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Immigrazione e sindacato in Europa

Capitolo 4: Immigrazione e sindacato

4.1 Immigrazione e sindacato in Europa

L‟atteggiamento adottato dalla maggioranza dei sindacati europei fu in prima battuta (ovvero fino agli anni ‟50) di carattere difensivo dei lavoratori locali. Secondo le varie organizzazioni, i lavoratori immigrati facevano parte dell‟ “esercito industriale” teorizzato da Marx76 che aveva funzione regolativa nel mercato del lavoro e che però andava a deteriorare le condizioni del resto del proletariato. Successivamente con l‟intensificarsi dei flussi, i sindacati optarono per un atteggiamento d‟apertura, che prevedesse la parità di trattamento tra le due categorie di occupati.

Dall‟analisi di Pennix e Roosbland77

emergono tre questioni a cui i sindacati dovettero far fronte in quel periodo.

- Continuare su politiche difensive dei lavoratori locali o incidere attivamente sulle strategie governative per il reclutamento della manodopera?

- Una volta arrivati i lavoratori stranieri, era preferibile includerli o escluderli dalla tutela sindacale?

- Se inclusi, erano necessari servizi appositi per loro o potevano confluire nelle strutture già presenti?

In relazione ai tre quesiti il comportamento dei sindacati europei non fu uniforme nel trattamento dei lavoratori immigrati. I paesi d‟immigrazione di lunga tradizione e con un significativo passato coloniale (Francia, Gran Bretagna e Olanda) percepirono il fenomeno del lavoro straniero diversamente da quelli in cui l‟immigrazione era un argomento nuovo, come l‟allora Repubblica Federale Tedesca, la Svezia e l‟Austria. In particolare, è utile considerare il terzo dilemma, trattamento speciale versus trattamento generalizzato, come filtro per l‟analisi delle azioni promosse dai vari sindacati. I primi provvedimenti diffusi furono inerenti al miglioramento della comunicazione con la manodopera immigrata, quali servizi di traduzioni di documenti e bollettini, che però si inquadravano più in azioni generali di prima accoglienza, piuttosto che di reale inclusione. Dal secondo dopo guerra agli anni Settanta in molti paesi europei gli immigrati erano percepiti unicamente come manodopera temporanea o

76

K.Marx Il Capitale, Roma, Newton- Compton Editori, 2010, libro I, sez. VII, cap. XXIII

77R.Pennix, J. Roosbland, Trade Unions, Immigration and Immigrants in Europe 1960- 1993. A

addirittura lavoratori ospiti. Gradualmente si comprese quanto il fenomeno si stesse consolidando, assumendo proporzioni più imponenti e di durata tutt‟altro che momentanea. Gli interventi si concentrarono così anche nell‟agevolazione della ricerca dell‟alloggio e nella tutela delle minoranze religiose. Nei Paesi Bassi ci furono pressioni sui sindacati affinché per iniziare azioni di contrattazione delle ferie che rispettassero le festività dei lavoratori non cristiani, oppure per periodi di vacanza meno frequenti, ma prolungati per i lavoratori africani78. In generale, questo tipo di battaglie vennero poi condotte anche in altri paesi, ad eccezione dell‟Austria, dove i sindacati perseverarono con politiche di esclusione a tutela dei soli lavoratori locali. Sempre in Olanda, per contrastare la disoccupazione immigrata vennero stipulati accordi tra i sindacati e gli immigrati, che ritardarono di qualche anno l‟introduzione di leggi specifiche per la regolamentazione del lavoro straniero. Nella risoluzione della terza problematica, i sindacati trovarono difficoltà più rilevanti quando gli immigrati chiedevano politiche inclusive all‟interno stesso del sindacato, per le organizzazioni non si trattava solamente di rappresentare le istanze degli immigrati nei luoghi di lavoro, ma di risolverle e includerle al proprio interno.

All‟inizio degli anni Settanta furono introdotti commissioni e segretariati appositi per immigrati in Francia, Gran Bretagna, Svezia, Paesi Bassi e Repubblica Federale Tedesca. Tuttavia queste esperienze portarono a risultati insoddisfacenti, dato che rimanevano strutture periferiche rispetto agli organi centrali che controllavano i processi decisionali. Un approccio più decisivo ed efficace è stato quello di promuovere programmi volti alla rappresentazione delle minoranze etniche nei centri di potere dei sindacati. In Svezia, azioni di promozione della rappresentanza furono introdotte già nella prima metà degli anni Settanta. In seguito anche i sindacati tedeschi seguirono l‟esempio; in Olanda ci fu un atteggiamento più ambiguo e meno incisivo, ma comunque efficace. Solo in Gran Bretagna le commissioni speciali dei migranti si organizzarono con risultati proficui in gruppi di pressione esterni alle organizzazione sindacali.

Tali cambiamenti furono imposti anche dalla crisi del 1973, che mise in luce la necessità di approcci più incisivi: gli Stati nazionali cominciarono a perdere la propria autonomia economica, si profilava un nuovo assetto internazionale del lavoro, che stava

78 Uno studio particolarmente interessante in Italia su questo argomento è quello di 8.Sebastiano Ceschi,

Flessibilità e istanze di vita. Operai senegalesi nelle fabbriche della provincia di Bergamo, in A.

Colombo, T. Caponio (a cura di) Stranieri in Italia. Migrazioni globali, integrazioni locali, Il Mulino, Bologna, 2005

facendosi progressivamente più complesso, precario e instabile; i lavoratori immigrati, categoria di per sé vulnerabile, risultavano essere ancora più a rischio e difficilmente inseribili. Con l‟introduzione dei rappresentanti immigrati nelle strutture centrali, i sindacati furono i primi tra le istituzioni a comprendere che la mera parità di trattamento non era sufficiente a gestire il fenomeno del lavoro immigrato. Era necessario affiancare alla normativa comune anche la comprensione e l‟accettazione. Il sindacato doveva interessarsi a tutto il processo d‟integrazione, partendo dal lavoro fino alla sfera sociale, culturale e politica. Numerosi Autori riconoscono all‟azione sindacale un ruolo molto importante nella tutela degli immigrati, e sicuramente più lungimirante e comprensivo rispetto a tante istituzioni politiche. Non a caso Allievi rintraccia nell‟azione sindacale di quel periodo il <<luogo cruciale del processo d‟integrazion>>,79secondo Bastenier e Targosz, il sindacato è <<l‟ unico posto in cui l‟immigrato ha potuto respirare una certa aria di uguaglianza>>80.L‟esperienze a cui i due Autori si rifericono è quella dei sindacati dei Paesi del Centro Nord Europa, dove anche le istituzioni nazionali e locali hanno incentivato il ruolo del sindacato come canale privilegiato per l‟integrazione dei migranti che allora provenivano dall‟Europa del Sud. Negli anni, i lavoratori stranieri sono stati inseriti a pieno titolo sia nelle membership che nella leadership di alcune organizzazioni. L‟integrazione a livello sindacale era un passo fondamentale, che permetteva al lavoratore immigrato sia di veder riconosciuto il proprio ruolo nella società in toto, e sia di progredire all‟interno della scala sociale.