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Il modello amministrativo: struttura e funzionamento

Regno Unito

1. Il sistema sanitario spagnolo

1.2. Il modello amministrativo: struttura e funzionamento

Con la transizione alla democrazia, vengono via via alla luce le limitazioni della sanità pubblica ereditata dal regime precedente. La riforma sanitaria appare associata a forze che intervengono dall’esterno e che mettono in discussione un’autonomia gelosamente difesa soprattutto dai professionisti della comunità medica.

L’ideologia irrompe per la prima volta con forza nella discussione sulla politica sanitaria e vengono proposti modelli alternativi basati sui progetti politici associati alla trasformazione globale della società spagnola.

La Costituzione del 1978 segna il passaggio al nuovo regime politico, ma non definisce chiaramente il ruolo che spetta al sistema sanitario. Include due norme, oltre a quelle che fanno riferimento alla distribuzione delle competenze tra Stato e comunità autonome:

l’art. 41, che stabilisce l’obbligo da parte dei poteri pubblici di mantenere un regime pubblico di previdenza sociale;

l’art. 43, che riconosce il diritto alla salute, incaricando le pubbliche amministrazioni di organizzare e tutelare la salute pubblica attraverso misure preventive, prestazioni e servizi necessari.

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Vale la pena segnalare due interpretazioni di questi articoli: secondo la prima, alla previdenza sociale spetterebbero le prestazioni strettamente economiche e la sanità dovrebbe costituire un servizio separato; la seconda interpretazione vede la previdenza sociale come il referente organizzativo ed economico di tutte le prestazioni sanitarie, comprese quelle appartenenti al proprio sistema di assicurazione. Si pone l’alternativa tra un modello di sanità universale, organizzato attraverso un servizio sanitario nazionale, e un modello sanitario basato sull’assicurazione contributiva e dipendente dalla previdenza sociale.

La Legge generale sulla sanità (1986) risolve questa dicotomia a favore della prima opzione stabilendo un sistema sanitario integrato, autonomo dalla previdenza sociale e capace di porre fine all’insufficienza e alla disorganizzazione storica della sanità spagnola. La riforma sanitaria, che ha come elemento trascinante la Legge generale sulla sanità, è inseparabile dall’ascesa al potere dei socialisti nel 1982 e dal loro progetto di indirizzare la Spagna sulle coordinate di uno Stato sociale moderno, assimilabile a quello dei paesi europei più avanzati. Si affermano quelle forze che si erano distinte nella critica al modello corporativo della sanità, alla sua disorganizzazione e alla copertura insufficiente delle necessità della popolazione e prende piede una tendenza riformatrice che assume come riferimento concettuale i modelli sanitari comparati, basati sulla copertura universale e gratuita statale, che prende il nome di Sistema sanitario nazionale (Sistema Nacional de Salud).

La Legge generale sulla sanità (1986) è il risultato di questa tendenza. Dalla stessa legge si deduce un cambiamento fondamentale nel contenuto dell’assicurazione sanitaria: cessa di essere un diritto derivato dalla contribuzione alla previdenza sociale per trasformarsi in un diritto non contributivo derivato dalla condizione di cittadinanza. Questo cambiamento si concretizza nell’ampliamento della copertura sanitaria e in una progressiva diminuzione della contribuzione del finanziamento della previdenza sociale al bilancio sanitario, che finirà con lo sparire con l’applicazione del Patto di Toledo per la razionalizzazione della previdenza sociale.

Lo scopo di questa legge è concentrare in un’unica unità istituzionale di pianificazione ed esecuzione tutta la pluralità di organizzazioni sanitarie del periodo storico precedente. Questa preoccupazione è chiaramente testimoniata dal fatto che 80 dei 113 articoli della Legge generale sulla sanità hanno carattere organizzativo, mentre gli altri definiscono il contenuto del diritto alla salute e descrivono genericamente le funzioni sanitarie. La legge non stabilisce il contenuto della prestazione sanitaria, limitandosi a formule generiche suscettibili di moltissime possibilità di

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interpretazione. In altre parole, non esiste una definizione delle condizioni di accesso al sistema, né si concretizzano in un elenco le prestazioni incluse o escluse, né si distinguono le prestazioni di base da quelle complementari che potrebbero essere finanziate direttamente dai beneficiari.

Queste misure, unite ai principi generali della legge (estensione a tutta la popolazione spagnola, accesso in condizioni di uguaglianza effettiva e superamento delle disuguaglianze), creano un sistema di chiara vocazione espansiva, aperto alle prestazioni che possono essere generate dal progresso tecnico e scientifico e alle pressioni del consumo esercitate dalla domanda.

Non deve sorprendere, quindi, la forte tendenza espansiva della spesa sanitaria in Spagna a partire dall’approvazione della Legge generale sulla sanità. Se tra il 1984 e il 1987 la spesa sanitaria andò di pari passo alla crescita del PIL, dal 1987 al 1993 la crescita media annuale fu del 13,8%, cioè uno scarto medio annuale di 4,3 punti oltre la crescita nominale del PIL; dal 1994 al 1997 l’evoluzione della spesa sanitaria si è assestata leggermente sopra il 6% fino ad arrivare a oltre il 7%. Questo significa che la Spagna è il paese con la maggior crescita relativa della spesa sanitaria in rapporto al PIL di tutti gli stati membri dell’Unione Europea negli ultimi decenni.

In questo scenario dinamico, fatto da un lato di forti istanze dirigenzialiste ed ideologiche e dall’altro da una montante, decisa e riconosciuta esigenza di decentramento della gestione, si inscrive la “macchina” sanitaria spagnola, attraverso gli enti finanziatori, i soggetti erogatori di servizi fino agli utenti (tav. 2). E’ nell’erogazione dei servizi che il Sistema sanitario nazionale prevede varie forme di partecipazione mista, come si vedrà meglio nel paragrafo dedicato all’offerta sanitaria.

Nel luglio 1991 una commissione di esperti ha redatto un rapporto, chiamato l’Informe Abril, dove vengono suggerite le linee programmatiche attraverso cui il sistema spagnolo dovrà affrontare le riforme. Fra i tanti punti espressi, due i principali:

occorre portare a compimento il progressivo processo di trasferimento delle funzioni gestionali alle Comunità Autonome; saranno queste ultime che dichiareranno la loro disponibilità ad assumersi l’incarico di gestione dal sistema centrale Insalud e la gestione centrale valuterà, prima di procedere al trasferimento, l’effettiva capacità di gestione da parte dell’amministrazione della Comunità Autonoma;

il Sistema sanitario nazionale mantiene il controllo finanziario, facendosi carico di assicurare i trasferimenti delle risorse e richiedendo alle Comunità Autonome capacità gestionale e capacità di rendicontare la

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propria attività finanziaria secondo criteri che tengano conto anche di esigenze di tipo amministrativo e contabile.

Attualmente le Comunità Autonome con un proprio sistema sanitario autonomo sono sette su diciassette ed il processo di decentramento continua ad una velocità crescente.

La validità del riconoscimento di alcuni diritti e doveri minimi e comuni a tutta la cittadinanza su tutto il territorio dipende, tuttavia, dall’esistenza e dalla corretta applicazione di funzioni e strumenti di coordinamento intergovernativi che si riconoscono espressamente nella Legge generale sulla sanità dell’86. Attualmente l’esperienza evidenzia uno scarso utilizzo di questi meccanismi, come conseguenza delle logiche di relazione tra livelli di governo che sono poco compatibili con l’effettiva messa in pratica.

In questo deficit di sviluppo di coordinamento ai livelli superiori, il Ministero della sanità ha potuto concentrare nelle proprie mani la gestione diretta delle competenze assistenziali dell’Insalud lasciando in secondo piano le funzioni di coordinamento. Per il futuro si può sperare che una combinazione di fattori crei le condizioni adeguate per riempire di contenuto tali funzioni e per renderle pienamente operative.

I trasferimenti ancora in sospeso dall’Insalud alle Comunità Autonome (10 Comunità Autonome su 17 non gestiscono ancora il proprio sistema sanitario) presuppongono per il Ministero della sanità un punto di non ritorno in questo senso; una volta effettuati i trasferimenti, infatti, il ministero perderà la capacità di influenzare l’insieme del sistema con la conseguenza che il mancato sviluppo delle funzioni e degli strumenti di coordinamento che gli sono attribuiti può lasciare prive di contenuto le responsabilità di integrazione.

Allo stesso tempo, le pressioni assistenziali sul versante della domanda e le esigenze di contenimento della spesa sul versante dell’offerta stanno mettendo alla prova lo sforzo di differenziazione che ha diretto finora lo sviluppo delle autonomie. Le autorità sanitarie locali avranno sempre più bisogno di reciproco appoggio e di accordi statali per non trovarsi sole davanti alle decisioni economiche e assistenziali impopolari che, con ogni probabilità, dovranno adottare.

Per rispondere alle esigenze di governo delle strutture pubbliche, il Sistema Nacional de Salud si sta dotando di nuove forme di gestione come le fundaciones, le empresas publicas sanitaria (EPS) e i consorcios sanitarios, che sembrano rispondere positivamente all’esigenza di flessibilità ed efficienza dell’offerta (tav. 3). Sebbene si tratti sempre di enti pubblici, i criteri gestionali di questi istituti vanno sempre più costruendosi attraverso

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logiche attente ad aspetti aziendalistici, al punto che parte dei servizi possono essere dati in gestione ad organizzazioni private.

Per i prossimi anni è dunque auspicabile:

6. Il Piano integrato sulla salute (Plan Integrado de Salud) come filo conduttore della determinazione comune di obiettivi e priorità per tutto lo Stato. Il Piano integrato sulla salute offre lo strumento su cui plasmare i valori di solidarietà interterritoriale e, quindi, le priorità della politica sanitaria che tendono ad equilibrare le capacità sanitarie e l’uguaglianza effettiva dei cittadini. Questo strumento è rimasto inattuato per l’intrinseca difficoltà di fissare priorità e obiettivi globali oltre la somma di quanto stabilito nelle comunità autonome. Il Piano integrato sulla salute dovrebbe essere invece concepito come la rappresentazione di un processo comune di partecipazione e responsabilizzazione delle comunità autonome nello stabilire provvedimenti attraverso l’elaborazione e l’approvazione del Consiglio interterritoriale (Consejo Interterritorial).

7. Il Ministero della sanità dovrebbe disporre di un fondo di bilancio vincolato al raggiungimento degli obiettivi del Piano. A margine della soluzione che viene adottata per la distribuzione territoriale delle risorse e del suo carattere, generale o specifico, il raggiungimento degli obiettivi del piano si rafforzerebbe se fosse vincolato a incentivi economici che possono condizionare positivamente o negativamente l’assegnazione delle risorse da parte delle comunità autonome. L’amministrazione del fondo spetterebbe al Ministero della sanità mediante accordi bilaterali con le autorità delle autonomie, concordando il proprio contributo come complementare alle risorse territoriali e soggetto alla realizzazione delle priorità assistenziali e agli impegni di disciplina di bilancio.

8. Il coordinamento generale del sistema sanitario richiede sistemi di informazione trasparenti e affidabili, amministrati con indipendenza e obiettività. In realtà non esistono sistemi con queste caratteristiche. Non sono state stabilite né le infrastrutture di informazione che permettano il flusso di dati né gli standard comuni per il reperimento, l’elaborazione e la memorizzazione delle informazioni da parte degli operatori del sistema sanitario. L’informazione, come competenza condivisa tra amministrazioni che deve garantire criteri obiettivi e professionalità nella sua manipolazione, richiede un trattamento organizzativo speciale. È stata proposta un’Agenzia di informazione sanitaria (Agencia de Información Sanitaria) alle dipendenze del Consiglio interterritoriale e con la partecipazione sia delle comunità autonome sia del Ministero della sanità nei suoi organi di governo e amministrazione.

9. L’Alta Ispezione (Alta Inspección), espressione infelice in termini di

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decentramento politico, ha visto praticamente annullata la propria operatività rimanendo limitata alla scoperta e al perseguimento delle incursioni normative delle comunità autonome nelle competenze statali.

Un riorientamento costruttivo delle funzioni dovrebbe basarsi sull’individuazione delle ingiustizie, sulla valutazione comparata dei risultati sulla salute e sull’anticipazione dei problemi che interessano tutto il sistema. A questo scopo, l’Alta ispezione dovrebbe porsi in una logica di lavoro congiunto con gli organi di controllo delle autonomie.

10.Il Consiglio interterritoriale deve ridefinire le proprie responsabilità, modificare gli impegni, fissare i procedimenti decisionali e rafforzare la struttura di appoggio se vuole svolgere il ruolo da protagonista che gli viene attribuito nel coordinamento del Sistema sanitario nazionale.

Finora ha operato più come organo di informazione e comunicazione, ostacolato dall’asimmetria tra le sue componenti e dalla tendenza a evitare processi decisionali. Il suo sviluppo futuro richiederà una determinazione più esatta del ruolo, con possibilità diverse (di decisione, di consultazione o di semplice informazione) che richiederanno riforme importanti nell’organizzazione, nel funzionamento e nelle capacità tecniche.