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Integrativo), nonché l’acquisizione dei dati anche ad elevate frequenze di campionamento (necessarie per i test comprendenti sollecitazioni ad impulso e per le prove in regime oscillatorio sinusoidale ad alta frequenza di carico).

Figura 3.4. Particolare della camera di condizionamento termico.

Le configurazioni di prova sono state differenti in funzione del tipo di test. In particolare la configurazione di trazione indiretta con provino disposto in posizione diametrale è stata utilizzata per la determinazione del modulo resiliente e della resistenza a trazione indiretta (indirect tensile strenght, ITS), oltre che per le prove di fatica. La configurazione assiale con provino sollecitato in modo ortogonale alla sezione trasversale è stata utilizzata per la determinazione del modulo complesso e dell’angolo di fase e durante l’approccio di indagine nella caratterizzazione delle deformazioni permanenti.

3.3. Impostazione dei test e procedure sperimentali

Nel caso dei bitumi a modifica polimerica, analisi di tipo morfologico sono state eseguite tramite microscopio a fluorescenza. L’analisi morfologica dei bitumi modificati prodotti in laboratorio è avvenuta su campioni prelevati direttamente dal miscelatore a termine delle operazioni di miscelazione. Contenitori cilindrici di 10 mm di diametro interno e 20 mm di altezza sono stati preriscaldati alla temperatura di miscelazione (190°C), riempiti di bitume, mantenuti in forno alla temperatura di 180°C per 15 minuti e successivamente congelati a -30°C. I campioni congelati sono stati analizzati su superficie di frattura fragile eseguita alla temperatura di -30°C tramite lama metallica. Il microscopio utilizzato è un microscopio a fluorescenza LEICA DM LB (figura 3.5).

Figura 3.5. Microscopio a fluorescenza LEICA DM LB utilizzato per le analisi morfologiche.

Analisi di tipo cromatografico per la valutazione della costituzione chimica dei bitumi oggetto d’indagine in termini di frazioni principali sono state eseguite tramite Iatroscan Analyzer MK-5 (figura 3.6).

Figura 3.6. Iatroscan Analyzer MK-5 utilizzato per le analisi cromatografiche.

3.3.2. Metodi e procedure nell’analisi reologica di base

Analisi in regime oscillatorio sinusoidale sono state eseguite per la caratterizzazione reologica di base e per la determinazione delle proprietà viscoelastiche dei bitumi nel range delle temperature di esercizio, considerato in questo studio pari a 0°C÷90°C. In questa fase i test sono stati eseguiti per frequenze di oscillazione variabili fra 1 rad/s a 100 rad/s. I dati sperimentali sono stati successivamente rielaborati tramite software per la costruzione di curve maestre del modulo complesso G* e dell’angolo di fase δ in accordo con il principio di sovrapposizione tempo-temperatura e l’ipotesi di materiale termo-reologicamente semplice (Ward, 1982). La temperatura di 30°C è stata assunta come temperatura di riferimento e non sono stati utilizzati fattori di traslazione verticali.

L’equazione WLF è stata utilizzata per il fitting dei fattori di traslazione orizzontali (aT) determinati sperimentalmente:

( ) ( )

(

0

)

2 0 1

T T C

T T a C

Log T

+

= (eq. 3.1)

dove C1 e C2 rappresentano i parametri di fitting, mentre T0 è la temperatura di riferimento selezionata per la costruzione della curva maestra.

Per la definizione delle procedure sperimentali e dei concetti di base nell’analisi reologica avanzata si rimanda alle rispettive sezioni contenute nei capitoli 5 (analisi alle alte temperature di esercizio) e 6 (analisi alle basse temperature di esercizio).

La conoscenza delle condizioni deve essere ritenuta alla base dell’analisi reologica dei materiali viscoelastici. Nel presente studio, l’estensione della regione di comportamento lineare è stata valutata per ogni legante oggetto di prova. In accordo con la procedura proposta da SHRP (Anderson et al., 1994) e coi risultati di Marasteanu et al. (2000) ed Airey et al. (2004), l’estensione del dominio viscoelastico lineare è stata stabilita eseguendo analisi di strain sweep. Il limite della risposta LVE è stato conseguentemente identificato con riferimento alle ampiezze di deformazione e tensioe in corrispondenza delle quali si registra la diminuzione del modulo complesso G* al 95% del suo valore iniziale.

3.3.3. Criteri statistici e tecniche di regressione per l’analisi dei risultati

In più occasioni, nel corso della discussione dei risultati, si fa riferimento a coefficienti di correlazione e curve di tendenza per il fitting e l’interpretazione degli andamenti sperimentali. In questo paragrafo si richiamano brevemente i concetti in seguito applicati.

Per due insiemi di dati xi ed yi si definisce la covarianza come la media dei prodotti delle deviazioni di ciascuna coppia di dati:

( )

n y y x Y x

X

Cov , =

( )( ) (eq. 3.2) Essa consente di determinare la relazione che sussiste tra due insiemi di dati; in particolare se la covarianza è positiva valori elevati di un insieme tendono ad essere associati a valori elevati dell’altro, se è negativa valori bassi di un insieme tendono ad essere associati a valori elevati dell’altro, se è prossima a zero non esiste correlazione tra i valori dei due insiemi.

In modo analogo si definisce il coefficiente di correlazione tra due serie di dati come il rapporto tra la covarianza ed il prodotto delle deviazioni standard:

( )

∑ ∑ ∑

=

= ( )2 ( )2

) )(

) ( , , (

y y x x

y y x Y x

X Y Cov X Corr

y xσ

σ (eq. 3.3)

Il coefficiente di correlazione è adimensionale, e risulta perciò indipendente dall’unità di misura in cui sono espresse le variabili. Esso è nullo quando le variabili sono statisticamente indipendenti ed è comunque compreso tra i due limiti -1 e +1. Se il coefficiente di correlazione raggiunge uno dei due valori estremi ±1, x ed y devono essere legate da una relazione funzionale di tipo lineare. E’ da notare che, anche nel caso in cui esista una relazione funzionale esatta tra x ed y, se questa non è rappresentata da una funzione lineare il coefficiente di correlazione non raggiunge i valori estremi ±1; proprio per questa ragione esso si chiama più propriamente coefficiente di correlazione lineare.

Quando si hanno dei dati discreti, in forma tabulare, che rappresentano una grandezza variabile con continuità della quale si vuole conoscere il valore in punti intermedi rispetto a quelli noti o non compresi nell’intervallo di misura, oppure si vuole identificare una tendenza per via analitica, si possono utilizzare delle tecniche di regressione.

Nel caso di dati affetti da un errore non trascurabile la strategia migliore consiste, in genere, nella ricerca di una funzione che approssimi l’andamento generale dei dati, senza passare necessariamente per alcun punto. Tale funzione individua una retta tale che la distanza tra un generico punto del grafico ed il corrispondente sulla retta sia minima.

Questa tecnica è detta regressione ai minimi quadrati.

L’esempio più semplice di regressione ai minimi quadrati è quello lineare, dove un insieme di punti definiti da coppie di dati (x1, y1), (x2, y2), …., (xn, yn) sono approssimati da una linea retta (figura 3.7), tramite la quale è possibile scrivere la relazione fra l’ascissa x e l’ordinata y dei punti sperimentali secondo la seguente espressione generale:

E x a a

y= 0+ 1 + (eq. 3.4) dove a0 e a1 sono i coefficienti che rappresentano l’intercetta e la pendenza della retta, mentre E rappresenta l’errore (o residuo) tra il modello ed il dato osservato. Cambiando l’ordine dei termini, E può essere definito come la differenza tra il vero valore sperimentale di y corrispondente a un dato x e l’approssimazione (a0 + a1·x) ottenuta dall’equazione lineare proposta.

Figura 3.7. Esempio di regressione lineare che soddisfa il criterio dei minimi quadrati (Pucinotti, 2005).

Esistono diverse strategie per la determinazione della retta che meglio approssima l’andamento dei dati (e quindi per la determinazione dei coefficienti a0 ed a1), alcune di queste però risultano inadeguate in quanto non forniscono in generale un’unica soluzione.

La tecnica che permette di ottenere una soluzione univoca è quella che prevede di minimizzare la somma dei quadrati degli errori Sr, determinata in accordo con la seguente espressione:

= =

=

= n

i

i i

n i

i

r E y a ax

S

1

2 1 0 1

2 ( ) (eq. 3.5) I valori di a0 e a1 sono determinati derivando l’espressione precedente rispetto a ciascuno dei coefficienti ed uguagliando a zero le due derivate. Graficamente i residui rappresentano il quadrato della distanza misurata in direzione verticale tra i dati e la retta della regressione (figura 3.7). Nel caso in cui la dispersione dei punti sui due lati della linea è della stessa entità lungo l’intero campo di variabilità dei dati ed è descrivibile tramite la distribuzione normale, è possibile determinare la deviazione standard della retta, definita dalla regressione:

/ = 2

n

sx y Sr (eq. 3.6)

dove sx/y viene detto errore standard della stima. Esso quantifica la dispersione dei dati attorno alla linea di regressione. Si noti che rispetto alla deviazione standard ora al denominatore compare n-2, poiché ricavando dai dati di partenza i valori di a0 ed a1 sono stati persi due gradi di libertà.

I concetti appena enunciati possono essere utilizzati per la valutazione della validità dell’approssimazione proposta, particolarmente utile per il confronto tra diverse regressioni e per stabilire la correttezza dell’ipotesi sulla forma analitica della curva. A tale scopo riconsiderando i dati originali e calcolando la somma dei quadrati delle differenze tra la variabile dipendente (y) ed il suo valore medio, si determina la somma St

la quale rappresenta la dispersione esistente nei valori della variabile dipendente prima della regressione. Dopodiché si esegue la regressione e si calcola Sr, che rappresenta la dispersione dei dati attorno alla linea di regressione. La differenza tra le due quantità fornisce una misura della riduzione dell’errore ottenuta assumendo come modello una linea retta. Normalizzando la differenza rispetto all’errore totale si ottiene:

t r t

S S

R2= S (eq. 3.7)

dove R è il coefficiente di correlazione ed R2è il coefficiente di determinazione. Per una approssimazione ideale si avrebbe Sr = 0 ed R2 = 1, ciò significa che la retta di regressione rappresenta perfettamente l’andamento dei dati. Se invece R2 = 0, l’approssimazione lineare non può essere considerata corretta in un ottica di interpretazione del fenomeno.

La tecnica della regressione lineare ai minimi quadrati consente la scelta della migliore retta che approssima l’andamento di un insieme di dati, purché però la relazione tra variabile dipendente ed indipendente sia lineare. In altri casi sono richieste differenti tipologie di regressione (ad esempio la regressione polinomiale), oppure è necessaria una trasformazione dei dati che li renda compatibili con la regressione lineare. Un esempio di questo tipo è il modello esponenziale, che può essere trasformato in lineare ponendo i dati in scala semilogaritmica (Puccinotti, 2005).

Capitolo 4.

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