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L’incontro con l’antropologia

3. Dewey e l’antropologia culturale

3.2. L’incontro con l’antropologia

Nel decennio in cui insegna presso l’Università di Chicago, dal 1894 al 1904, Dewey vi trova un clima di collaborazione consolidata tra filosofia e scienze sociali. Egli intraprende qui l’esperimento che ne segnerà tutta la vita e ne caratterizzerà la produzione intellettuale: fonda una scuola elementare, intesa anche come laboratorio per lo studio della formazione dell’individuo, delle dinamiche della conoscenza, della nascita di valori morali e così via. Proprio in questa prospettiva incomincia ad avvicinarsi alla sociologia e all’antropologia culturale, scrivendo tra le altre cose un articolo in collaborazione con Florian Znaniecki, che sarà tra i primi ad applicare il metodo antropologico allo studio delle società complesse, introducendo in antropologia il concetto di «atteggiamento»20.

Nel 1904 Dewey lascia Chicago per trasferirsi a New York, alla prestigiosa Columbia University, dove stringe rapporti di collaborazione con il più importante antropologo statunitense, Franz Boas, e anche con i suoi allievi Ruth Benedict e Alexander

20 William I. Thomas e Florian Znaniecki, The Polish Peasant in Europe and America, New York, 1918-20.

Goldenweiser21. Secondo George Dykhuizen, «Boas, in parte attraverso Bush22, aiutò Dewey a vedere che una cosiddetta filosofia dell’esperienza non può confinarsi nell’ambito della biologia e della psicologia ma deve includere anche fattori istituzionali e culturali, che giocano un ruolo altrettanto decisivo nel determinare ciò che l’esperienza è e sarà, rispetto ai fattori abitualmente sottolineati nelle teorie della conoscenza. Lo studio di Hegel, come è già stato notato, aveva in precedenza introdotto Dewey a nozioni simili; adesso Boas e altri antropologi, tra cui Ruth Benedict alla Columbia University, aiutarono Dewey ad andare più lontano, verso l’antropologia culturale che doveva essere una caratteristica così importante della sua filosofia successiva»23. (Dykhuizen, 1973: 123)

L’importanza del rapporto con l’ambiente, naturale e sociale, deriva dunque dalla duplice influenza della filosofia hegeliana e dell’antropologia culturale. Quella suggerita da Dykhuizen è un’interpretazione interessante, perché, come vedremo, spiega concetti-chiave come quello di transazione, per cui non si deve parlare tanto e banalmente di un’influenza dell’ambiente sulla formazione della personalità, e viceversa, ma di una crescita congiunta, in un processo di adattamento reciproco.

Nella Prefazione del 1951 a Esperienza e natura, che abbiamo richiamato in apertura, Dewey spiega che cosa ha in più il concetto di «cultura» rispetto a quello di

«esperienza»: esso rappresenta, per così dire, la sintesi tra l’azione e il reale, indica come le «cose», sia quelle fisiche (oggetti, attività economiche, manufatti) sia quelle sociali (istituzioni, tradizioni, costume) ricevano dalla cultura un significato unitario.

Ciò che Dewey intendeva esprimere con il termine «esperienza» era l’unità di soggetto

21 Alexander A. Goldenweiser (1880-1940), nato a Kiev, emigrò nel 1900 negli USA, studiando con Boas e occupandosi in particolare del totemismo (Totemism. An analytical study, 1910) e dei rapporti dell’antropologia culturale con la psicologia (History, psychology and culture, 1937).

22 Wendell T. Bush (1866-1941), importante filosofo statunitense, studioso di Avenarius e dell’empiriocriticismo. Insegnò dal 1905 alla morte presso la Columbia University.

23 «Boas, partly through Bush, helped Dewey see that a sound philosophy of experience could not restrict itself within the confines set by biology and psychology but had to include also institutional and cultural factors, which play a role as decisive in determining what experience is and will be as do the factors usually emphasized in theories in knowledge. Hegel, as already noted, had earlier introduced Dewey to very similar notions; now Boas and other anthropologists, including Ruth Benedict at

e oggetto, di mente e mondo, dello psicologico e del fisico. Ma se il termine poteva esprimere tutto ciò dal punto di vista teoretico, non lo faceva dal punto di vista storico, perché l’uso affermatosi ne sottolineava unicamente l’aspetto psicologico e soggettivo.

«Esperienza», in definitiva, indicava soltanto il lato soggettivo. Il termine «cultura», invece, ricorda Dewey, «nel suo significato antropologico indica il vasto ambito delle cose esperite in un’indefinita varietà di modi»24 (LW 1: 362). «I fatti indicati da

“cultura” includono anche l’intero sistema di credenze, atteggiamenti, disposizioni che sono scientifiche e “morali”25 e che in quanto fatti culturali decidono gli usi specifici a cui i “materiali” costituenti la cultura sono orientati e a cui di conseguenza compete, filosoficamente parlando, il nome “ideale” (e anche il termine “spirituale”, se usato intelligentemente)»26. (Ibidem)

Dewey cita alcuni passi della definizione di «cultura» scritta da Bronislaw Malinowski nel 1931 per l’Encycloepaedia of the Social Sciences, per evidenziare come si adatti meglio del termine «esperienza» alla descrizione del suo modo di intendere i rapporti tra soggetto e oggetto. In effetti corrisponde in modo sorprendente alla prospettiva da lui approfondita in Esperienza e ragione. Da un lato Malinowski sottolinea come gli atteggiamenti culturali modifichino l’ambiente secondo prospettive e tonalità specifiche e d’altra parte come l’ambiente così modificato formi a sua volta la personalità dei nuovi membri, secondo un rapporto dialettico o, per usare un termine caratteristico di Dewey, “transazionale”. Scrive Malinowski:

«Per vivere, l’uomo altera continuamente l’ambiente circostante. In tutti i punti di contatto con il mondo esterno egli crea un ambiente artificiale, secondario:

costruisce case o fabbrica rifugi, prepara il cibo in maniera più o meno elaborata

Columbia, helped guide Dewey’s thinking further toward the cultural anthropology that was to be such an important feature of his later philosophy».

24 «in its anthropological sense designates the vast range of things experienced in an indefinite variety of ways»

25 Quindi riguardano sia la conoscenza sia il comportamento.

26 «The facts named by “culture” also include the whole body of beliefs, attitudes, dispositions which are scientific and “moral” and which as a matter of cultural fact decide the specific uses to which the

“material” constituents of culture are put and which accordingly deserve, philosophically speaking, the name “ideal” (even the name “spiritual,” if intelligibly used)».

procurandoselo per mezzo di armi e di attrezzi, costruisce strade e si serve di mezzi di trasporto. […] Nella produzione, nell’impiego e nell’uso di artefatti, di attrezzi, di armi e di altri prodotti si rende necessaria la conoscenza, ed essa è essenzialmente connessa con la disciplina intellettuale e morale di cui la religione, le leggi e le regole etiche costituiscono in ultima istanza la fonte».

(Malinowski 1931, tr. it. in Rossi 1970: 135-6)

Il concetto di cultura consente il superamento delle dicotomie che Dewey condanna, coniugando piano materiale e psicologico, prassi e conoscenza. Prosegue Malinowski:

«Il lavoro comune e il godimento comune dei suoi risultati si fondano sempre su un determinato tipo di organizzazione sociale. Pertanto la cultura materiale richiede un complemento meno semplice, meno facile da catalogare o da analizzare, che consiste nel corpo della conoscenza intellettuale, nel sistema dei valori morali, spirituali ed economici, nell’organizzazione sociale, nel linguaggio» (Ivi: 136). L’ambiente materiale culturalmente formato, forma culturalmente i nuovi membri del gruppo, mediante il processo di inculturazione che passa anche e prima di tutto attraverso una serie di abitudini indotte dai diversi aspetti della cultura. «D’altra parte la cultura materiale è un apparato indispensabile alla formazione e al condizionamento di ciascuna generazione di esseri umani. L’ambiente secondario, il corredo della cultura materiale, è un laboratorio in cui si formano i riflessi, gli impulsi, le tendenze emozionali dell’organismo. Mani, braccia, gambe e occhi vengono adattati, attraverso l’uso di attrezzi, alla particolare abilità tecnica necessaria in una cultura. I processi nervosi vengono modificati in modo da produrre tutta la serie dei concetti intellettuali, dei tipi emozionali e dei sentimenti che costituiscono il corpo della scienza, della religione e della morale prevalenti in una comunità». (Ivi: 136-7)

Quindi nei prodotti materiali sono incorporati, per così dire, concetti e prima ancora atteggiamenti, emozioni e sentimenti che, usandoli, i nuovi membri interiorizzano, formandosi culturalmente.

Dewey conclude le citazioni di Malinowski sottolineando che «la stretta connessione dei sistemi filosofici con la cultura è ulteriormente chiarita dal fatto che “la formazione dei sentimenti, e quindi dei valori, è sempre fondata sull’apparato culturale esistente in

una società”, i sentimenti e i valori definendo gli atteggiamenti di ogni uomo “verso la realtà della sua Weltanschauung magica, religiosa e metafisica”. E mentre non posso soffermarmi, qui, su queste implicazioni, non posso fare a meno di citare l’affermazione che “la cultura è al tempo stesso psicologica e collettiva”»27. (Dewey 1951: 363-4) Attraverso il riferimento a Malinowski, Dewey sottolinea aspetti importanti della cultura: il suo presentarsi come una coerente e completa visione del mondo, informando sentimenti, valori ed emozioni; il suo carattere disposizionale, consistendo di atteggiamenti – cioè di disposizioni a reagire in determinati modi ai diversi ambiti dell’esistenza – e, infine, la sua dimensione sia individuale che collettiva.

Questi diversi aspetti, come vedremo, non rappresentano una novità in senso proprio nella filosofia deweyana, quanto una chiarificazione di approcci già in essa contenuti, anche grazie all’influenza hegeliana, e d’altra parte costituiscono il punto di arrivo della definizione della «cultura» in un processo che attraversa, in antropologia, la prima metà del Novecento, particolarmente a partire dal primo dopoguerra.