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Il 1969, ovvero la lezione dell’Autunno caldo

Nelle pagine precedenti si è cercato di evidenziare, per quan-to in modo sintetico, la ricchezza dei tasselli che compongono il mosaico del “Sessantanove operaio”: una mole notevole di lotte e vertenze, scioperi e agitazioni, conflitti e accordi che, in misura più o meno accentuata, finì di fatto per coinvolgere l’intero pae-se, investendo ogni ambito produttivo e gran parte del territorio nazionale. Tale movimento – è noto – ebbe un punto culminante:

l’Autunno caldo, vale a dire il momento in cui i dieci, cento, mille 1969 divennero il 1969, destinato a incidere profondamente nella storia d’Italia14. Ed ebbe un protagonista principale: il sindaca-to confederale, che fu l’artefice principale di quel mutamensindaca-to, il soggetto che unificò a livello nazionale, generale e politico, quel movimento così dinamico, quasi caotico, spesso autonomo,

diffi-13.  Fabrizio Loreto, Sindacato, conflitto e democrazia, in Luca Baldissara (a cura di), Tempi di conflitti, tempi di crisi. Contesti e pratiche del conflitto sociale a Reg-gio Emilia nei “lunghi anni Settanta”, Napoli-Roma, l’ancora del mediterraneo, 2008, pp. 229-307.

14.  Cfr. Diego Giachetti, L’autunno caldo, Roma, Ediesse, 2013; Ada Becchi, Andrea Sangiovanni, L’autunno caldo. Cinquant’anni dopo, Roma, Donzelli, 2019.

cile da ricomporre; un movimento, però, che occorreva saldare a tutti i costi, se si voleva che quella energia così potente, ma anche così dispendiosa, raggiungesse obiettivi stabili e duraturi15.

Tuttavia, quando si esamina il ruolo del sindacato durante l’Autunno caldo, occorre specificare che si parla soprattutto di quella parte importante delle Confederazioni, che si può definire con la categoria di “sinistra sindacale”, le cui origini culturali af-fondano le radici nell’operaismo (sindacale) di matrice socialista e comunista, nonché nelle componenti (sindacali) del cosiddetto

“dissenso cattolico”. Inizialmente minoritaria, presente in misu-ra maggiore nelle fedemisu-razioni industriali di Cgil e Cisl (in parti-colare tra i metalmeccanici della Fiom e della Fim), portatrice di istanze radicali di cambiamento sia a livello organizzativo che rivendicativo, la sinistra sindacale lanciò la sfida ai vertici confe-derali proprio durante il ’68, anche in termini di ricambio gene-razionale dei gruppi dirigenti; e proprio grazie a quel processo di contestazione radicale dal basso che coinvolse anche il sindacato, rischiando di travolgerlo, essa portò a compimento in modo vit-torioso il suo progetto proprio durante l’Autunno caldo del ’6916.

Occorre dunque sottolineare che, tra il 1968 e il 1969, all’inter-no del sindacato si ebbe uall’inter-no scontro duro, a tratti anche doloro-so, senza esclusione di colpi, che si concluse con vincitori e vinti.

Tale conflitto non restò confinato soltanto all’interno dei gruppi dirigenti (territoriali, federali e confederali), ma coinvolse anche la base dei lavoratori, obbligando il sindacato a confrontarsi in modo serrato con la contestazione in atto e a scontrarsi, anche in maniera dura, con i settori più radicali dei gruppi extrapar-lamentari. Il sindacato, insomma, almeno nella fase iniziale fu

15.  Maria Luisa Righi, Gli anni dell’azione diretta (1963-1972), in Lorenzo Ber-tucelli, Adolfo Pepe, Maria Luisa Righi, Il sindacato nella società industriale, Roma, Ediesse, 2008, pp. 105 ss.; cfr. Andrea Ciampani, Giancarlo Pellegrini (a cura di), L’autunno sindacale del 1969, Soveria Mannelli (Cz), Rubbettino, 2013.

16.  Cfr. Fabrizio Loreto, L’“anima bella” del sindacato. Storia della sinistra sin-dacale (1960-1980), Roma, Ediesse, 2005.

uno dei bersagli delle proteste giovanili; poi, tra la fine del ’68 e l’inizio del ‘69, ebbe la capacità di invertire la rotta e avviare un processo di profondo rinnovamento, guidato da una nuova leva di dirigenti, che gli permise di guadagnare nuovamente fiducia e autorevolezza. Gino Giugni descrisse in modo magistrale tale processo di “sindacalizzazione della contestazione”, la categoria interpretativa che, meglio di tutte, spiega gli avvenimenti e le conseguenze del “Sessantanove operaio”17.

Il disegno della sinistra sindacale aveva tre obiettivi fonda-mentali. Il primo riguardava lo sviluppo della democrazia interna, diffondendo nei luoghi di lavoro alcuni strumenti di democra-zia diretta, in parte ereditati dalla tradizione operaia e in parte mutuati dal movimento studentesco. Così, in molte fabbriche crebbero le inchieste, le consultazioni, i referendum; inoltre, nel-le piattaforme per i contratti aziendali fu quasi sempre presen-te la richiesta del diritto di assemblea, che avrebbe permesso a tutti i dipendenti di partecipare, confrontarsi e votare durante il corso della vertenza, secondo una nuova impostazione che ten-deva a limitare drasticamente il meccanismo della “delega” al sindacato, in quanto soggetto “esterno” ai luoghi di lavoro. Nello stesso periodo, in particolare dai primi mesi del 1969, a partire da alcune grandi aziende di elettrodomestici (Candy, Rex-Zanus-si, Zoppas) iniziarono a comparire i primi delegati (di linea, di squadra, di reparto). Le modalità di elezione erano molteplici;

presto, però, cominciò ad affermarsi la prassi secondo cui essi potevano essere votati da tutti i lavoratori (anche dai non iscritti ai sindacati), possibilmente su una scheda “bianca” (cioè priva di simboli e liste sindacali), in quanto rappresentanti di tutta la

“classe” e per questo dotati anche del potere di contrattazione in fabbrica. Si trattò di un mutamento epocale, che spazzava via le

“vecchie” commissioni interne e metteva in crisi anche le Sezioni sindacali aziendali.

17.  Gino Giugni, Sindacato: anni Settanta, in “Economia e Lavoro”, 1972, 1, ora in Id., Idee per il lavoro, a cura di Silvana Sciarra, Roma-Bari, Laterza, 2020, pp. 74-83.

Le federazioni dei metalmeccanici, le più impegnate nel pro-cesso di rinnovamento organizzativo e rivendicativo, vollero poi

“osare” un passo ulteriore in vista del rinnovo del contratto na-zionale di categoria: realizzare una consultazione di massa, fina-lizzata al varo della piattaforma, che durò circa tre mesi, tra la primavera e l’estate del 1969, raggiungendo decine di migliaia di lavoratori (soprattutto operai ma anche impiegati). La prova si concluse con una grande assemblea a Milano, da cui scaturirono poche ma rilevanti richieste: dal diritto di assemblea alle 40 ore settimanali di lavoro, dalla parità tra operai e impiegati in caso di malattia e infortunio agli aumenti salariali “uguali per tutti”;

richiesta, quest’ultima, che mise in minoranza il gruppo dirigen-te della Fiom, guidato da Bruno Trentin, contrario alla scelta ma deciso a rispettarla fino in fondo, in quanto strenuo sostenito-re del percorso democratico in atto18. Con questi due passaggi – l’elezione locale dei primi delegati e la consultazione nazionale per il varo della piattaforma – si ponevano le premesse per la nascita del “sindacato dei consigli”, avvenuta di fatto durante l’Autunno caldo e varata ufficialmente durante la prima Confe-renza unitaria dei metalmeccanici, tenuta a Genova nel marzo 1970, quando Fim, Fiom e Uilm riconobbero i delegati e i consigli di fabbrica come le loro strutture di base.

Il secondo obiettivo della sinistra sindacale riguardava il po-tenziamento dell’autonomia interna, attraverso una presa di di-stanza dal mondo dei partiti, i quali da sempre influenzavano in modo rilevante l’azione dei sindacati, specie a livello confedera-le. Il passaggio più delicato si consumò nel giugno 1969, duran-te i lavori del congresso nazionale della Cgil a Livorno, quando un asse inedito e trasversale tra delegati comunisti, socialisti e

18.  Fabrizio Loreto, La nascita del sindacato dei consigli: la piattaforma contrat-tuale unitaria dei metalmeccanici nel 1969, in P. Causarano, L. Falossi, P. Giovannini (a cura di), Il 1969 e dintorni, cit., pp. 37-46; Fabrizio Loreto, L’autunno caldo e il sin-dacato dei Consigli, in Sante Cruciani (a cura di), Bruno Trentin e la sinistra italiana e francese, Roma, École française de Rome, 2012, pp. 161-175.

psiuppini permise l’approvazione delle cosiddette “incompati-bilità” tra incarichi sindacali, politici e di partito, avversate dal Segretario generale Agostino Novella. Dinamiche simili, esem-plificative dello scontro in atto tra vecchie e nuove posizioni nel sindacato, si vissero il mese dopo, durante il congresso nazionale della Cisl, quando la minoranza “fimmina” di Luigi Macario e Pierre Carniti mise in seria difficoltà la maggioranza di Bruno Storti19.

La questione delle incompatibilità non era soltanto di forma, ma di sostanza, poiché investiva la credibilità del sindacato come

“soggetto politico”, dotato di una propria autonomia program-matica, finalizzata ad avviare un ampio ciclo di riforme. Così, proprio nel pieno dell’Autunno caldo, lo sciopero generale na-zionale del 19 novembre, proclamato dalle tre Confederazioni sul tema della casa, inaugurò la stagione della “supplenza sin-dacale” – secondo la felice formula coniata ancora una volta da Giugni – nei confronti dei partiti politici: una lunga fase, cioè, di confronto diretto tra sindacato, governo e parlamento, che pro-dusse risultati significativi per la tutela e la promozione dei dirit-ti dei lavoratori e per lo sviluppo dello Stato sociale.

La democrazia e l’autonomia erano anche gli strumenti per raggiungere il terzo obiettivo della sinistra sindacale, cioè la rea-lizzazione dell’unità “organica”, attraverso la costituzione di una sola Confederazione dei lavoratori, che si lasciasse alle spalle le divisioni del passato. È su questo terreno che maturò la sfida de-cisiva del sindacato al sistema istituzionale, politico ed economi-co italiano20. Fu proprio durante l’Autunno caldo, infatti, che le federazioni dei metalmeccanici – ma anche alcune federazioni di altri comparti industriali (dall’edilizia alla chimica, dall’alimen-tare al tessile) – presero ad agire di fatto come un solo sindacato,

19.  Cfr. Paolo Trionfini, La laicità della Cisl. Autonomia e unità sindacale negli anni Sessanta, Brescia, Morcelliana, 2014.

20.  Cfr. Fabrizio Loreto, L’unità sindacale (1968-1972). Culture organizzative e rivendicative a confronto, Roma, Ediesse, 2009.

anche a livello organizzativo, unificando sedi e uffici, bollettini e riviste, organismi e gruppi dirigenti. L’esito più avanzato di tale processo – com’è noto – arrivò nell’autunno del 1972 con la nascita della Flm, la Federazione lavoratori metalmeccanici, considerata da molti osservatori come una sorta di “quarta con-federazione”. A quel punto, però, il sogno dell’unità organica era già tramontato: per i colpi inferti da coloro che, a livello istituzio-nale ed economico, vedevano con ostilità tale processo (governi, Banca d’Italia, Confindustria, Intersind); per il mancato sostegno da parte di quei partiti, Dc e Pci in particolare, che temevano di perdere influenza sulle organizzazioni dei lavoratori; ma anche per le divisioni all’interno del sindacato, tra culture differenti e tra rappresentanze litigiose.

In ogni caso, tornando al “Sessantanove”, l’Autunno caldo fu la stagione in cui il sindacato, al culmine di un complesso per-corso di rinnovamento, riuscì a recuperare il terreno perduto, riassorbendo la contestazione, accogliendone le richieste di cam-biamento e indirizzandole verso sbocchi economici e politici di grande rilievo. La firma del contratto dei metalmeccanici, prece-duta e seguita da altre importanti intese di categoria, così come l’approvazione parlamentare dello Statuto dei lavoratori, furono certamente i risultati più rilevanti che vennero conseguiti. Alla sconfitta della controparte datoriale, costretta a subire la potente ondata conflittuale anche durante lo svolgimento delle trattative e ad accogliere l’insieme delle rivendicazioni sindacali, si sommò la disfatta dei gruppi rivoluzionari, la cui impostazione spon-taneista ed estremista, contro i “delegati bidone” e i “contratti bidone”, si rivelò ben poca cosa di fronte alla forza organizzativa del sindacato e ai risultati ottenuti.

“Le aspirazioni e i miti rivoluzionari – hanno scritto Alberto De Bernardi e Marcello Flores – di quella sorta di partito diffu-so rappresentato dalla rete dei gruppi e dei gruppuscoli, sedi-mentatisi nel riflusso del movimento, si infransero […] contro la capacità del sindacalismo riformista di trasformare l’antagoni-smo non negoziabile del proletariato industriale moderno in una

definitiva e irreversibile acquisizione di cittadinanza per tutto il mondo del lavoro”21.

A oltre cinquant’anni di distanza da quegli eventi, tale pro-cesso di «acquisizione di cittadinanza» da parte di milioni di lavoratori italiani ci sembra la lezione principale dell’Autunno caldo del 1969.

21.  Marcello Flores, Alberto De Bernardi, Il Sessantotto, Bologna, Il Mulino, 1998, p. 252.

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