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Igitur Audoin, de quo praemiseramus, Langobardorum rex Rodelindam in matrimonio

Nel documento 1.1. La storiografia medievale. (pagine 85-102)

Capitolo 2 Paolo Diacono

27. Igitur Audoin, de quo praemiseramus, Langobardorum rex Rodelindam in matrimonio

habuit; quae ei Alboin, virum bellis aptum et per omnia strenuum, peperit. Mortuus itaque est Audoin, ac deinde regum iam decimus Alboin ad regendam patriam cunctorum votis accessit. Qui cum famosissimum et viribus clarum ubique nomen haberet, Chlotarius rex Francorum Chlotsuindam ei suam filiam in matrimonium sociavit. De qua unam tantum filiam Alpsuindam nomine genuit. Obiit interea Turisindus rex Gepidorum; cui successit Cunimundus in regno.

Qui vindicare veteres Gepidorum iniurias cupiens, inrupto cum Langobardis foedere, bellum potius quam pacem elegit. Alboin vero cum Avaribus, qui primum Hunni, postea de regis proprii nomine Avares appellati sunt, foedus perpetuum iniit. Dehinc ad praeparatum a Gepidis bellum profectus est. Qui cum adversus eum e diverso properarent, Avares, ut cum Alboin statuerant, eorum patriam invaserunt. Tristis ad Cunimundum nuntius veniens, invasisse Avares eius terminos edicit. Qui prostratus animo et utrimque in augustiis positus, hortatur tamen suos primum cum Langobardis confligere; quos si superare valerent, demum Hunnorum exercitum a patria pellerent. Committitur ergo proelium.

Pugnatum est totis viribus. Langobardi victores effecti sunt, tanta in Gepidos ira saevientes, ut eos ad internitionem usque delerent atque ex copiosa multitudine vix nuntius superesset. In eo proelio Alboin Cunimundum occidit, caputque illius sublatum, ad bibendum ex eo poculum fecit.

Quod genus poculi apud eos «scala» dicitur, lingua vero Latina patera vocitatur. Cuius filiam nomine Rosimundam cum magna simul multitudine diversi sexus et aetatis duxit captivam; quam, quia Chlotsuinda obierat, in suam, ut post patuit, pernicem, duxit uxorem.

Tunc Langobardi tantam adepti sunt praedam, ut iam ad amplissimas pervenirent divitias.

Gepidorum vero ita genus est deminutum, ut ex illo iam tempore ultra non habuerint regem. Sed

perché qui potesse raccogliersi una congregazione di molti monaci, come è anche adesso, con l’aiuto di Dio. Ora, dopo aver raccontato brevemente queste cose, che non erano da omettere, torniamo alla narrazione della nostra storia.

27.Audoino, re dei Longobardi, del quale abbiamo già parlato, ebbe in moglie Rodelinda, che gli dette come figlio Alboino, uomo adatto alla guerra e di grande valore ed energia. Poi Audoino morì, e Alboino fu assunto per volontà di tutti al governo della patria come decimo re.

Siccome aveva fama larghissima ed era grande per potenza, Clotario re dei Franchi gli dette sua figlia Clotsuinda in matrimonio: da essa generò solo una figlia, chiamata Alpsuinda. Morì intanto Turisindo re dei Gepidi e gli successe nel regno Cunimondo, il quale desideroso di vendicare le vecchie offese patite dai Gepidi, ruppe il patto con i Longobardi e preferì la guerra alla pace. Alboino allora strinse un’alleanza perpetua con gli Avari, che prima erano detti Unni e poi furono chiamati Avari dal nome di uno dei loro re. Quindi partì per la guerra voluta dai Gepidi. Questi dal canto loro, si stavano raccogliendo in fretta per muovergli contro, quando gli Avari, come avevano concordato con Alboino, invasero il loro paese.

Un triste messaggero giunse da Cunimondo e gli annunciò che gli Avari avevano invaso il suo territorio. Prostrato nell’animo e messo in angustia da entrambe le parti, egli tuttavia esorta i suoi a combattere prima contro i Longobardi;

se riuscivano a vincerli, avrebbero poi cacciato l’esercito degli Unni dalla loro patria. Si attacca dunque battaglia. Si combatté con tutte le forze.

I Longobardi riuscirono vincitori e con tanta ira infierirono sui Gepidi che li massacrarono tutti, e di così numeroso esercito a stento sopravvisse un uomo per riferire la strage. In quella battaglia Alboino uccise Cunimondo, gli tagliò la testa, e ne fece una coppa per bere. Questo tipo di coppa è detto scala presso di loro, in lingua latina si dice invece patera. Insieme a una gran folla di gente di diverso sesso ed età, condusse prigioniera anche la figlia del re, Rosmunda, e, dal momento che Clotsuinda era morta, la prese in moglie – per la propria rovina come pose si dimostrò. Allora i Longobardi fecero un bottino

86 universi qui superesse bello poterant aut Langobardis subiecti sunt, aut usque hodie, Hunnis eorum patriam possidentibus, duro imperio subiecti gemunt. Alboin vero ita praeclarum longe lateque nomen percrebuit, ut hactenus etiam tam aput Baioariorum gentem quamque et Saxonum, sed et alios eiusdem linguae homines eius liberalitas et gloria bellorumque felicitas et virtus in eorum carminibus celebretur. Arma quoque praecipua sub eo fabricata fuisse, a multis hucusque narratur.

così grande da diventare ricchissimi. La nazione dei Gepidi, invece, fu così decimata che da allora non ebbe più un re, ma tutti quelli che erano riusciti a scampare alla guerra o furono assoggettati ai Longobardi o, fino ad oggi, gemono sotto il duro impero degli Unni, che possiedono la loro terra. Ma il nome di Alboino divenne così celebre in lungo e in largo, che ancor oggi la sua liberalità e la sua gloria, i suoi successi in battaglia e il suo valore sono celebrati nei carmi, anche presso i Bavari e i Sassoni e altri uomini della stessa lingua. Molti narrano ancora adesso che sotto di lui furono anche fabbricate delle armi straordinarie.

Il clima gelido delle regioni settentrionali è il primo argomento dell’Historia Langobardorum.

Paolo, spiega come tale clima sia più favorevole alla salute degli uomini e alla loro proliferazione rispetto a quello delle terre più vicine al sole.

( HL I, 1, 1-5 « Septemtrionalis plaga quanto magis ab aestu solis remota est et nivali frigore gelida, tanto salubrior corporibus hominum et propagandis est gentibus coaptata; sicut econtra omnis meridiana regio, quo solis est fervori vicinior, eo semper morbis habundat et educandis minus est apta mortalibus. »)

L’associazione tra i climi e le caratteristiche fisiche e morali dei popoli deriva dall’etnografia e dalla medicina greco- romana, per le quali il clima temperato era perfetto per sviluppare le doti politico - intellettuali dell’uomo. Nella visione di Paolo il clima non condiziona il modo di essere effettivo, né le attitudini mentali degli uomini, ma influisce solo sulla loro salute e sulla loro fertilità.

Successivamente identifica le terre prese in esame con il termine generale di Germania, benché egli sia consapevole che ogni località ha un proprio nome. Per Paolo questi territori comprendono tutta l’Europa a Nord del mondo romano, fino al fiume Don, mentre gli antichi le posizionavano tra le Gallie a ovest e il territorio dei Sarmati e Daci a est considerandoli quindi meno estesi.

(HL I, 1, 7-12 « […] ut non inmerito universa illa regio Tanai tenus usque ad occiduum, licet et propriis loca in ea singula nuncupentur nominibus, generali tamen vocabulo Germania vocitetur;

quamvis et duas ultra Rhenum provincias Romani, cum ea loca occupassent, superiorem inferioremque Germaniam dixerint.»).

L’autore descrive la Germania come una terra molto popolosa, a tal punto che a malapena riesce a nutrire tutti i suoi abitanti, causando anche l’emigrazione di molti di essi in Europa e in Asia.

Le città distrutte nell’Illirico, nella Gallia e soprattutto in Italia dimostrano la ferocia di quei popoli.

(HL I, 1, 14 -20 «Multae quoque ex ea, pro eo quod tantos mortalium germinat, quantos alere vix sufficit, saepe gentes egresse sunt, quae nihilominus et partes Asiae, sed maxime sibi contiguam Europam adflixerunt. Testantur hoc ubique urbes erutae per totam Illiricum Galliamque, sed maxime miserae Italiae, quae pene omnium illarum est genitum experta saevitum.»).

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Dopo questa breve introduzione, Paolo descrive l’origine del suo popolo, identificandone la terra natia con la Scandinavia e riconducendone l’etnia a quella delle popolazioni germaniche. Ne racconta poi la partenza da questa terra, sotto la guida dei fratelli Ibor e Aio i loro capi.

(HL I, 1 22-26, 2, 3.) 1, 22-26 « Pari etiam modo et Winnilorum, hoc est Langobardorum, gens, quae postea in Italia feliciter regnavit, a Germanorum populis originem ducens, licet et aliae causae egressionis eorum asseverentur, ab insula quae Scandinavia dicitur adventavit.»

I, 2. « Cuius insulae etiam Plinus Secundus in libris, quos de natura rerum conposuit, mentionem facit. Haec igitur insula, sicut retulerunt nobis qui eam lustraverunt, non tam in mari est posita, quam marinis fluctibus propter planitiem marginum terras ambientibus circumfusa. Intra hanc ergo constituti populi dum in tantam multitudinem pullulasent, ut iam simul habitare non valerent, in tres, ut fertur, omnem catervam partes dividentes, quae ex illis pars patriam relinquere novasque deberet sedes exquirere, sorte perquirunt.»

I, 3. « Igitur ea pars, cui sors dederat genitale solum excedere exteraque arva sectari, ordinatis super se duobus ducibus, Ibor scilicet et Aione, qui et germani erant et iuvenili aetate floridi et ceteris praestantiores, ad exquirendes quas possint incolere terras sedesque statuere, valedicentes suis simul et patriae, iter arripiunt. Horum erat ducum mater nomine Gambara, mulier quantum inter suos et ingenio acris et consiliis provida; de cuius in rebus dubiis prudentia non minimum confidebant.»

“ Benché non esistano testimonianze assolutamente sicure e inequivocabili – ad esempio archeologiche – a proposito dell’origine scandinava dei Longobardi, si possono tuttavia far pesare a favore di questa ipotesi sia certe somiglianze tra il diritto longobardo e quello degli antichi popoli scandinavi, sia taluni tratti nordici della mitologia longobarda. Anche i ripetuti rimandi a una derivazione gautica o harudica di alcuni re longobardi suggeriscono come non improbabile una simile supposizione. Ma l’argomento principale a favore della provenienza scandinava dei Longobardi nasce dall’osservazione che la leggenda delle origini di un popolo rappresenta un elemento che per quel popolo stesso ha un valore costitutivo e che legittima un ordine statale: è dunque un elemento che proprio per questo motivo si sottrae almeno in parte ad alterazioni di tipo poetico. Così, è significativo il fatto che nel I secolo dopo Cristo una parte di un popolo migrasse in effetti dalla Scania. Questa gente aveva nome di «Winnili» - i «combattenti» - e doveva essere composta, secondo le numerose indicazioni delle fonti, soprattutto di gruppi di giovani bellicosi e rotti a ogni fatica, che si raccoglievano al seguito di Ibor e Aio. Forse essi lasciarono veramente il proprio paese, che stava subendo una crisi di sovrappopolamento ed era perciò teatro di conflitti economici e sociali. Tuttavia, piuttosto che questo motivo – diffuso come tópos, e perciò ispirante minor fiducia – è più utile supporre altre ragioni che possono aver indotto quegli uomini a muoversi: ad esempio la voglia di avventura, il desiderio di gloria militare e la brama di bottino. Sia le circostanze più direttamente all’origine dell’emigrazione dei Winnili, sia la personalità dei loro capi Ibor e Aio restano quindi per noi avvolte nell’oscurità della leggenda, mentre abbiamo meno ragioni di mettere in dubbio le loro origini scandinave.”120

La prima tappa di questa lunga migrazione, secondo quello che ci riferisce Paolo, è stata la

“Scoringa,” che solitamente tradotta significa “paese rivierasco, terra che si affaccia sul mare.”

L’ipotesi più accreditata accosta il termine Scoringa al termine tedesco antico scorro, che significa

“roccia, scoglio.” Questa terra è identificata dalla maggior parte degli studiosi sulla costa del Baltico, tra la Danimarca e la Vistola o sulle rive dell’Elba oppure, meno plausibilmente, sulle coste del Reno,

120 J. Jarnut, Storia dei Longobardi, Torino, 1995, Einaudi, p.4.

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alla confluenza con il Meno. La supposizione più credibile è quella che associa questo territorio con l’isola di Rügen, poco al largo della costa nord – est della Germania, percorso più diretto tra Scania e continente.

I Longobardi si stabilirono in questa terra per alcuni anni. In Scoringa, si scontrarono con i Vandali, la popolazione più potente dell’Europa centro – orientale, in un periodo che non è possibile datare con certezza: l’Origo lo data al 100 a.C., sicuramente non oltre il I secolo a.C. I vandali germani orientali, probabilmente scandinavi, migrarono, forse nel III secolo a.C. nello Jutland, successivamente, forse all’incirca nel 100 a.C. nella Germania orientale e nella Polonia. L’esito della battaglia ha visto il trionfo dei Longobardi.

HL I, 7, 3-11. HL I, 10, 1-3. « Illo itaque tempore Ambri et Assi Wandalorum duces vicinas quasque provincias bello premebant. Hi iam multis elati victoriis, nuntios ad Winnilos mittunt, ut aut tributa Wandalis persolverent, aut se ad belli certamina praepararent. Tunc Ibor et Aio, adnitente matre Gambara, deliberant, melius esse armis libertatem tueri, quam tributorum eandem solutione foedare. Mandant per legatos Wandalis, pugnaturos se potius quam servituros. […] Winnili igitur, qui et Langobardi, commisso cum Wandalis proelio, acriter, utpote pro libertatis gloria, decertantes, victoriam capiunt.

A proposito di questa battaglia, Paolo narra un mito, quello di Wotan, Dio che avrebbe concesso la vittoria al primo dei due popoli che egli avesse visto al sorgere del sole.

HL I, 8, 2-14. « Wandali ad Godan victoriam de Winnilis postulaverint, illeque responderit, se illis victoriam daturum quos primum oriente sole conspexisset. Tunc accessisse Gambaram ad Fream, uxorem Godan, et Winnilis victoriam postulasse, Freamque consilium dedisse, ut Winnilorum mulieres solutos crines erga faciem ad barbae similitudinem conponeret maneque primo cum viris adessent seseque a Godan videndas pariter e regione, qua ille per fenestram orientem versus erat solitus aspicere, conlocarent. Atque ita factum fuisse. Quas cum Godan oriente sole conspiceret, dixisse: « Qui sunt isti longibarbi?». Tunc Fream subiunxisse, ut quibus nomen tribuerat victoriam condonaret. Sicque Winnilis Godan victoriam concessisse.»

Tale mito è tramandato da due fonti del VII secolo, l’Origo I e il Fredegario, III 65. Paolo usa come fonte l’Origo, apportando però alcune modifiche. Il luogo è diverso, Ibor e Aio prendono il comando solo alla partenza e non vanno a chiedere aiuto a Frea. Non è presente il particolare del letto di Wotan che Frea gira verso est, prima di svegliare il marito e il dono della vittoria è valido solo per questa battaglia, mentre nell’Origo è per sempre.

“ In questa saga è in un certo senso puntualizzato l’ampio e lungo processo di trasformazione che i Winnili subirono in Scoringia. Recenti ricerche hanno dimostrato verosimile il fatto che nel nuovo paese i conquistatori scandinavi abbiano abbandonato la loro vecchia religione dei Vani basata sui culti della fertilità e siano diventati adoratori di Wotan, il dio degli eserciti e della guerra. Questo cambiamento nel culto, a sua volta enfatizzato a livello simbolico nel cambiamento di nome, riflette le mutate condizioni di vita di quel popolo. Nella saga longobarda delle origini che, come si è già sottolineato, legittima in senso sacrale le diverse forme di vita del popolo, la profonda rottura di continuità che si verifica con lo svilupparsi delle schiere scandinave dei Winnili nel popolo continentale dei Longobardi è superata solo con un certo sforzo tramite Gambara, Ibor e Aio, le figure dei condottieri che rappresentano la continuità. Così la saga rispecchia nel mito la continuità e la

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discontinuità, la persistenza e il cambiamento vissuti nel I secolo avanti Cristo dai conquistatori dell’isola di Rügen.”121

Successivamente i Longobardi si diressero verso la Mauringa, paese delle paludi e degli acquitrini, situato probabilmente nella regione dei laghi del Meclemburgo occidentale, l’unica terra paludosa tra la costa di fronte alla Scania e la bassa Elba. Sulla loro strada si frapposero però gli Assipitti, popolazione non identificata, ubicata probabilmente nella Pomerania o nel Meclemburgo orientale, che si rifiutava di farli passare. La forza degli Assipitti era superiore a quella dei Longobardi, per cui questi ultimi, per intimorire l’avversario, finsero di avere tra di loro uomini cinocefali, cioè con la testa di cane, che combattevano senza mai stancarsi e bevevano sangue umano.

“ Pomponio Mela, Chorographia II I, 12-4, che parlando dei popoli scitici e utilizzando in parte Erodoto, IV 105, ricorda che i Neuri possono trasformarsi in lupi e che altri Sciti bevono il sangue del primo nemico ucciso. Paolo però dipende certo da qualche tradizione del suo popolo, di cui non comprende più il senso. La critica moderna è quasi unanime nel riconoscere qui il ricordo dei guerrieri invasati, dediti al culto esclusivo di Wotan, che in battaglia andavano vestiti con pelli di lupo o di orso e, riprendendone l’essere divenivano insensibili al dolore e privi di ogni freno. Ne abbiamo ampie descrizioni per i più tardi, ma analoghi berserkir vichinghi, e anzi per alcuni questo è un tratto nordico, che apparenta i Longobardi agli Scandinavi.”122

HL I, 11, 3-10. « Porro Langobardi cum magnas hostium copias cernerent neque cum eis ob paucitatem exercitus congredi auderent, dumque quid agere deberent decernerent, tandem necessitas consilium repperit. Simulant se in castris suis habere cynocephalos, id est canini capitis homines.

Divulgant aput hostes, hos pertinaciter bella gerere, humanum sanguinem bibere et, si hostem adsequi non possint, proprium potare cruorem. Utque huic adsertioni fidem facerent, ampliant tentoria plurimosque in castris ignes accendunt. His hostes auditis visisque creduli effecti, bellum quod minabantur iam temptare non audent.»

Per risolvere la questione gli Assipiti, avendo nel loro esercito un uomo di forza straordinaria, proposero un duello tra quest’ ultimo e un guerriero longobardo. Se avesse vinto il rappresentante degli Assipiti i Longobardi sarebbero dovuti tornare indietro, in caso contrario avrebbero potuto passare e proseguire il loro cammino verso la Mauringa. Uno schiavo si propose come rappresentante dei Longobardi chiedendo di ottenere la libertà in caso di vittoria. Vinse il duello, ottenne la libertà e i Longobardi proseguirono la loro marcia.

HL I, 12, 1-16. « Habebant tamen apud se virum fortissimum, de cuius fidebant viribus, posse se procul dubio optinere quod vellent. Hunc solum pro omnibus pugnaturum obiciunt. Mandant Langobardis, unum quem vellent suorum mitterent, qui cu meo ad singulare certamen exiret, ea videlicet conditione, ut, si suus bellator victoriam caperet, Langobardi itinere quo venerant abirent;

sin vero superaretur ab altero, tum se Langobardis transitum per fines proprios non vetituros.

Cumque Langobardi, quem e suis potius adversus virum bellicosissimum mitterent, ambigerent, quidam ex servili conditione sponte se optulit, promittit se provocanti hosti congressurum, ea ratione, ut, si de hoste victoriam caperet, a se suaque progenie servitutis naevum auferrent. […] Adgressus hostem, pugnavit et vicit; Langobardis transefundi facultatem, sibi suisque, ut optaverat, iura libertatis indeptus est.»

121 J. Jarnut, Storia dei Longobardi, Torino, 1995, Einaudi, p.6.

122 Paolo Diacono, Storia dei Longobardi, a cura di L. Capo, Milano, 1992, Fondazione Lorenzo Valla / Mondadori p.382.

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Arrivati in Mauringa, i Longobardi, liberarono molti schiavi, secondo il rito della freccia per aumentare il proprio esercito. Non esistono testimonianze sulla simbologia di questo rito, si possono però formulare delle ipotesi. Il Ronconi ritiene che allo schiavo fosse consegnata una freccia, arma del fante, come simbolo dell’ammissione nel popolo dei liberi, cioè degli armati. Il Cardini, nel suo libro Alle radici, (p.68 nt. 136 e p. 258), allude piuttosto a un rito di passaggio dallo stato imbelle a quello armato attraverso una ferita rituale, che avrebbe il suo modello mitico nella morte di Odino.

“ Troviamo qui di nuovo una solida indicazione del fatto che il piccolo popolo migrante dei Longobardi si era portato al seguito degli schiavi, per rafforzare così il proprio potenziale militare.

Non è difficile immaginare che attraverso questa liberazione di massa sia cambiata permanentemente la struttura etnica del popolo e che dunque i Longobardi agli albori della propria storia non abbiano costituito un gruppo chiuso sotto il profilo etnico.”123

Senza spiegare il motivo della migrazione, Paolo riferisce, che i Longobardi si stabilirono in Golandia, identificabile con la brughiera di Luneburgo e che per alcuni anni controllarono le località non identificabili di Anthab, Banthaib e Vurgundaib.

“ Per la prima volta ci è possibile sostenere le affermazioni della saga che rievoca la migrazione con le testimonianze degli storici antichi e con le acquisizioni della moderna archeologia.

I Longobardi hanno inciso così profondamente nella storia di quel territorio che fino al secolo XIII inoltrato una sua zona si è chiamata Bardengau e che una sua località – Bardowick presso Luneburgo- ancora oggi trae nome da loro. I confini del Bardengau, in cui sono state trovate numerose tombe longobarde con i loro corredi di armi e ornamenti, sono segnati a Nord dall’Elba, a est dalla regione forestale della Göhrde, a sud dalla regione sorgentifera dell’Ilmenau e infine a ovest dalla Sava. Resta controverso se i Longobardi anche allora si siano insediati più a est dell’Elba.”124

In questo periodo morirono Ibor e Aio. In conseguenza di ciò i Longobardi decisero di eleggere un re alla guida del loro popolo.

“ […] Stando alla loro tradizione ufficiale, scelsero quale primo re Agilmondo. Sembra verosimile che a eleggerlo fosse stata quella parte del popolo che era emigrata allora dalla Germania settentrionale. Agilmondo fu fatto re nel corso di un’assemblea dell’esercito secondo una procedura non dissimile da un’elezione, ma non siamo in grado di ricostruire l’avvenimento nei dettagli.

Divenne re perché la sua stirpe era giudicata particolarmente nobile ed egli era considerato un condottiero esperto.”125

Agilmundo regnò per 33 anni. Discende dalla nobile stirpe dei Gungingi, il cui nome secondo Gasparri ( La cultura p.24) deriva da Gungir, la lancia di Wotan.

HL I, 14, 1-8 « Mortius interea Ibor et Aione ducibus, qui Langobardos a Scandinavia eduxerant et usque ad haec tempora rexerant, nolentes iam ultra Langobardi esse sub ducibus, regem sibi ad ceterarum instar gentium statuerunt. Regnavit igitur super eos primus Agelmund, filius Aionis, ex prosapia ducens originem Gungigorum, quae aput eos generosior habebatur. Hic, sicut a maioribus traditur, tribus et triginta annis Langobardorum tenuit regnum.»

Questo è un passaggio molto importante per la storia del popolo longobardo che finalmente come le altre popolazioni può vantare un proprio re.

123 J. Jarnut, Storia dei Longobardi, Torino, 1995, Einaudi, p.7.

124 J. Jarnut, Storia dei Longobardi, Torino, 1995, Einaudi, p.8.

125 J. Jarnut, Storia dei Longobardi, Torino, 1995, Einaudi, p24.

Nel documento 1.1. La storiografia medievale. (pagine 85-102)

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