sulla richiesta e

lo scambio di benefici in un contesto pubblico, ora in quest’ultime battute si può constatare «la progressiva identificazione dei rapporti amicali con la solidarietà intellettuale»:309 se vogliamo, lo stesso slittamento emblematicamente saggiato sul versante boccacciano, fra la

Mavortis milex e le lettere degli anni Sessanta-Setttanta.

La corrispondenza fra Petrarca-Boccaccio e Coluccio Salutati reca i segni dello sforzo di ampliare, posto il ruolo leader dei due maggiori, i confini e le prospettive del nuovo indirizzo di studi: Coluccio si occupa ad oltranza di animare le lodi rivolte Petrarca,310

presenta al maestro nuove reclute,311 e nella già ricordata lettera del 24 dicembre 1375312 si

rivolge per la prima volta a Francesco da Brossano consegnando alle generazioni successive un lirico squarcio della luce riflessa dalla congiunzione culturale Petrarca-Boccaccio. Ed è proprio in nome dell’affetto e della stima che legava lui e in egual modo il Brossano ai due poeti che prende corpo un vivo canale epistolare impostato alla conservazione dell’Africa, sulla scorta di una sollecitazione espressa dallo stesso Boccaccio nella sua Ep. XXIV al Brossano, in coda al commosso compianto per la morte del maestro:

«Audissem ego libenter quid de bibliotheca preciosissima viri illustris dispositum sit: nam apud nos varia alii credunt, alii referunt; sed quod me potissime angit est quod de a se compositis libris et maxime de Affrica illa sua, quam ego celeste arbitror opus, consultum sit, an stet adhuc et mansura perduret an igni tradita sit quem illi, innotuit, sepissime severus nimium rerum suarum iudex minatus est vivens. Sentio nonnullis, nescio quo, examen huius quam reliquorum librorum fuisse commissum, et quos dignos assererent, eos mansuros fore».313

Nel prosieguo della corrispondenza fra il cancelliere fiorentino e il genero di Petrarca, dunque, si esplica la ferma intenzione del Brossano di custodire le opere del suocero e di preservare quelle incompiute dal fuoco a cui sembrava volessero destinarle gli amici padovani – così correva voce -, o meglio, dal primato assunto dalla scuola di Lombardo della Seta: così, finalmente, alla fine del 1376 inviava una copia di quel glorioso poema a Coluccio, il quale poté constatare, da un lato, la gioia dell’avere fra le mani i preziosi versi,

309

Cit. G. AUZZAS, «Quid amicitia dulcius?», in Boccaccio e dintorni. Miscellanea di studi in onore di V. Branca,vol. II, Firenze, Olschki, 1983, pp. 190.

310 S ALUTATI, Epistolario, I, pp. 72-73. 311 S ALUTATI, Epistolario, I, pp. 95-96. 312 S ALUTATI, Epistolario, I, pp. 223-228. 313 Ep. XXIV, 31-34.

75

dall’altro, il dispiacere per quelle ingenti lacune che avrebbero ostacolato il suo proposito di edizione.314

La fotografia di Coluccio che si ricava da queste sue prose familiari, nate entro il filone primario e quello più prossimo alla corrispondenza con Petrarca e Boccaccio, è in controluce con la valutazione accordatagli dai suoi contemporanei ed eternata nei Dialogi ad

Petrum Paulum Histrum del Bruni: e, cioè, quella di primo raccoglitore dell’eredità delle tre

corone fiorentine e di solerte prosecutore delle linee aperte dai loro magisteri, dalla poesia teologica al progresso nella grammatica latina fino allo studio della lingua greca. Su questa scorta, e ampliando la visuale sugli altri corrispondenti, la necessità di promuovere in modo capillare la difesa degli studi e della poesia, opportunamente connessa al senso più alto dell’impegno civile, diviene uno dei motori principali della sua vena epistolare, che trova massima espressione nella risposta alla posizione antiumanista del camaldolese Giovanni da San Miniato: un vero e proprio breve saggio in forma epistolare, al quale il Dominici controbatterà nella sede trattatistica della sua Lucula noctis.315

Eppure è proprio nei Dialogi bruniani, e nello specifico nella requisitoria del Niccoli, che si fa strada la progressiva rivendicazione dell’avanzamento rispetto alle posizioni del Salutati, a favore di una più matura riflessione sul significato e sugli strumenti degli studia

humanitatis. È il caso di dire che anche l’analisi di questo snodo della storia della letteratura

umanistica è interpretabile “alla lettera”, ossia tramite i carteggi, giacché non solo la scrittura epistolare del Bruni o di Poggio raggiunge un periodare armonioso e si avvale più propriamente del latino,316 ma anche prova la nuova coscienza del ruolo dell’intellettuale integrato nel pieno corso della rinascita. Si intende dire che, in parallelo all’adozione di più scrupolosi metodi critici, alle raffinate riflessioni sulla grammatica latina e greca, condotte sulla scia della grande riscoperta di codici, le relazioni epistolari fra sodali umanisti lievitano nella consapevolezza del legame fra la restituzione dell’eloquenza classica e i suoi risvolti politico-civili, in direzione di un progetto unitario italiano ed europeo.317 È infatti proprio in

314 La prima edizione dell’Africa, datata 1396, si deve alle cure di Pier Paolo Vergerio, che si impegnò a fornire

una trascrizione “in pulito” del testo, eliminando le postille dell’autore e colmando alcune lacune. In generale, per un resoconto dettagliato della storia dello scriptorium dopo la morte del maestro, cf. BILLANOVICH, Lo scrittoio, pp. 297-419, e per le prime vicende editoriali dell’Africa particolarmente le pp. 360-370.

315

La risposta a Giovanni da San Miniato si legge in SALUTATI, Epistolario, IV, pp. 170-205. Per coordinate della vicenda e la conseguente requisitoria del Dominici, cf. E. GARIN, La letteratura degli umanisti, Milano, Garzanti, 1966, pp. 19-28.

316 Cf. Le considerazioni sullo stile epistolare di questi due umanisti in R

OSSI, Il Quattrocento, pp. 125-126.

317 Cf. C. D

IONISOTTI, Discorso sull’Umanesimo italiano, in ID., Geografia e storia della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 1967 (Ia edizione 1951), pp. 154-161.

76

un carteggio, quello di Francesco Barbaro, che sorge una delle prime formulazioni del concetto di Respublica literaria:

«Ignomina etiam notandi sunt illi Germani qui clarissimos viros, quorum vita ad omnem memoriam sibi commendata esse debuit, quantum in se fuit, viros diuturno tempore sepultos tenuerunt. Quod si imprudenter factum est, quid negligentius? Si ex sententia, quid crudelius? An quisquam ita invidus erit, ut vos [Poggio e il suo compagno

Bartolomeo da Montepulciano] nimium exornari a me censeat? Quos autem orno? Eos

nempe, qui huic literarie reipublice plurima adiumenta atque ornamenta contulerunt».318

Il passo, tratto da una lettera a Poggio Bracciolini del 6 luglio 1417, anticipa la formulazione erasmiana di “universalità di uomini” impegnati in un comune progetto intellettuale, ma lo fa cogliendo nel vivo la prima origine di questa idea, ossia l’entusiasmo derivante dalle nuove acquisizioni umanistiche: sotto questo profilo, le congratulazioni del Barbaro a Poggio per le sue straordinarie scoperte di codici sono animate dallo stesso spirito delle raccomandazioni del Bruni nella lettera del settembre del 1416, intitolata: «Abhortatur Poggium, ut pergat ab interitu vindicare bonos scriptores».319

A ben vedere, le forme e i motivi della comunicazione intellettuale si pongono in

continuum rispetto all’archetipo fondato nel carteggio Petrarca-Boccaccio e subito calcato dal

Salutati, ma del tutto nuovo è il bilancio d’insieme. La corrispondenza rimane il luogo ideale per valutare autori classici ed esperimenti creativi in proprio: così mentre le reti epistolari forniscono alcuni dati per connotare meglio le caratteristiche e i tempi di formazione degli

scriptoria degli umanisti, rimane integrata in questa compagine l’officina del labor letterario

ed erudito-filologico. Già Coluccio, inviando la sua prima bucolica a Boccaccio con tanto di commento esegetico, chiedeva all’«amico karissimo» di intervenire operativamente su suoi eventuali sviste: «te itaque huius mei operis iudicem facio, ut rescribas quid de illo tibi

videtur et an consilium sit ad cetera properare»;320 veniva a prendere campo una modalità di

revisione d’equipe, che è uno degli aspetti più interessanti della metodologia umanistica. Gli epistolari sono assiduamente puntellati da richieste di queste privilegiate supervisioni: a solo titolo esemplificativo, si tenga conto delle parole con cui Bartolomeo Facio, rievocando i precetti dell’Ars Poetica di Orazio e l’attività dell’esimio poeta e censore Quintilio Varo, propone il suo De bello veneto ad Antonio Panormita:

318

Il passo si legge ed è commentato in C.GRIGGIO, Nuove prospettive nell’epistolario di Francesco Barbaro, in Una famiglia veneziana nella storia: i Barbaro. Atti del Convegno di studi in occasione del V centenario della morte dell’umanista Ermolao (Venezia 4-6 novembre 1993), raccolti da M.MARANGONI e M.PASTORE STOCCHI, Venezia, Istituto di scienze lettere e arti, 1996, p. 359 e ss.

319 B

RUNI, Epistolarum libri VIII, pp. 111-113, a p. 111.

320

77

«Ego vero in ceteris rebus te velim mihi amicum praestes; in hac vero iudicem, qualem Quintilius Varrus, ut ait ille, praestare se solebat in examinandis amicorum operibus, qui: “corrige sodes”, hoc aiebat, et hoc nec amicum per adulationem sinebat in errorem labi, unde ad illum aliquid dedecoris pervenire posset. Qui enim amicorum errata non corrigunt, ii profecto in amicorum numero habendi non sunt. Videntur anim amicorum infamia et dedecore gaudere; quod quidem longe alienum est ab amicitiae lege. Tu vero, si consuetudinem tuam tenueris ac si me amaveris, ut facias, argues ambigue dicta et mutanda notabis atque emendabis, nec adulationi aliquod, sed totum veritati dabis»;321

Ed è ancora Facio ad essere impegnato, questa volta in qualità di referente prescelto, nelle accurate emendazioni richieste da Biondo Flavio per la sua Italia illustrata, affinché l’historia possa essere apprestata in una forma conveniente al re Alfonso; la lettera in cui il Biondo presenta le sue richiesta, modulandole anch’egli sulla scorta dell’indicazione oraziana, è datata Venezia 1451:

«Hinc tuam peto benevolentiam teque per omnia, quae amicis mutua debentur, oratum velim, adhibe diligentiam et per te ipsum, quoad potes, quandoque per ipsum facile, ut scio, morem gesturum Panormitam, quondoque per alios, qui videbuntur idonei, perquire, ausculta, interroga, quid singulis desideretur in locis et confice commentariolos, quibus aliquando perlectis possim, ubi meum quoque concurret iudicium, quod indicabitur, emendare. Vale».322

La sinergia che forgia le carte di Petrarca e Boccaccio, mettendo in piedi i primi pilastri teorici e pratici degli studia humanitatis, ora si stende e si concretizza su una piattaforma condivisa, dove nel fluire di un’eloquenza «comoda» e «immediata» trovi agilmente

espressione tutto ciò che sia «degno dell’umano pensiero»,323

e, in quanto tale, utile a impostare le linee guida di una delicata missione universale-civile. I carteggi si fanno contenitori di cronache di impegni pubblici, di querelle erudite e di dibattiti retorici, tutti aspetti che, posti sullo sfondo del quotidiano, costituiscono l’interfaccia umana dalla storia dell’Umanesimo, e dunque dell’oltranzistica codifica di generi fra i secoli XIV e XV.

Del resto, anche la problematica linguistico-stilistica, connaturata alla storiografia

letteraria umanistica,324 trova ampio sbocco nelle corrispondenze, a partire proprio

dall’intervento di Petrarca e fino a varcare la seconda metà del Quattrocento con lo scambio epistolare fra Poliziano e Cortesi. Nella Fam. XXIII 19=Corr. L, sotto le spoglie di un breve contributo teorico offerto all’attenzione di Boccaccio, il laureato riferisce del vero senso

321

BARTOLOMEO FACIO, Epistulae, a cura di M.BULLERI nella tesi di laurea diretta da G. Albanese, discussa presso l’Università di Pisa nell’a.a. 2000-2001, p. 145.

322

Il passo della lettera del Biondo a Facio si legge in Scritti inediti e rari di Biondo Flavio a cura di B.NOGARA, Roma 1927, pp. 165-166, a p. 166.

323 R

OSSI, Il Quattrocento, p. 125.

324 Vd. su questo aspetto G.A

LBANESE, Le forme della storiografia letteraria nell’Umanesimo italiano, in La letteratura e la storia. Atti del IX Congresso Nazionale dell’ADI (Bologna-Rimini, 21-24 settembre 2005), a cura di E.MENETTI e C.VAROTTI, prefazione a cura di G.M. Anselmi, I, Bologna, GEDIT, 2007, pp. 3-55.

78

dell’imitatio letteraria, sottolineando la necessità di filtrare dalla lettura dei classici una lezione di spirito e non una formula centonaria, sia pure di eleganza e di perfezione formale; la filiazione di questo intendimento poetico si rintraccia nella prosa quale si presenta nei carteggi di Leonardo Bruni o di Poggio, elegante e disinvolta, veramente in grado di

«esprimere qualsiasi spirito energicamente individuato».325 Ma in concomitanza con i

progressi fatti nell’uso del latino, nell’affinamento della ricerca filologica e archeologica, onde l’emergere della dimensione storicistica, viene via via prendendo vigore il principio

dell’imitazione verbale o, se vogliamo, del ferreo ciceronianesimo:326

e così si arriva alla già menzionata disputa fra Paolo Cortesi che, forte del principio aristotelico per cui «nihil est in mente quin fuerit prius in sensibus perceptum», afferma l’assoluta necessità di rifarsi ad un modello, e Angelo Poliziano che, infranti gli echi teologici di matrice petrarchesca, rivendica la facoltà dell’artista creatore di modulare in proprio stile per tramite di un eclettico confronto

con i classici.327 E, di concerto a queste tensioni, sì, di gusto ma opportunamente inquadrabili

tra l’urgenza di dare una definizione del rapporto fra l’uomo e l’arte, si alzano gli echi della polemica sul conteso primato fra «res» e «verba», emblematicamente impostatosi nella corrispondenza fra Pico della Mirandola e Ermolao Barbaro nei termini del dibattito

sull’importanza delle preoccupazioni retoriche in materia filosofica.328

Corre in parallelo alle insidie che contrastano la nuova vigorosa latinità l’affermazione del volgare come lingua dell’Umanesimo nazionale italiano, meta, come ricordava Vittorio

Rossi nel suo Quattrocento, «dell’Umanesimo giunto a sua piena maturità».329 E se i sentori

del traboccante bilinguismo animano dall’interno l’epistolografia latina – lo si è notato poco sopra –, è entro questo territorio che sorge e si mantiene forte, almeno fino ad Erasmo, la roccaforte della latinitas: per il sorgere di epistolari o corrispondenze volgari “familiari”, infatti, si deve aspettare la prima metà del Cinquecento, e ed particolare il canale stretto fra Machiavelli e Vettori, Vettori e Della Casa, ove – ormai superati i confini della lettera politica o d’amore, entrambe di fortunata attestazione nella lingua materna – si condensa una organica riflessione metaletteraia e, più genericamente, culturale.

325

Cit. ROSSI, Il Quattrocento, pp. 78-79.

326 Su questo snodo, cf. R

OSSI, Il Quattrocento, pp. 78-80.

327 Le due epistole di Cortesi e Poliziano sono edite in Prosatori latini del Quattrocento, a cura di E.G

ARIN, Milano-Napoli, Ricciardi, 1952, pp. 902-911 (in part. alle pp. 902-905 l’epistola di Poliziano e alle pp. 905-911 quella di Cortesi).

328 Sulla polemica fra Ermolao Barbaro e Pico della Mirandola, cf. E. G

ARIN, La letteratura degli umanisti, cit., pp. 237-239.

329

79

Non è un caso, quindi, che proprio fra le lettere latine degli umanisti si dilatino esiti letterari davvero creativi o dall’alto valore teorico. Si consideri il modello dell’epistola- novella,330 che, sul terreno spianato dalla De insigni oboedientia et fide uxoria, prosegue la sua fortunata parabola, calcandone le orme sia a livello di struttura sia in relazione al confronto sul bi-trilinguismo che aveva riempito le carte della corrispondenza fra Petrarca e Boccaccio. Dal trittico volgare-latino-greco (“Trancredi e Seleuco”) di Leonardo Bruni, si prosegue con l’interessante dittico di Bartolomeo Facio, che apre e chiude il suo epistolario rispettivamente con una novella originale,331 De origine inter Gallos ac Britannos belli

historia, e la riscrittura latina del Decameron, X 1, dando prova, con il testo in proprio, della

più matura propaggine della codificazione umanistica della novella; giacché non solo l’umanista raggiunge le soglie della ricontestualizzazione di un genere basso in un altissimo esempio di prosa ciceroniana – è il caso di dire, in una sublime “lettera di presentazione” in un circuito dotto -, ma pure conduce la completa sintesi tematica «dell’immaginario umanistico, della cultura latina con i fantasmi accattivanti di antiche culture popolari».332

Ancora sulla base dell’alta retorica profusa nella scrittura personale gli umanisti assestano le prime formulazioni di un progetto razionale di institutio principis, che poi troverà ampio sbocco nell’oratoria e nella trattatistica de principe, entro una linea che parte da parte dal Super Isocrate di Facio333 e arriva fino al De princitatibus di Machiavelli, passando attraverso Giuniano Maio, il Platina e Pontano. La corrispondenza fra Guarino e

Leonello d’Este334

offre un significativo speculum del progetto monarchico ispirato dai classici e attinto soprattutto dalla teoresi politico-paideutica di Isocrate e Plutarco, che

Documenti correlati