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1. INTRODUZIONE

1.1 IBRIDI INTERSPECIFICI DI VITE

1.1.4 IBRIDAZIONE MODERNA, METODI E ATTUALI OBIETTIVI

Da oltre un secolo il miglioramento genetico della vite ha fatto affidamento alla tecnica di incrocio e selezione che ha consentito, attraverso l’ibridazione interspecifica di trasferire i caratteri di resistenza delle specie selvatiche al nuovo ibrido, prevedendo necessariamente l’esecuzione di successivi reincroci con un genitore di V.

vinifera dotato delle migliori caratteristiche qualitative per ridurre progressivamete il genoma della specie selvatica, mantenendo di questa i caratteri di resistenza e del parentale di vinifera, la vocazione alla vinificazione. Questa tecnica, seppur come incrocio intraspecifico, ha sempre accompagnato la storia della viticoltura, in modo più o meno consapevole da parte dell’uomo che molto spesso propagava la vite per via gamica. Il metodo di incrocio e selezione è quello impiegato ancora oggi per il miglioramento genetico della vite. I principali problemi di questa tecnica sono legati ai tempi lunghi e ai costi elevati per ottenere la nuova varietà, nonchè all’impraticabilità di ottenere nel nuovo individuo la combinazione voluta dei geni del genitore selvatico e di quello coltivato.

Normalmente ci vogliono vent’anni per ottenere una nuova varietà ed altri dieci per poterla renderla disponibile commercialmente. Grazie alle conquiste ottenute nel campo della genetica molecolare, che hanno portato al sequenziamento del genoma della vite e l’uso dei marcatori molecolari, è stato possibile ridurre i tempi per l’ottenimento di nuove varietà per incrocio e selezione. La selezione successiva alla nascita di nuove piante per incrocio avveniva fino a qualche decennio addietro basandosi solo sull’osservazione fenotipica dei caratteri agronomici. Oggi la selezione assistita dai marcatori (MAS, Marker Assisted Selection) e la conoscenza della

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sequenza del genoma di vite, permettono di identificare gli individui che a seguito dell’incrocio presentano i geni legati alla resistenza ai patogeni, evitando la riproduzione da seme di tutta la progenie. Una sfida per la genomica è la comprensione delle basi genetiche dei profili aromatici e dei geni responsabili della sintesi di determinate categorie di composti chimici dell’uva. In questo modo sarà possibile anche ridurre il numero di varietà da sottoporre alle prove di vinificazione, contenendo i tempi e i costi della selezione (Palliotti et al., 2018).

Tra i nuovi obiettivi continua ad esserci la ricerca di nuovi geni di resistenza tra le specie del genere Vitis e la piramidizzazione delle resistenze, ovvero la possibilità di riunire in un unico genotipo più geni di resistenza a un patogeno diminuendo la probabilità che quel patogeno evolvendosi, superi la resistenza stessa (Testolin et al., 2016). Eventi di superamento della resistenza si sono verificati in viticoltura, come nel caso della varietà Bianca (Peressotti et al., 2010). L’assenza di difesa fitosanitaria preventiva, la coltivazione monovarietale e intesiva sono fattori che predispongono al superamento della resistenza.

Una delle attuali sfide è proseguire la conoscenza dei geni legati ai caratteri metabolici, fenologici e morfologici.

I programmi di breeding continuano anche con i reincroci per diminuire progressivamente nelle nuove varietà la percentuale di genoma non-vinifera e dopo gli incroci del 2002-2003, i ricercatori di Udine hanno focalizzato l’attenzione anche sulla diversificazione d’incrocio per ottenere varietà con attitudini a vinificazioni diverse (base spumante, vini adatti a lunghi invecchiamenti, vini da dessert) e inserendo nei loro incroci non più le varietà internazionali, ma varietà autoctone. I ricercatori dell’Università di Udine hanno tra i nuovi obiettivi la messa a punto di metodi di analisi rapida dei profili metabolici in vista di una preselezione degli incroci destinati alle vinificazioni e ai test di assaggio, escludendo le varietà che dall’analisi del profilo metabolico del mosto evidenziano aromi indesiderati (Testolin et al., 2016).

A seguito della scoperta del gene di resistenza ad oidio, Ren 1, nella varietà V. vinifera cv. Kishmish Vatkana (Hoffmann et al., 2008) e all’individuazione di varietà caucasiche resistenti alla peronospora V. vinifera cv.

Mgaloblishvili (Toffolatti et al., 2016) sono stati iniziati nuovi progetti di ricerca in campo genetico anche in Italia, Francia, Germania, Ungheria e Stati Uniti.

Nell’ottica di una futura viticoltura sostenibile e degli effetti del cambiamento climatico, la ricerca scientifica continua a monitorare e selezionare le nuove varietà resistenti, che per consentire la sostenibilità devono garantire la resistenza a molteplici stress biotici, abiotici e ottimali caratteristiche vegeto-produttive.

Attualmente il miglioramento genetico in campo agricolo ha a disposizione diversi metodi che, per comodità, possono essere divisi in tre grandi gruppi: le tecniche di incrocio convenzionali (Conventional Breeding Tecniques, CBT), le tecniche di trasformazione genetica o tecniche consolidate di modifica genetica (Established Techniques of Genetic Modification, ETGM) e le nuove tecniche di incrocio (New Breeding Techniques, NBT) (Giovannelli et al., 2022).

A queste si aggiungono le tecniche di mutagenesi indotta che prevedono di indurre artificialmente mutazioni esponendo parti di pianta o piante intere a stimoli esterni fisici (radiazioni UV o di neutroni, schok termici o raggi X) o chimici (etil metansulfonato, EMS). La tecnica della mutagenesi non è specifica e induce mutazioni casuali pertanto bisogna operare su un elevato numero di individui, stante la bassa probabilità di ottenere un evento mutageno positivo. Sono state sperimentate attraverso l’irraggiamento su plantule “in vitro”,

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e negli anni 1950-1980 con raggi X e raggi γ sulle barbatelle, ma in entrambi i casi con risultati di modesto rilievo, motivo per cui sono state abbandonate (Palliotti et al., 2018).

Le tecniche consolidate di modifica genetica (ETGM) portano alla produzione delle piante geneticamente modificate (OGM), ovvero secondo la definizione stabilita dalla DIRETTIVA 2001/18/CE ad un

«organismo, diverso da un essere umano, il cui materiale genetico è stato modificato in modo diverso da quanto avviene in natura con l'accoppiamento e/o la ricombinazione genetica naturale». La suddetta direttiva del 2001 non vietava in modo assoluto gli OGM, ma prescriveva che gli OGM che rientrano nel suo campo di applicazione fossero soggetti a particolari controlli da parte degli organismi UE preposti, per ottenere il permesso di commercializzazione e coltivazione. La Direttiva indica quindi quali modifiche genetiche rientrano nel campo di applicazione della Direttiva e per inciso, le tecniche di cisgenesi fanno ottenere piante che rientrano appieno nella definizione di OGM. In seguito, con la DIRETTIVA (UE) 2015/412 del Parlamento Europeo e del Consiglio dell'11 marzo 2015, viene concessa la possibilità per gli Stati membri di limitare o vietare la coltivazione di organismi geneticamente modificati (OGM) sul loro territorio. Il 1° ottobre 2015, Il Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali rende noto che il Ministro Maurizio Martina, di concerto con il Ministro dell'Ambiente Gian Luca Galletti e il Ministro della Salute Beatrice Lorenzin, ha inviato alla Commissione Europea le richieste di esclusione di tutto il territorio italiano dalla coltivazione di tutti gli OGM autorizzati a livello europeo. A seguito di questa azione il divieto per gli OGM (come definiti dalla Direttiva 2001/18/CE) è diventato assoluto per l’Italia, per tutte le varietà OGM, presenti o future, anche se sono stati esclusi effetti negativi su salute e ambiente e tali OGM sono stati autorizzati per la coltivazione dall’Unione Europea.

Successivamente, con la sentenza della Corte di Giustizia Europea del 25 luglio 2018, le nuove tecniche di incrocio NBT (es. Target Genome Editing, TGE) vengono equiparate agli OGM, pertanto su queste basi, le nuove varietà prodotte tramite le NBT sono vietate in Italia.

Attualmente, quindi, le tecniche di cisgenesi e di genome editing non danno varietà coltivabili in Italia. Inoltre, il messaggio di paura lanciato con la sentenza della Corte di Giustizia Europea, ha riacceso il dibattito dell’opinione pubblica nei confronti della trans-genesi, costituendo di fatto un limite anche alla sperimentazione (Società Italiana di Genetica Agraria, 2022).

La cisgenesi consente il trasferimento dei geni di resistenza provenienti da altre specie del genere Vitis (americane, asiatiche) a V. Vinifera, intervenendo sul DNA con le stesse tecniche utilizzate per la creazione di piante geneticamente modificate quindi con la differenza che i geni non provengono da organismi viventi lontani da quelli da trasformare.

Il procedimento di genome editing è sempre una tecnica di modificazione genetica, ma non prevede di introdurre alcun gene estraneo nel genoma di un individuo. Viene modificata “in loco” la sequenza del DNA, consentendo di modificare il gene oppure di silenziarlo. I risultati ottenibili con la cisgenesi e la genome editing potrebbero quindi essere gli stessi che avvengono naturalmente per accoppiamento o mutazione. La potenzialità di queste due tecniche è legata alla possibilità di ottenere varietà resistenti senza modificare l’intero genoma. Si ottengono i geni di interesse senza avere altre porzioni del genoma della specie donatrice quindi si potrebbero avere delle varianti resistenti delle varietà di attuale interesse enologico e del tutto indentiche dal punto di vista del profilo metabolico. Sarebbe possibile evitare i ripetuti reincroci dispendiosi in termini economici e di tempo

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legati al fatto che le specie arboree hanno tempi di generazione di diversi anni (Testolin et al., 2016; Palliotti et al., 2018).