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Il presente lavoro di tesi di dottorato intende prendere in esame da un punto di vista teorico, empirico ed applicativo1 l’analisi dell’intenzione di intraprendere alcune forme occupazionali scaturite da alcune specifiche politiche attive del lavoro, gli incentivi agli start-up. Più in particolare l’analisi riguarda l’imprenditoria femminile e quindi il (non) lavoro femminile di chi si propone per questa politica, e – implicitamente – i difficili percorsi di conciliazione che queste donne sono tenute a svolgere per poter essere parte attiva nel mercato del lavoro (sia nel caso in cui siano occupate, non occupate a causa del carico di lavoro di care, sia, infine, nella prospettiva della conduzione di un lavoro autonomo, cioè in una dimensione relativa al futuro). Basti pensare al riguardo alle difficoltà endemiche dello stato sociale

«latino» (Italia, Spagna e Grecia, diverso il caso del Portogallo) che favorisce fortemente il ruolo maschile e tende a relegare la donna al ruolo di cura (Wall, 2008, pp.71-72). Con questo contributo si mira a evidenziare quali siano i fattori che spingono le donne a richiedere dei finanziamenti per avviare un’attività in proprio (self-employment) piuttosto che a cercare di uscire da uno stato di inattività o di disoccupazione o – se occupate – da altre forme di occupazione, siano esse standard o non standard, ma comunque tipicamente non autonome2. In altre parole, come è stato già dibattuto a livello internazionale a partire almeno dagli anni ‘90, il problema del lavoro autonomo finanziato, cioè promosso dall’azione pubblica, deve rispondere alle domande se questa forma di occupazione non sia un ripiego di fronte a un’occupazione diversa che non si riesce a conquistare (Dennis 1996; MacDonald 1996) o anche una risposta alla disoccupazione3, e in seconda battuta se le persone –

1 In questo caso per «applicativo» si intende la possibilità di aver potuto condurre una ricerca che verificasse la soundness di una politica del lavoro concretamente attuata.

2 Si intende in questo senso includere la forma parasubordinata come forma alle dipendenze in quanto di fatto inquadrata di norma in pianta stabile in un’organizzazione, oltre si dibatterà in profondità sull’argomento; inoltre come si vedrà nell’analisi di alcuni dati amministrativi, la maggior parte delle richieste di finanziamento o semplicemente di informazione per formulare un business plan atto a richiedere un finanziamento solo in minima parte viene portato avanti da persone che hanno già in corso un’attività economica definibile come autonoma.

3 È noto infatti che questa politica attiva del lavoro non sia efficace e sarebbe surrettizia allorquando intesa come politica contro la disoccupazione. Citando il caso spagnolo: “El trabajo autónomo no

specialmente se donne che intraprendono questi percorsi di sussidio al self-employment siano «spinte» (pushed) o «attratte» (pulled) (Hughes 2003).

Dal momento che è noto che solo una parte minoritaria dei progetti presentati a uno sportello di finanziamento al lavoro autonomo si traduce in un’attività di auto-impiego reale, ancorché duratura nel tempo, diviene ancora più interessante comprendere quale effettiva efficacia possono avere tali forme di politiche e quali problematiche essa pone al fine di renderle più efficaci alla causa – derivata da Lisbona 2000 e validi almeno fino al 2010 – dell’innalzamento dei tassi di occupazione, soprattutto di quelli femminili notoriamente molto al di sotto in Italia delle soglie a cui si dovrebbe tendere progressivamente. Infatti per una corretta valutazione della politica presa in esame non è sufficiente prendere in considerazione soltanto le persone che effettivamente aprono un’attività, quanto tutte quelle che intendono rivolgersi a un servizio, fosse anche soltanto per prendere delle informazioni, o, come accede più di frequente, per iniziare un percorso di orientamento al lavoro autonomo che porti successivamente alla scrittura guidata di un business plan con l’aiuto di un consulente del lavoro (generalmente sulla scorta di un’idea imprenditoriale già sviluppata per proprio conto).

In altre parole l’intervento specifico attuato dal Comune di Roma volto a dare sussidi non finanziari al lavoro autonomo è sembrato essere particolarmente utile – seppure in un contesto geograficamente limitato e soprattutto per un targert di popolazione limitato: le donne – per poter permette di andare in profondità in questioni inerenti l’effettivo universo dei cittadini soggetti (o per meglio dire, che si autocandidano) alla politica studiata.

Prendendo in prestito il vocabolario della ricerca valutativa, col prensente studio – che include buona parte di teorie di social psychology come parte integrante della tradizione sociologica di stampo prettamente anglosassone – si pone un problema di ipotetico fine-tuning evaluation (Rossi Lipsey Freeman, 2003) che consiste – nell’azione propriamente più di ricerca sociale – nel cercare di rilevare informazioni e testare strumenti al fine di stimare la sensitivity e la specificity che sono implicite

puede ser concebido como una simple vía para reducir la tasa de desempleo del mercado de trabajo por cuenta ajena; ha de ser entendido, ante todo, como una opción profesional alternativa o complementaria al trabajo por cuenta ajena, que debe ser promocionada y estimulada desde los poderos públicos. [pag. 234] “ (Villalón, Guanter, 2006).

alla politica medesima. Infatti attraverso la sensitivity si è cercato di studiare in che misura, e in base a quali informazioni, si sia di fronte a dinamiche di autocandidatura coerenti col target più appropriato per una politica dell’occupazione. Infatti in questo senso la cosiddetta population at risk è di difficile ponderazione, e i criteri in base ai quali un’idea imprenditoriale può tramutarsi in un autoimpiego di successo sono al momento (a pochi mesi dalla chiusura degli sportelli e quindi a poco tempo dopo l’effettiva apertura delle prime attività finanziate) ignoti. L’unico modo per svolgere delle valutazioni in tal senso potrebbe essere attraverso analisi ex-post che però ne minano l’efficacia e l’efficienza alla radice4 e sono soggetti a periodi più lunghi.

Infatti per poter dire che un’attività di lavoro autonomo sia sopravvissuta al rischio della nati-mortalità bisognerebbe aspettare almeno un lasso di tempo di circa tre anni.

I dati empirici affrontati in questo studio, nella fattispecie attraverso le interviste qualitative, forse riescono a dire qualcosa di più in termini di specificity, ovvero nell’azione valutativa volta a escludere le persone fuori target, dal momento che appare più semplice scremare l’universo degli autocandidati in funzione di un’azione di ricerca, cosa che in termini applicativi potrebbe essere sussunto come best practice da una fase di orientamento curata da del personale qualificato. Ovviamente l’oggetto d’indagine si distanzia sensibilmente, per tecniche e livello di analisi, dalla pubblicistica, peraltro copiosa, sui temi dei business plan e delle pratiche (meramente tecniche, ma anche tendenti all’empowerment) per avviare un’impresa di piccole dimensioni (Bennett, 1987; Coccolo, 1999; Loscialpo, 2003; Pacenti, 2000;

Prandina, 2006; Tepper, 2002; Wilson, Paneti, 2003)5.

Poiché attraverso le fonti amministrative del progetto preso in esame si conoscono già gli esiti del percorso di richiesta di un finanziamento portato avanti dalle persone intervistate (quale che sia la legge o il finanziamento specifici richiesti), è possibile avanzare delle ipotesi di stampo predittivo su quali possano essere le figure che hanno maggiori probabilità di realizzare un’idea di lavoro autonomo, e soprattutto con quali premesse e risorse cognitive (più che finanziarie, stimabili ovviamente come scarse per ipotesi nulla, altrimenti non si richiederebbero aiuti se non misure di

4 Per ua spiegazione più dettagliata di questo inciso si rimanda al capitolo sulla governance della politica studiata.

5 L’elenco qui riproposto non è che una minima parte delle pubblicazioni, spesso per un pubblico di massa, che si possono trovare in lingua inglese o italiana.

prestiti a tassi agevolati conseguibili tramite accordi con istituti di credito) si presentano per attivarsi. Inoltre è interessante notare da quale percorso professionale (esperienze di lavoro sia esso regolare o a nero, periodi di disoccupazione), formativo (sopratutto di life-long learning e learning by doing) (Viteritti 2005) nonché di vita personale (incombenze relative alla sfera del care) (Garofalo, Marra 2007) provengano queste donne come retroterra e base di partenza utile per comprendere le effettive potenzialità di successo futuro come lavoratore autonomo.

A ciò si può aggiungere, grazie al lavoro empirico più sotto sinteticamente descritto, una serie di considerazioni circa le aspettative relative all’intrapresa di un lavoro autonomo, e i relativi valori che ne stanno alla base.

Le dimensioni della ricerca che hanno portato alla costruzione dei dati primari sono state quindi tali da poter avanzare alcune conclusioni in termini di specifity della politica. Il concetto di partenza utilizzato è quello di achievement motivation, in quanto si riteneva che un concetto incentrato sulla presenza di una forte motivazione alla riuscita, al successo, fosse indispensabile, più che accessorio, per infondere nell’azione di apertura di un nuovo negozio o attività professionale l’atteggiamento più consono per superare tutte le difficoltà che sono presenti non tanto e non solo all’apertura della stessa attività (diventare quindi self-employed) quanto nella necessità di farla perdurare, recuperando così anche una qualche forma di valenza predittiva. La relativa scomposizione del concetto di achievement motivation, che in chiusura del lavoro verrà poi criticato in quanto inadeguato all’analisi di questo campo d’indagine specifico in quanto troppo estensivo, voleva innanzitutto coprire le seguenti aree di analisi riferite alle donne intercettate dalla politica del Comune di Roma:

- cosa esse vorrebbero intraprendere;

- cosa si aspettano le donne da questo sportello;

- cosa lamentano della loro situazione occupazionale attuale;

- cosa dicono di questa esperienza di progettazione.

Le prime fasi di sfondo hanno però evidenziato la necessità di stabilire nette differze fra ciò che si sta effettivamente vivendo e ciò che si desidererebbe fare a parità di condizioni, evidenziando spesso delle palesi incongruenze fra la presenza in una politica di questo genere e le proprie vere aspirazioni. Inoltre particolare spazio è

stato dedicato all’analisi della ricostruzione soggettiva dei percorsi di carriera finora intrapresi della donne (si veda in particolare il paragrafo dedidato alle carriere nel secondo capitolo per il riaggancio teorico al dibattito italino e internazionale). In questo modo è stato possibile ricostruire un profilo sintetico delle donne etichettato come «forte» o «debole» rispetto al mercato del lavoro. Altri concetti come quello del locus of control è utile per capire, lungo un ipotetico continuum, se la fiducia in se stessa è più o meno forte o assente (fatalismo). In ogni caso comunque, i dati della scala Thurstone Likert-like (Cannavò, 2003) appositamente messa a punto proprio sul concetto di achiement motivation ha offerto maggiori margini di analisi empirica e argomentazione teorica critica.

In termini analitici, queste sono le ipotesi di lavoro che hanno guidato l’analisi empirica:

- l’importanza di associare alla possibilità di erogare un finanziamento anche un servizio di consulenza del lavoro per il sussidio alla realizzazione di un business plan: rispetto alle agenzie tradizionali, in questo caso si possono intercettare più persone che avrebbero le competenze tecniche e umane per svolgere un’attività in proprio, ma non quelle tecnico-giuridiche-economiche e di consulenza del lavoro per sviluppare un buon business plan (infatti si può essere ottimi artigiani o anche commercianti, ma non essere in grado di fare un business plan);

- la presenza, ancora più importante, dell’orientamento volto a «filtrare» le possibili candidature con scarse possibilità di riuscita nell’intrapresa: un primo livello di consulenza gratuita di orientamento – opportunamente coordinato con le altre strutture dei Servizi per l’Impiego al fine di introdurre anche pratiche neghentropiche all’interno della governance locale – renderebbe più chiare le idee all’utente (che forse non vuole intraprendere un’attività più rischiosa, ad esempio, di un lavoro non-standard) e alleggerirebbe il carico di lavoro dei consulenti del lavoro che possono concentrarsi su consulenze tailor-made.

Questo fattore appare essere convincente quanto più va ad innestarsi coerentemente con la logica dell’autocandidatura della politica degli incentivi agli start-up: in questo modo è l’utente di un servizio stesso a capire, con l’aiuto mauietico – o se si preferisce di counselling (Jayasinghe, 2001) – di un orientatore, se è veramente adatta a intraprendere un percorso di lavoro

autonomo, evitando quindi il ruolo attivo da parte di un’agenzia pubblica nel filtrare le persone che potrebbero presentare un business plan da quelle che si crede non potrebbero farlo;

- la contraddizione fra debolezza nel mercato del lavoro e possibilità di efficace auto-impiego che si ipotizza essere plausibile solo in alcuni casi, e non con numeri elevati (Paci, 2005): spesso le persone che maturano una prima idea di lavoro autonomo sono persone disoccupate, sotto-occupate, o «precarie»6. Quindi l’impatto del rischio imprenditoriale può produrre effetti di rischio sociale (Beck 2000, Bauman 1999) superiori a quelli che già sono sofferti (Reyneri, 1998);

- l’aspetto del self-employment al femminile come risposta fai-da-te nei confronti della conciliazione: si può ipotizzare che le donne vogliano ricorrere a questa opzione lavorativa al fine di poter disporre di una flessibilità nel lavoro decisa e regolata da se stesse e in funzione delle proprie incombenze familiari. In questo caso risulta poi determinante capire se le donne sono o meno consapevoli delle difficoltà di questa via peculiare alla conciliazione, e, nel caso che lo siano, capire come;

- l’eventuale presenza di outcome (Palumbo 2002; Rist, Stame 2005; Rossi Lipsey Freeman 2003) nella politica attiva di incentivi agli start-up: le persone che si presentano vi accederebbero perché non trovano accesso alle politiche passive per il lavoro, e quindi la usano come sorta di succedaneo surrettizio delle tradizionali politiche passive del lavoro? Appare evidente che nella misura in cui tale domanda trovasse fondamento empirico, vi sarebbero maggiori dubbi circa l’effettiva efficacia della politica di incentivazione agli start-up, soprattutto allorquando, come in questo caso, si va a studiare uno sportello che in qualche modo, almeno nelle prime fasi di informazione, tende ad aumentare il numero delle persone che vi si rivolgono.

6 Si dibatterà soprattutto nella prima parte della ricerca circa la connotazione di questo termine.