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Kyoto e oltre: gli obiettivi dell’UE

2 I cambiamenti climatici e la questione energetica

2.3 Politiche di mitigazione dei cambiamenti climatici globali

2.3.3 Kyoto e oltre: gli obiettivi dell’UE

Il Protocollo di Kyoto rappresenta lo strumento attuativo della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici e si propone come primo grande passo verso una strategia internazionale per la progressiva riduzione delle emissioni di gas serra in atmosfera, per contrastare i cambiamenti climatici in corso. Tale documento, sulla base del principio della responsabilità comune, ma differenziata, impegna i paesi industrializzati e quelli dell’Est europeo. Gli stati soggetti a queste direttive sono 39, tra cui i principali sono i paesi europei, il Giappone, la Russia, gli Stati Uniti, il Canada, l’Australia e la Nuova Zelanda (allegato B del protocollo). La riduzione complessiva del 5,2% non è uguale per tutti i paesi: per gli stati membri della UE la riduzione è pari all’8%, per gli Stati Uniti al 7%, per il Giappone al 6%; l’allegato B del protocollo contiene gli impegni quantificati sottoscritti dalle parti.

Per il periodo successivo al 2012 dovranno essere negoziati nuovi obiettivi che potrebbero includere un maggiore numero di paesi. Per il raggiungimento degli obiettivi, il protocollo propone una serie di provvedimenti, come per esempio: il miglioramento dell’efficienza energetica, la promozione di forme di agricoltura sostenibili e lo sviluppo di fonti di energia rinnovabili. È auspicata anche la cooperazione con le altre parti contraenti, con lo scambio di informazioni ed esperienze e il coordinamento delle politiche nazionali con l’impiego dei meccanismi flessibili, illustrati di seguito.

Le direttive di Kyoto in materia di uso del suolo

Il ruolo strategico degli ecosistemi vegetali, tra cui le foreste, nelle politiche di mitigazione delle emissioni di gas serra è riconosciuto dalla capacità di assorbimento e fissaggio degli stessi; per questa ragione le foreste sono considerate alla stregua di serbatoi (sinks) di carbonio, e pertanto la Convenzione Quadro sui cambiamenti climatici stabilisce la necessità di quantificare concretamente i possibili abbattimenti di gas serra. In occasione della Conferenza di Milano (Cop9, 2003) è stato presentato il rapporto Good Practice Guidance for Land Use, Land Use Change and Forestry (GPG-LULUCF), a cura dell’IPCC. Il rapporto indica le tecniche per la stima dei depositi (stock) di carbonio e delle variazioni di tali depositi nelle varie categorie di uso del suolo, sull’intero territorio nazionale (in base alle prescrizioni della convenzione) e su tutti i terreni destinati alle attività previste nel Protocollo di Kyoto. L’UNFCCC obbliga i suoi membri a riportare i dati sulle variazioni delle quantità di carbonio dovute alle attività di cambiamento dell’uso del suolo e alle attività di gestione del patrimonio forestale.

Per quanto concerne l’Italia, il Ministero dell’Ambiente ha predisposto un piano, collegato alla delibera CIPE 23 del 19 dicembre 2002, in cui sono definite le attività atte alla realizzazione del potenziale massimo di assorbimento del carbonio. Secondo tale delibera il potenziale di assorbimento medio annuo nel periodo 2008-2012 ammonta a 10,2 Mt CO2, pari all’11% dell’impegno di riduzione complessivo. Di queste, il 40,2%

corrisponde alle misure di gestione

delle foreste già esistenti sul territorio nazionale, il 58,9% alle attività di afforestazione e riforestazione e il rimanente 0,9% alla gestione di prati, pascoli, suoli agricoli e alla rivegetazione (la diffusione di copertura vegetale su terreni erosi, cave ecc.).

I meccanismi flessibili

I meccanismi flessibili sono strumenti economici introdotti al fine di diminuire il costo complessivo legato alla riduzione dei gas serra. Il meccanismo dell’International Emission Trading (IET) permette a uno stato o a un’azienda di acquistare o vendere permessi di emissione (indicati con la sigla AAUS, Assigned Amount Units) al fine di ridurre le proprie emissioni alla quota prevista dalle direttive del protocollo: è chiaro che, a chi possiede questi permessi, risulterà opportuno venderli solo nel caso in cui le proprie emissioni siano al di sotto della soglia fissata. Lo IET è stato istituito dalla direttiva 2003/87/EC, che regola il mercato delle emissioni secondo criteri di efficacia dei costi ed efficienza economica.

Il sistema della Joint Implementation permette alle imprese dei paesi con vincoli di emissione di sviluppare progetti mirati alla riduzione delle emissioni in altri paesi anch’essi soggetti alle prescrizioni di riduzione delle emissioni; si tratta di operazioni a somma zero, dal momento che le emissioni totali permesse nei due paesi coinvolti rimangono le stesse. Lo scopo è la riduzione dei costi d’adempimento delle disposizioni di Kyoto: la realizzazione dei progetti di Joint Implementation genera crediti di emissione (ERUS, Emissions Reduction Units), utilizzabili nell’ottemperanza delle prescrizioni del protocollo. Dato che la Joint Implementation riguarda paesi con limiti di emissione, i crediti ERUS sono sottratti all’ammontare di permessi di emissione inizialmente assegnati al paese ospite.

Il procedimento di Clean Development Mechanism (CDM) è uno strumento che permette alle imprese dei paesi industrializzati (con vincoli di emissione) di realizzare progetti che mirino alla riduzione delle emissioni di gas serra nei paesi in via di sviluppo senza vincoli di emissione.

Obiettivo principale di questo meccanismo è la possibilità di accesso alle tecnologie pulite per i paesi emergenti, avviandoli a strategie orientate allo sviluppo sostenibile;

per i paesi sviluppati permette l’abbattimento delle emissioni dove è più conveniente a livello economico, con la conseguente riduzione dei costi per l’adempimento delle prescrizioni del protocollo.

Aspetti economici del Protocollo

In attesa dell’entrata in vigore del Protocollo di Kyoto, numerosi studi sono stati svolti per stimare il costo della riduzione dell’emissione dei gas serra da parte dei paesi industrializzati. In effetti, il presunto elevato costo dell’abbattimento delle emissioni ha costituito un importante ostacolo alla ratifica del protocollo, in particolare da parte degli Stati Uniti. Tuttavia, secondo i risultati di queste analisi, il raggiungimento degli obiettivi presuppone costi bassi, anche senza il ricorso ai meccanismi flessibili: i costi di riduzione sono valutati tra i 3 e i 20 $ per t CO2-1 rimossa, cifra che rappresenta non più del 3-5% dei costi energetici totali per la maggiore parte dei settori (Murota e Takase, 2001). Secondo il terzo Rapporto dell’IPCC (2001), l’impatto di Kyoto sul PIL dei principali paesi industrializzati sarà inferiore all’1%, senza considerare il mercato delle emissioni; la percentuale scende allo 0,1 considerando gli effetti dell’Emission Trading.

L’impatto del Protocollo di Kyoto appare, quindi, limitato, passando in secondo piano rispetto agli altri fattori economici: si prevede che l’Unione Europea raggiunga l’85-95% degli obiettivi del protocollo senza che questo influisca sulla competitività (Harmelink et al., 2001). Vi sono poi altri benefici addizionali, tra cui l’accesso al nuovo mercato internazionale del carbonio, con un valore che si stima superiore ai 30 miliardi di dollari, e la partecipazione ai progetti CDM (il cui valore è stimato dalle proiezioni tra i 5 e 17 miliardi di dollari all’anno entro il 2012). Altri vantaggi sono legati ai nuovi mercati delle risorse e delle tecnologie di energia sostenibile e dei servizi energetici; secondo le previsioni del World Energy Assessment dell’UNEP e dell’UNDP il solo mercato globale dell’energia rinnovabile raggiungerà un valore tra i 5 e i 18 miliardi di dollari all’anno entro il 2012. I paesi che non adotteranno strategie di sviluppo orientate al rispetto delle prescrizioni del protocollo faranno in ritardo il proprio ingresso nei nuovi mercati, quando i profitti saranno già in fase di diminuzione.

Vi sono poi i benefici legati alla riduzione della domanda di energia e alla diversificazione dei combustibili, al miglioramento dell’efficienza energetica, alla riduzione dell’inquinamento atmosferico anche a scala locale e ai danni provocati dai cambiamenti climatici.

Le direttive in Europa

Nel dicembre 2003, in occasione della Cop9 di Milano, è stata presentata una relazione sullo stato dell’avanzamento delle politiche verso Kyoto. Il quadro della situazione non risulta positivo: mantenendo i trend attuali, l’obiettivo di abbattimento dell’8% non sarà raggiunto entro il 2010.

Tra gli Stati europei solo Svezia e Gran Bretagna hanno rispettato le prescrizioni di riferimento, mentre il peggior risultato spetta alla Spagna (+30% sul valore di soglia). I 5 nuovi stati dell’Unione hanno ridotto le rispettive emissioni e si stima che, entro il 2010, i paesi baltici possano ridurre fino al 5% le proprie emissioni. Nel 2000 l’Unione Europea ha specificato le misure previste per avviare l’inversione di tendenza, attraverso una strategia decennale, nota come Strategia di Lisbona, contenente le priorità comunitarie in tema di politiche energetiche. La commissione appositamente istituita ha individuato sei linee-guida di riferimento:

• il miglioramento dell’efficienza energetica;

• un mercato interno nei settori del gas e dell’elettricità;

• il rafforzamento della sicurezza e della protezione nucleare;

• la sicurezza dell’approvvigionamento energetico;

• il miglioramento del legame tra le politiche in materia di energia, ambiente e ricerca;

• la promozione delle fonti energetiche rinnovabili.

Per quanto concerne quest’ultimo punto il traguardo europeo è la produzione di almeno il 12% del fabbisogno complessivo con l’impiego di fonti rinnovabili, entro il 2010.

Sono stati fissati altri due obiettivi, la promozione dei biocombustibili e la produzione di almeno il 22% dell’elettricità attraverso energia rinnovabile (elettricità verde).