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In questo capitolo abbiamo presentato gli argomenti più rilevanti della prospettiva classica in

narra-una definizione esaustiva di narrazione, abbiamo preso in esame le categorie di temporalità, causalità, voce e prospettiva. Nell’individuazione di tali categorie, i fautori della narratologia classica di matrice strutturalista hanno portato avanti un’analisi incentrata sugli aspetti formali del racconto in riferi-mento alla specifica dimensione testuale. A fondariferi-mento della narratologia classica vi è infatti l’in-tento di fornire delle metodologie descrittive grazie alle quali rintracciare i meccanismi fondamentali interni a ciascun testo narrativo. L’applicazione di tali metodologie ha condotto a risultati rigorosi in sede di analisi testuale rendendo gli strumenti narratologici imprescindibili per questo tipo di inda-gine. Detto questo, l’impiego di simili strumenti implica anche una serie di limiti. Prendiamo, ad esempio, l’analisi delle anacronie: l’applicazione delle tabelle classificatorie delle anacronie scom-pone i livelli temporali del racconto in una sequenza di elementi da cui difficilmente appare possibile ricavare una visione unitaria del testo analizzato (Sternberg 1992). A un limite di questo tipo si ag-giunge una difficoltà ulteriore che è al centro delle critiche mosse alla narratologia classica. Tali critiche meritano attenzione poiché i presupposti da cui muovono, e che hanno condotto al supera-mento dell’approccio classico e all’avvento di nuove teorie della narrazione, costituiscono un passag-gio argomentativo centrale del presente lavoro.

Secondo Sternberg (1992), alla meticolosità con cui i narratologi indagano le componenti del discorso narrativo non si accompagna un’analisi altrettanto accurata della questione della narratività.

In altre parole, non si affronta «il cuore del problema: la narratività nella narrazione e la narrazione nella sua narratività» (Sternberg 1992, trad. it. p. 155). Questa trascuratezza si sposa con l’assenza di criteri di analisi univoci e definizioni sommarie di narrazione, spingendo ora verso prospettive incen-trate sui suoi elementi minimali – è il caso di Genette (1972) – ora verso approcci troppo generali – ad esempio, quello di Labov (1972). Se nel primo caso il rischio in cui si incorre è l’impossibilità di cogliere gli aspetti complessivi di una narrazione, nel secondo caso a sfuggire sono le proprietà pe-culiari. Dar conto della dimensione della narratività intesa come processo di rappresentazione dell’esperienza umana, prima ancora che come prodotto testuale, richiede di individuare il nesso che lega questi due livelli. Soltanto uscendo dall’impianto narratologico confinato al piano della testualità e abbracciando un’indagine focalizzata sulle specificità della rappresentazione narrativa, sarà possi-bile elaborare risposte adeguate a domande imprescindibili per un’analisi critica che possa dirsi esau-stiva: quali processi e quali principi guidano la distorsione temporale di una sequenza cronologica di eventi in un intreccio narrativo? Cosa rende possibile la manipolazione del punto di vista in una storia e la differente percezione della storia stessa a partire da tale manipolazione? Come si svolge l’attività interpretativa del lettore, alle prese con l’elaborazione di questi elementi?

Tale ordine di considerazioni contribuisce a mettere in luce l’impossibilità per la narratologia classica di catturare la competenza narrativa in tutte le sue sfaccettature: in assenza di un modello che

spieghi il legame tra la narratività come specifica forma di rappresentazione e l’oggetto narrativo, anche un’indagine descrittiva delle strutture del racconto appare incompleta. D’altra parte, sono gli stessi narratologi a contrassegnare il piano narrativo in riferimento al concetto di rappresentazione (si veda § 3.1) salvo poi limitare la loro analisi ad aspetti che non toccano mai da vicino la questione.

Da un punto di vista generale, a mancare nelle indagini narratologiche classiche è un modello che dia conto delle condizioni di possibilità che guidano la rappresentazione delle combinazioni interne a ciascuna categoria individuata come essenziale.

Una strada possibile per affrontare le questioni che restano inspiegate nei modelli della narra-tologia classica, e per dar conto della narratività in un quadro ampio che catturi i molteplici aspetti entro cui essa si dispiega, è offerta dalle scienze cognitive.

«[...] L’incontro con il cognitivismo e con le neuroscienze sembra offrire una feconda possibilità alla narratologia, la quale non deve rinunciare agli stru-menti di analisi testuale codificati dalla tradizione: al contrario, essi possono essere ampliati per fruire delle tecniche che le scienze cognitive ora offrono»

(Neri 2012, p. 118).

Se la prospettiva narratologica tradizionale rappresenta un paradigma di riferimento che può fornire ipotesi da cui partire nell’individuazione delle proprietà costitutive del piano narrativo, gli strumenti delle scienze empiriche possono contribuire a corroborare quelle ipotesi dal punto di vista della plau-sibilità cognitiva. Solamente un modello che dia conto di come noi possiamo rappresentare cogniti-vamente i testi potrà aiutarci a costruire una teoria della narrazione che individui le reali condizioni che permettono di considerare un testo come un testo narrativo. Per lo specifico approccio neuro-cognitivo da cui muove questo lavoro, la questione è comprendere se vi sia una corrispondenza tra le proprietà riconosciute come essenziali dal paradigma classico e ciò che accade nella mente degli individui quando pensano e comunicano narrativamente. In altre parole, quando ci spostiamo sul piano delle rappresentazioni coinvolte nella narrazione, il ruolo delle proprietà analizzate finora è giustificato rispetto a quanto emerge dai dati cognitivi? La narratologia chiama, dunque, in causa nozioni astratte del tutto sganciate da come effettivamente gli esseri umani elaborano rappresenta-zioni narrative o individua nei testi proprietà che realmente rispecchiano ciò che accade nella nostra mente quando siamo impegnati a elaborare storie?

Nel tentativo di offrire delle risposte a queste domande, delineeremo un’ipotesi cognitiva dei processi narrativi legando le proprietà essenziali di un testo narrativo ai meccanismi di elaborazione coinvolti nella costruzione e nella comprensione di narrazioni. Per forza di cose, il riferimento a un’ipotesi di questo tipo va di pari passo con una ridefinizione della dimensione narrativa (e delle sue categorie) che, lungi dall’indicare esclusivamente il piano discorsivo e testuale dell’enunciato

narra-(Herman 1999). La svolta extra-testuale che deriva da questa ridefinizione coinvolge un processo tuttora in fieri che sembra richiedere una rete di narratologie (Nünning 2003) per la costruzione di modelli di comprensione esaustivi. Da questo punto di vista, la narratologia è oggi «a collective term for a series of specialized narratologies and not a self-sufficient metascience of its own» (Jannidis 2003, p. 50). Se la vecchia narratologia ha contenuto l’indagine sulle proprietà essenziali del piano narrativo entro i confini del rapporto tra diegesi e racconto, in linea con gli sviluppi recenti di queste nuove narratologie il nostro intento in questa tesi è dilatare e arricchire quell’indagine offrendo una caratterizzazione cognitiva del processo di costruzione dell’intrigo che appare l’operazione a fonda-mento della trasformazione di eventi in storie per mezzo delle categorie di tempo, causalità e punto di vista.

Capitolo 2

Narratologie naturali

Insomma, gli era presa quella smania di chi racconta storie e non sa mai se sono più belle quelle che gli sono veramente accadute e che a rievocarle riportano con sé tutto un mare d’ore passate, di sentimenti minuti, tedii, felicità, incertezze, vanaglorie, nausee di sé, oppure quelle che ci s’inventa, in cui si taglia giù di grosso, e tutto appare facile, ma poi più si svaria più ci s’accorge che si torna a parlare delle cose che s’è avuto o capito in realtà vivendo.

Italo Calvino, Il barone rampante