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3. la concezione differenziata dei ruoli familiari. Le rappresentazioni sociali relative ai ruoli di genere all’interno delle mura domestiche possono influenzare le aspettative

6.1 Introduzione

CAPITOLO 6

LA RICERCA

farsi carico maggiormente del lavoro familiare e a doversi giostrare tra famiglia e lavo-ro retribuito (Rosina, Sabbadini, 2005; Mannino, Deutsch, 2007; Nentwich, 2008).

I cambiamenti vissuti dal genere maschile sono stati, e tuttora sono, oggetto di nume-rosi studi che prendono in considerazione le caratteristiche individuali dell’uomo (ideo-logie di genere, importanza attribuita al ruolo paterno, livello di istruzione, età...) e del sistema micro e macro sociale d’appartenenza (Palkovitz, 1984; Lamb, 1997; Rane, McBride, 2000; Bulanda, 2004; Wood, Repetti, 2004; Maurer, Pleck, 2006; Fuwa, Co-hen, 2007; Leaper, Friedman, 2007; Rouyer et al., 2007; Lothaller, Mikula, Schoebi, 2009; Poortman, van der Lippe, 2009; Buckley, Schoppe-Sullivan, 2010; Katz-Wise, Priess, Hyde, 2010). In base a tali studi, i fattori che sono correlati alla distribuzione più paritaria del carico familiare all’interno della coppia sono la dichiarazione di una visio-ne egualitaria dei gevisio-neri da parte degli uomini (Greenstein, 1996; Bulanda, 2004; Fu-wa, 2004; Kroska, 2004; Gaunt, 2006; Lothaller, Mikula, Schoebi, 2009; Poortman, van der Lippe, 2009); la maggior salienza da essi attribuita alla dimensione genitoriale nella definizione della propria identità (Rane, McBride, 2000; Maurer, Pleck, Rane, 2001;

McBride et al., 2005); l’aumentare del loro livello d’istruzione e il fatto di avere una partner impegnata nel lavoro fuori casa (Smith, 2004; Wood, Repetti, 2004); la presen-za di una buona organizpresen-zazione genitoriale o alleanpresen-za cogenitoriale (Fagan, Barnett, 2003; Wood, Repetti, 2004; Buckley, Schoppe-Sullivan, 2010); il numero più elevato di figli* presenti nel nucleo familiare (Smith, 2004; Rosina, Sabbadini, 2005). Le disegua-glianze tra le figure genitoriali si esprimono anche attraverso le differenze tra gli speci-fici compiti di cura tra padri e madri. Gli uomini, infatti, continuano a essere più coin-volti nelle attività ludiche (Lindsey, Mize, 2001; Leaper, Friedman, 2007) e nelle attività di cura rispetto a quelle educative (Rouyer et al., 2007) a cui le madri dedicano più tempo.

Allo stesso tempo le ricerche evidenziano che la partecipazione paterna è ancora inte-sa come una forma di aiuto offerto dall’uomo alla donna la quale continua a essere rappresentata come la responsabile principale e diretta delle attività di cura, in partico-lare nella prima fase dello sviluppo del/della bambin* (Ferree, 1990; Coltrane, 2000;

Smith, 2004; Rosina, Sabbadini, 2005; Mannino, Deutsch, 2007; Nentwich, 2008; Lo-thaller, Mikula, Schoebi, 2009). Il padre assume così il ruolo di aiutante e spesso è rap-presentato anche dai mass media come “padre part-time”, “intrattenitore del bambi-no” o “assistente imbranato della madre” (Coltrane, 1996; Sunderland, 2000; Gregory,

Milner, 2011), mentre la madre, a cui sono attribuite alcune caratteristiche psico-fisiche tipicamente femminili, è impegnata non soltanto in un carico maggiore di attivi-tà familiari, ma anche nella pianificazione, organizzazione e supervisione delle attiviattivi-tà del partner (Coltrane, 2000; Mannino, Deutsch, 2007; Nentwich, 2008). Tale situazione evidenzia paradossalmente che “più le cose cambiano, più restano le stesse” (Lorber, 2000, p. 80).

A partire dalla seconda metà degli anni '90 gli studi sul coinvolgimento paterno hanno iniziato a prendere in considerazione come gli atteggiamenti della donna verso il gene-re e le sue cgene-redenze sui ruoli maschili e femminili possano influigene-re, in modo digene-retto, sul-la partecipazione dell’uomo ai compiti domestici e di cura (Palkovitz, 1984; McBride, Rane, 1997; Bulanda, 2004; Wood, Repetti, 2004; Rouyer et al., 2007; Katz-Wise, Priess, Hyde, 2010). Tale ambito di ricerca è giunto alla definizione del costrutto di ma-ternal gatekeeping che riconosce alla donna il ruolo di mediatrice della relazione pa-dre-bambino o di custode dell’accesso alle attività di cura da parte dell’uomo (De Luc-cie, 1995). La conseguente rappresentazione lineare della relazione causale tra gli teggiamenti e le condotte della donna e il basso coinvolgimento paterno rischia di at-tribuire un’eccessiva, se non addirittura esclusiva, responsabilità alla madre per la scarsa partecipazione del padre alle attività di cura (Walker, McGraw, 2000; Schoppe-Sullivan et al., 2008). Infatti, sebbene le premesse teoriche sottolineino la necessità di analizzare il coinvolgimento paterno prendendo in considerazione l’intero sistema fa-miliare e i suoi processi di negoziazione che guidano l’organizzazione e la suddivisione dei compiti familiari (Allen, Hawkins, 1999; Mc Bride et al., 2005; Cannon et al., 2008;

Schoppe-Sullivan et al., 2008) le scelte metodologiche continuano a focalizzarsi unica-mente sulla figura materna (Allen, Hawkins, 1999; Fagan, Barnett, 2003; McBride et al., 2005; Cannon et al., 2008; Gaunt, 2008; Schoppe-Sullivan et al., 2008), nonostante le prove empiriche siano deboli e spesso in contraddizione (Cannon et al., 2008; Gaunt, 2008; Schoppe-Sullivan et al., 2008).

La stessa scelta metodologica, frequentemente orientata all’utilizzo di metodi self re-port per la rilevazione di variabili “intrapsichiche” (gli atteggiamenti, le credenze, le ideologie…), intese quali uniche “vere” predittrici della condotta umana, non permette per la natura stessa dei suoi strumenti di analizzare i processi espliciti e impliciti attra-verso i quali si costruisce quotidianamente la definizione dei ruoli genitoriali e, più in generale, il significato attribuito all’identità maschile e femminile (Wetherell, Stiven,

Potter, 1987; Nentwich, 2008). Molto spesso i test a cui si è fatto ricorso includono item fortemente stereotipati, a cui i partecipanti rispondono esprimendo unicamente il proprio accordo o disaccordo, con il rischio che tali dichiarazioni siano soggette alla de-siderabilità sociale (Baber, Jenkins Tucker, 2006; Katenbrink, 2006). Il limite maggiore degli strumenti quantitativi risiede nell’obiettivo di voler fotografare in modo statico la natura fluida del genere, offrendo un’immagine relativamente fissa del maschile e del femminile e dei ruoli a essi associati, e contribuendo in tal modo a reificare le differen-ze di genere senza tenere in debito conto le loro origini sociali (Foucault, 1976; Butler, 1993; Doise, Clemence, Lorenzi-Cioldi, 1993).

Il metodo qualitativo potrebbe rivelarsi in tale contesto di studi in grado di cogliere la dimensione processuale e dinamica della costruzione del significato del genere e, con-temporaneamente, svelare i meccanismi di negoziazione della distribuzione dei compi-ti familiari nella coppia. Tuttavia le due ricerche mulcompi-ti-metodo sul maternal gatekee-ping presenti in letteratura (Cannon et al, 2008; Schoppe-Sullivan et al., 2008) analiz-zano le interazioni video registrate mediante schede di osservazione strutturate, simili a questionari, unicamente riferite alla condotta gatekeeping della madre. Anche in questo caso la professata attenzione alla complessità e alla bidirezionalità nello studio della relazione tra maternal gatekeeping e coinvolgimento paterno lascia spazio a una lettura lineare e semplificata per cui gli atteggiamenti e le condotte femminili sono in-tese come causa, e non contemporaneamente effetto, della partecipazione maschile alle attività familiari.

In sintesi l’analisi della letteratura sul coinvolgimento paterno nelle attività di cura e, in particolare, gli studi che negli ultimi vent’anni hanno fatto ricorso al costrutto di ma-ternal gatekeeping, ha evidenziato la presenza di molteplici quesiti irrisolti:

 Il ridotto coinvolgimento del padre è da intendersi come una responsabilità unica-mente femminile? O piuttosto il risultato di un processo negoziato e co-costruito all’interno della coppia?

 Perché centrare il processo di gatekeeping sulla madre se si vuole sottolineare la natura relazionale e negoziale della distribuzione dei compiti familiari?

 Come evidenziare la natura processuale e fluida del genere e dei ruoli di genere?

 Come rilevare le contraddizioni tra dichiarato e agito, lasciando la possibilità ai par-tecipanti di offrire spiegazioni al riguardo?

 I metodi finora utilizzati rischiano di contraddire ciò che si proclama a livello teorico.

Come procedere?

I quesiti sopra elencati ci hanno portato a compiere una scelta metodologica differente rispetto a quelle che hanno tradizionalmente contraddistinto questo ambito di studi, consapevoli che tale operazione “non consiste semplicemente nello scegliere una de-terminata analisi tra le molte disponibili, ma nel costruire in modo coerente l’oggetto della ricerca e la metodologia che permette di trattarlo” (Mantovani, 2008, p. 13). Una risposta in tal senso è offerta, a nostro parere, dall’analisi del discorso (AD; Billig, 1987;

Potter, Wetherell, 1987) e dall’analisi critica del discorso (ACD; Fairclough, 1995; van Dijk, 1993) che riconoscono il discorso come contesto necessario per lo studio di ogni fenomeno psicologico e che spostano la loro attenzione verso i sistemi di produzione di significati disponibili nella società: le ideologie. Le ideologie, intese come il montag-gio di temi correlati in modo incoerente, sono espressione della natura contraddittoria, frammentata e dilemmatica del pensiero umano e ancora delle norme e dei modelli che guidano il comportamento (Billig, 1987; Wetherell, Stiven, Potter, 1987). Contem-poraneamente offrono giustificazione e razionalità all’azione e sono l’espressione di sistemi di credenze o di pensiero che riproducono relazioni asimmetriche di potere tra i diversi gruppi sociali (Thompson, 1993; van Dijk, 1993; Fairclough, 1995).

Se partiamo dal presupposto empirico che le persone sono incoerenti nel comporta-mento e nelle opinioni, non hanno un atteggiacomporta-mento che può essere rappresentato at-traverso categorie di risposta mutuamente esclusive e adattano flessibilmente le rispo-ste date in base alla loro percezione del contesto favorendo la preservazione del sé, di-venta evidente che la ricerca psicologica non può avvalersi dei questionari come stru-menti di produzione dei dati (Billig, 1987; Wetherell, Stiven, Potter, 1987; Mantovani, 2003). L’analisi del discorso riconosce quale proprio oggetto di studio il divario tra l’atteggiamento generale e l’azione specifica. “Il divario, invece di essere visto come una debolezza metodologica da eliminare attraverso scale di misura di qualità superio-re e più psuperio-recise, dovsuperio-rebbe essesuperio-re considerato come qualcosa di intesuperio-ressante in sé e per sé” (Billig, 1987, trad. it. 1999, p. 308).

Questo tipo di analisi è specificatamente concentrato su questioni relative all’organizzazione del discorso e alle sue conseguenze su alcuni gruppi sociali. Il discor-so, offrendo la possibilità di esprimere una posizione su una questione che è dibattuta e genera controversie all’interno di un dato contesto sociale, diventa il luogo nel quale

gli atteggiamenti sono costruiti (Billig, 1987; Potter, Wetherell, 1987; De Grada, Bo-naiuto, 2002; Mantovani, 2003). Allo stesso tempo è la società a offrirci un set di ar-gomenti vincenti (Gramsci, 1948) attraverso i quali poter costruire i nostri atteggia-menti, argomentazioni e resoconti (Edley, Wetherell, 1999).

Date tali premesse, il presente studio ha inteso analizzare le strategie discorsive, la scelta e l’organizzazione degli argomenti, dei temi e delle teorie proposte da un gruppo di coppie eterosessuali per giustificare, motivare e sostenere (Billig, 1987) la propria di-stribuzione dei compiti familiari.

Nello specifico, abbiamo adottato un disegno di ricerca longitudinale che ha coinvolto un gruppo di 20 coppie eterosessuali che vivono la transizione alla genitorialità. Le fa-miglie sono state coinvolte in tre momenti: prima della nascita (tra il quarto e l’ottavo mese di gravidanza) e dopo la nascita, durante il terzo e il quarto mese di vita del/della bambin*. Ogni incontro è stato video registrato. I dati, prodotti attraverso due intervi-ste semi-strutturate e una sessione di video-feedback, sono stati successivamente ana-lizzati secondo i criteri dell’analisi del discorso (Billig, 1987; Potter, Wetherell, 1987;

Edwards, Potter, 1992) e dell’analisi critica del discorso (van Dijk, 1993; Fairclough, 1995; Lazar, 2005), focalizzando l’attenzione sul contenuto del discorso e più nello spe-cifico sulla presenza di temi coerenti o ricorrenti definiti repertori interpretativi (Potter, Wetherell, 1987).