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La situazione scolastica e culturale nel secondo dopoguerra

Capitolo II La conquista dell’alfabeto e l’istituzione della Scuola popolare per adulti in

1. La situazione scolastica e culturale nel secondo dopoguerra

«La scuola, si sa, è l‟espressione più diretta del clima spirituale di un popolo e la sua storia vale a chiarire il ritmo più profondo della storia di esso»1.

All‟indomani della seconda guerra mondiale l‟intero sistema scolastico ed educativo italiano rispec-chiava il disordine di un Paese profondamente segnato dagli eventi bellici.

Il 40% degli edifici scolastici, distrutti dai bombardamenti, requisiti dalle truppe alleate, adibiti a dormitori o caserme, era ormai inefficiente e inutilizzabile2, l‟evasione dall‟obbligo scolastico river-sava per strada un gran numero di bambini e ragazzi e il popolo si trovava in un stato di grave igno-ranza perpetuato per anni dall‟ideologia del consenso, pertanto l‟analfabetismo era tornato al livello dell‟ultimo censimento del 1931, ovvero al 20% circa3.

La politica scolastica del regime, infatti, puntò essenzialmente alla gioventù, mentre le scuole popo-lari per adulti, fascistizzate dal 1938, divennero soltanto un mezzo per «rendere fascisti veri (attra-verso l‟alfabeto) i contadini, gli operai, i pastori, gli artigiani delle località più sperdute»4. L‟unico Ente che dopo il 1938 continuò ad istituire corsi per adulti fu l‟ONAIR (Opera Nazionale Assisten-za Italiana Redenta) con scopi di aperto orientamento politico e culturale di tipo nazionalistico5. Dal 1942 in poi le scuole serali vennero sostituite da “corsi rapidi” offerti ai lavoratori già alfabetiz-zati e il cui fine era sostanzialmente di natura politica. L‟alfabetizzazione delle masse risultava no-civa per il sistema e venne esaltata la cultura orale, la sola che competeva alle classi popolari. Per-tanto la radio e il cinema divennero strumenti “educativi” di fondamentale importanza6 e l‟unico mezzo di lotta all‟analfabetismo restava il decesso biologico dell‟analfabeta7.

1 U. Spitito, La riforma della scuola, Sansoni Editore, Firenze 1956, p. 5.

2 Cfr. G. Mammarella, L‟Italia dopo il fascismo: 1943-1973, Il Mulino, Bologna 1974, p. 143; D. Bertoni Jovine, La scuola italiana dal 1870 ai nostri giorni, Editori Riuniti, Roma 1958, p. 390.

3 Cfr. Istat, VII censimento generale della popolazione, 21 aprile 1931, p. 96, in:

http://lipari.istat.it/digibib/censpop1931/IST0005833Volume_IV_Relazione_generale_Parte_prima_Testo+OCRottimiz z.pdf consultato il 10-05-2016; G. Chiosso, Motivi pedagogici e politici nei lavori dell‟inchiesta Gonella (1947-1949), in L. Pazzaglia, R. Sani (a cura di), Scuola e società nell‟Italia unita. Dalla Legge Casati al Centro-Sinistra, Editrice La Scuola, Brescia 2001, p. 380.

4 D. Demetrio, Le scuole dell‟alfabeto. Trent‟anni di «lotte all‟analfabetismo» (1947-1977), Guaraldi Editore, Firenze 1977, p. 18.

5 Cfr. ivi, p. 20.

6 Cfr. D. Veneruso, L‟Italia fascista (1922-1945), Il Mulino, Bologna 1981; S. Tramma, I nuovi anziani. Storia, memo-ria e formazione nell‟Italia del grande cambiamento, Meltemi Editore, Roma 2003, p. 25.

7 Cfr. D. Demetrio, Le scuole dell‟alfabeto. Trent‟anni di «lotte all‟analfabetismo» (1947-1977), cit., p. 22.

36 Le conseguenze più gravi di tale politica si registrarono soprattutto nel Mezzogiorno dove quantita-tivamente maggiori erano le zone rurali che ospitavano uomini senza istruzione e la cui mentalità conservatrice aveva «fatto correre seri rischi al referendum istituzionale»8 del 1946, in quanto 10.718.502 voti, corrispondenti al 46%, andarono alla monarchia e provennero per lo più dalle re-gioni meridionali9.

Così, «tra la fine del 1945 e l‟inizio del 1946, mentre la vita nazionale andava riprendendo una nuo-va fisionomia dopo le radicali trasformazioni operate dalla guerra, il problema della scuola ridiven-ne problema di attualità sotto la spinta delle rinate forze democratiche»10.

In una fase in cui la lotta contro la miseria costituiva una preoccupazione costante per il popolo ita-liano, l‟aver riservato alla cultura e all‟educazione un posto di così grande rilievo per la rinascita della coscienza civile e dello spirito democratico è un elemento alquanto significativo in quanto raf-forza il valore dell‟utopia, intesa come uno dei principi primari della pedagogia e istanza trasforma-trice in grado di promuovere l‟emancipazione e la libertà dell‟individuo. Parafrasando Franca Pinto Minerva, il soggetto in formazione rappresenta metaforicamente il luogo dove si colloca la speran-za11. Inoltre, «la democrazia esige un alto livello di educazione in tutti i cittadini […] perché […] la via democratica trova la propria validità nella capacità dei cittadini di conoscere i problemi della vi-ta associavi-ta e di compiere scelte consapevoli»12.

Pertanto l‟alfabeto divenne un bisogno di tutti gli individui per reagire ad una tradizione autoritaria in cui l‟Italia fu costretta per anni. Ed è in questo contesto che aumentò l‟importanza dell‟educazione degli adulti, che mirava ad «aiutare le popolazioni a divenire padrone del proprio destino, a trasformare le proprie condizioni mediante un‟opera economica-sociale e culturale insie-me»13.

Il tema dell‟educazione fu dunque ampiamente discusso nell‟Assemblea Costituente, durante la quale si sottolineò l‟esigenza di trasformare la scuola a partire dal bisogno imprescindibile di garan-tire a tutti, indistintamente, il diritto all‟istruzione e all‟educazione. Grande valore acquisì il concet-to di “persona umana”, intesa come «summa di valori originali ed universali, soggetconcet-to di libertà e responsabilità»14, a cui doveva essere assicurata centralità nel processo educativo. Il principio di uguaglianza aveva l‟obiettivo di «sopprimere nella vita scolastica qualsiasi posizione di privile-gio»15 dettato da principi economici o di classe e di favorire invece la meritocrazia. Venne inoltre riconosciuta la libertà di insegnamento al fine di valorizzare ogni esperienza promossa dalla comu-nità civile in rapporto alle esigenze dettate dai cambiamenti sociali. La nuova scuola, aperta al po-polo, sarebbe dovuta divenire un‟opportunità per recuperare gli analfabeti, nonché un‟occasione di promozione della coscienza sociale e individuale contro ogni forma di sopruso e di asservimento.

8 Ivi, p. 30.

9 Cfr. F. Chabod, L‟Italia contemporanea (1918-1948), Einaudi, Torino 2010.

10 M. Pagella, Cento anni di storia della scuola italiana, U.C.I.I.M. (Unione Cattolica Insegnanti Italiani Medi), Roma 1958, p. 37.

11 F. Frabboni, F. Pinto Minerva, Manuale di pedagogia generale, Laterza, Roma-Bari 1994.

12 L. Mazzocchi, D. Rubinacci, L‟istruzione popolare in Italia dal secolo XVIII ai nostri giorni, Giuffrè Editore, Milano 1975, p. 57.

13 L. Borghi, Considerazioni introduttive ai problemi dell‟educazione popolare, in “Scuola e città. Rivista mensile di problemi educativi e di politica scolastica”, a. IX, n. 9, 1958, pp. 281-291.

14 G. Chiosso, Motivi pedagogici e politici nei lavori dell‟inchiesta Gonella (1947-1949), cit., p. 378.

15 D. Bertoni Jovine, La scuola italiana dal 1870 ai nostri giorni, cit., p. 420.

37 Ad occuparsi dei problemi della scuola fu soprattutto Guido Gonella che, in quanto membro della Democrazia Cristiana, rappresentava il fronte cattolico. Quest‟ultimo dominò il dibattito, in opposi-zione alle tesi esposte dal fronte laico.

La disputa tra le due forze politiche si concentrò sul problema del rapporto tra scuola pubblica e scuola privata. Da una parte, i laici lamentavano la guida di un democristiano, in quanto elemento che avrebbe favorito l‟espansione delle scuole private e la presenza della Chiesa nel campo educati-vo. Secondo tale tesi, l‟assenza delle scuole private avrebbe invece rafforzato il potere dello Stato, unico garante della scuola libera «perché non fondata su una dottrina […] che si identificava con una confessione religiosa»16. Dall‟altra parte, i cattolici, pur riconoscendo la sovranità dello Stato, sostenevano che l‟abolizione delle scuole private sarebbe stata dannosa per la società, non solo per il grande contributo fornito finora da queste ultime in campo educativo, ma anche perché un orien-tamento religioso avrebbe potuto guidare il popolo verso una coscienza pienamente democratica do-tata allo stesso tempo di valori cristiani.

L‟appoggio del Presidente del Consiglio dei Ministri, Alcide De Gasperi, che aveva non a caso fa-vorito la nomina di Gonella per il ruolo di Ministro della Pubblica Istruzione, nonché la mancanza di una concreta proposta da parte dei laici, fece prevalere le posizioni cattoliche.

La lunga discussione si concluse con l‟approvazione della Costituzione italiana e di alcuni articoli relativi alla scuola e all‟educazione in generale. Nonostante la nuova Costituzione rappresentasse un punto di svolta per il Paese, da un‟attenta analisi di tali articoli in rapporto alle condizioni in cui versava il popolo nel periodo in esame emerge tuttavia una serie considerevole di criticità che, di fatto, non permetteva a molte persone il pieno e libero esercizio dei propri diritti.

Art. 3: Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l‟eguaglianza dei cittadini, impediscono il pie-no sviluppo della persona umana e l‟effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all‟organizzazione politica, ecopie-nomica e sociale del Paese17.

Tale articolo «insieme con il suo proposito non denuncia una situazione di fatto assai grave per se stessa?»18. Nel 1948 molteplici erano gli ostacoli che limitavano la libertà e l‟uguaglianza dei citta-dini e che impedivano il pieno sviluppo della persona umana e l‟effettiva partecipazione di tutti i la-voratori all‟organizzazione politica, economica e sociale del Paese: povertà, disoccupazione, igno-ranza, pregiudizi, ecc. Non solo nell‟articolo non viene specificato il modo in cui la Repubblica avrebbe rimosso tali ostacoli, che in realtà perdurarono, ma qualora avesse adottato dei provvedi-menti adeguati, quanto tempo sarebbe stato necessario affinché la disuguaglianza sarebbe scompar-sa? E in questo lasso di tempo quante persone avrebbero potuto definirsi veramente “libere”?

Art. 9: La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica19.

16 L. Ambrosoli, La scuola in Italia dal dopoguerra ad oggi, Il Mulino, Bologna 1982, p. 35.

17 Costituzione della Repubblica italiana, p. 4., in:

http://www.quirinale.it/qrnw/statico/costituzione/pdf/Costituzione.pdf consultato il 12-01-2016.

18 B. Betta, Diritti della scuola e della cultura nello stato democratico, in “Scuola e città. Rivista mensile di problemi educativi e di politica scolastica”, a. IX, n. 6, 1958, p. 219.

19 Costituzione della Repubblica italiana, cit., p. 5.

38 In che modo la Repubblica ha promosso lo sviluppo della cultura per quella parte della popolazione analfabeta che viveva in condizioni di arretratezza o in zone difficilmente accessibili, dove non esi-stevano scuole?

Art: 13: La libertà personale è inviolabile. Non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione per-sonale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale20.

L‟analfabetismo non è forse una forma di restrizione alla libertà? Nel primo censimento effettuato dopo la seconda guerra mondiale, ovvero quello del 1951, in Italia vi erano 5.456 analfabeti dai sei anni in su e 7.582 alfabeti (da sei anni in su) privi di titolo di studio, di cui, rispettivamente, 2.518 e 2.464 nel Sud del Paese21.

Art. 21: Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione22.

Come potevano esercitareildiritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione coloro che non sapevano né leggere né scrivere e per i quali l‟unica forma di comunicazione era il dialetto? «L‟uomo che sa leggere e scrivere coglie la realtà in un modo diverso dall‟uomo che non sa né leggere né scrivere. La parola-scritta non è solo un mezzo con cui l‟istruito esprime il suo pensiero; essa costituisce questo pensiero e gli dà forma. La parola-scritta codifica la realtà»23.

Art. 22: Nessuno può essere privato, per motivi politici, della capacità giuridica, della cittadinanza, del nome24.

Tale articolo sancisce il diritto alla cittadinanza, ma essere cittadini attivi e consapevoli non scaturi-sce dalla capacità di pensare in maniera autonoma? E quest‟ultima, a sua volta, non viene acquisita mediante l‟istruzione, l‟educazione e la cultura, a cui un gran numero di italiani non aveva ancora accesso?

Art. 30: È dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli […]. Nei casi di incapacità dei genitori, la legge provvede a che siano assolti i loro compiti25.

Alla fine della seconda guerra mondiale i bambini erano costretti a contribuire, con il proprio lavo-ro, al mantenimento della famiglia.

«Nascere in una famiglia analfabeta significa nascere analfabeta: la società degli istruiti esclude da se stessa gli analfabeti nel momento in cui rende il padre responsabile dell‟istruzione del figlio»26.

20 Ivi, p. 6.

21 Censimenti Istat dal 1951 al 2001 della popolazione residente in età da sei anni in poi per livello di istruzione e ripar-tizione geografica, in:

http://seriestoriche.istat.it/index.php?id=7&user_100ind_pi1%5Bid_pagina%5D=9&cHash=376e94eb548b7706a8717a 8a2c323347 consultato il 04-08-2015.

22 Costituzione della Repubblica italiana, cit., p. 8.

23 G. Harrison, M. Callari Galli, Né leggere né scrivere. La cultura analfabeta: quando l‟istruzione diventa violenza e sopraffazione (1971), Feltrinelli, Milano 1974, p. 26.

24 Costituzione della Repubblica italiana, cit., p. 8.

25 Ivi, p. 10.

26 G. Harrison, M. Callari Galli, Né leggere né scrivere. La cultura analfabeta: quando l‟istruzione diventa violenza e sopraffazione, cit., p. 64.

39 Inoltre, l‟assenza di scuole, rese inefficienti dagli eventi bellici, riversava per strada un gran numero di ragazze e ragazzi costretti al vagabondaggio, alla prostituzione e alla ricerca di un qualsiasi lavo-ro in grado di offrire il minimo sostentamento. In che modo la legge ha supportato queste famiglie nel difficile compito di educazione dei figli?

Art. 33: L‟arte e la scienza sono libere e libero ne è l‟insegnamento. La Repubblica detta le norme generali sull‟istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi. Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato. La legge, nel fissare i diritti e gli obblighi delle scuole non statali che chiedono la parità, deve assicurare ad esse piena libertà e ai loro alunni un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni di scuole statali. È prescritto un esame di Stato per l‟ammissione ai vari ordini e gradi di scuole o per la conclusione di essi e per l‟abilitazione all‟esercizio professionale27.

Questo articolo basta di per sé a dipingere il bisogno di rinascita avvertito dall‟Italia. Accanto ai be-ni materiali la guerra aveva privato il popolo di un bene ancora più vitale, la libertà culturale, che emerge soltanto nella discussione, nel dialogo e nel rispetto del pensiero individuale, sui quali non può imporsi alcuna ideologia. Le censure, il testo unico, l‟insegnamento di una storia incompleta e manipolata dal regime fascista avevano annientato la libertà d‟insegnamento e allo stesso tempo la ricchezza della differenza, l‟emancipazione e il confronto che rappresentano i principi assiomatici della pedagogia, ma anche i traguardi ideali dell‟educazione.

Art. 34: La scuola è aperta a tutti. L‟istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita. I ca-paci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi. La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso28.

Il libero accesso di tutti i cittadini all‟istruzione non può non essere considerato una conquista, ma

«si deve vedere se quest‟affermazione programmatica possa essere valida fino a che non vi sono eguali condizioni di partenza, finché non esistono i presupposti reali per poter frequentare la scuo-la»29. Infatti profondamente significativi sono i rapporti tra analfabetismo e miseria che si registra-rono nel 1948.

Nell‟Italia Settentrionale e Centrale, dal Piemonte, con un reddito pari a 171,8 (Italia = 100), e il 2% di analfabe-ti, si passa all‟Emilia Romagna con 106,3 di reddito e il 7% di analfabeanalfabe-ti, per giungere alle Marche con il 74,7 di reddito e il 12% di analfabeti.

Nell‟Italia Meridionale e Insulare, dalla Campania con 61,8 di reddito e il 20% di analfabeti, si passa alla Sicilia con il 58,9 di reddito e il 26% di analfabeti, per giungere alla Calabria con il 51,8 di reddito e il 32% di analfabe-ti30.

Lo stato di indigenza di molte famiglie non consentiva l‟acquisto di testi e materiali scolastici e ne-cessario diveniva l‟apporto dei figli nel lavoro; la disoccupazione non permetteva l‟aumento di pro-duzione e riduceva la possibilità per i Comuni di costruire edifici scolastici necessari o di rendere efficienti quelli esistenti; l‟isolamento che comportava la campagna o la montagna generava

27 Costituzione della Repubblica italiana, cit., p. 10.

28 Ivi, p. 11.

29 B. Betta, Diritti della scuola e della cultura nello stato democratico, cit., p. 219.

30 AA.VV., Analfabetismo nelle regioni del Sud, in “Aggiornamenti sociali. Rivista mensile”, a. VIII, n. 3, marzo 1956, p. 188.

40 l‟impossibilità di accedere all‟istruzione o comunque un analfabetismo di ritorno dovuto al mancato esercizio di quanto si era appreso nella scuola elementare.

«La cultura vera fiorisce solo nella completa libertà»31, pertanto ogni ostacolo che impediva l‟esercizio dei propri diritti e doveri rendeva gli enunciati della Carta Costituzionale delle mere illu-sioni.