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La tutela obbligatoria: ambito di applicazione e disciplina

Nel documento Il licenziamento disciplinare illegittimo (pagine 40-43)

CAPITOLO 2 IL REGIME SANZIONATORIO PER IL LICENZIAMENTO ILLEGITTIMO INTIMATO AI LAVORATOR

II.1 La tutela obbligatoria: ambito di applicazione e disciplina

Dopo aver esaminato l’area di legittimità del recesso datoriale (la cui ampiezza viene delimitata attraverso il rinvio alle nozioni di giusta causa e del giustificato motivo), occorre ora soffermare l’attenzione sul correlato profilo patologico dell’ingiustificatezza del licenziamento, e quindi sulle conseguenze sanzionatorie all’uopo previste dall’ordinamento. Prima di affrontare il tema in parola, si ritiene utile ricordare che fino a pochi anni fa, autorevole dottrina117, sosteneva, che la stabilità del posto di lavoro fosse: “un valore da promuovere e tutelare poiché esprime sul piano giuridico il principio della conservazione del rapporto di lavoro fino a quando il patto che lega il lavoratore al datore di lavoro non s’infranga sullo scoglio dell’inadempienza notevole degli obblighi contrattuali, così come avviene per tutti i contratti di scambio sul mercato”. L’idea della flessibilità in uscita dal lavoro, poco a poco penetrata nel sistema giuridico, lungi dall’essere concepita alla stregua di un principio giuridico di carattere generale118,

117 M. Napoli, L'elogio della stabilità, in Quaderni di Diritto del Lavoro e delle relazioni industriali, 26 (1), Torino 2002; Nello stesso senso, cfr. P. Albi, Stabilità del rapporto di lavoro, licenziamento disciplinare e valutazione della proporzionalità, in Variazioni su temi di diritto del lavoro, fascicolo n. 3/2016, p. 553; Nello stesso senso C. Mortati, che

osservava che una occupazione che “fosse saltuaria e intermittente assumerebbe un carattere aleatorio che lascerebbe non soddisfatta la pretesa” – Cfr. C. Mortati, Il diritto

al lavoro secondo la Costituzione della Repubblica, in AA.VV., Problemi di diritto pubblico nell’attuale esperienza costituzionale repubblicana. Raccolta di scritti, III,

Milano, Giuffrè, 1972, p. 147.

118 Ogni normativa finora intervenuta sull’ambito di applicazione dell’art. 18 S.L. lungi

dall’essere agganciata a principi giuridici d’ordine generale, pone delle limitazioni quale contro-misura a problematiche legate al contesto socio-economico. Tant’è che il legislatore, per un verso pone gli interventi normativi alla risoluzione di criticità straordinarie (e temporanee), dall’altra, incide in maniera definitiva, come se tali criticità fossero destinate a restare indefinitivamente irrisolte. Lasciando così sottendere che siano causate da una legislazione profondamente inadeguata ai tempi e perciò da riformare radicalmente

deriva(va) invece, da una necessità pratica119, ossia quella di fungere da

contrappeso al calo della produttività delle imprese. Lo Statuto dei Lavoratori (L. 300/1970), postula(va) infatti il principio per cui la reintegra fosse l’unica condizione sufficiente e necessaria che avrebbe consentito di rimediare al torto subito ripristinando lo “status quo ante” al licenziamento illegittimo. Ciò parallelamente a quanto di regola avveniva (e tutt’ora avviene) nel diritto comune, in materia di contratti a prestazioni corrispettive. La c.d. tutela obbligatoria invece, prevista dall’art. 8 della L. 604/1966120 (così come sostituito dall’art. 2

della Legge 108/1990) era circoscritta ai datori di lavoro privati, imprenditori e non, che occupino alle loro dipendenze fino a quindici lavoratori121. Sicché, quando il giudice avesse accertato con sentenza la mancata ricorrenza degli estremi di un licenziamento per giusta causa o giustificato motivo, rimetteva al datore di lavoro la scelta tra la riassunzione del prestatore di lavoro122 o la corresponsione di una somma a titolo di risarcimento del danno123. L’obbligazione de qua, dapprima generalmente ritenuta come facoltativa da parte del datore di lavoro, veniva, in un secondo momento, ad opera della giurisprudenza della Suprema Corte, configurata come di tipo alternativo. Nel senso che, spettava al

119 ovvero quella di fare fronte ad un rallentamento della produttività delle imprese 120 Al fine di favorirne la consultazione si riporta integralmente il testo dell’art. 8 della L.

n. 604 del 1966: ”Quando risulti accertato che non ricorrono gli estremi del licenziamento per giusta causa o giustificato motivo, il datore di lavoro è te nuto a riassumere il prestatore di lavoro entro il termine di tre giorni o, in mancanza, a risarcire il danno versandogli un’indennità di importo compreso fra un minimo di 2,5 ed un massimo di 6 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo al numero dei dipendenti occupati, alle dimensioni dell’impresa, all’anzianità di servizio del prestatore di lavoro, al comportamento e alle condizioni delle parti. La misura massima della predetta indennità pur essere maggiorata fino a 10 mensilità per il prestatore di lavoro con anzianità superiore ai dieci anni e fino a 14 mensilità per il prestatore di lavoro con anzianità superiore ai venti anni, se dipendenti da datore di lavoro che occupa più di quindici prestatori di lavoro”

121 il campo di applicazione dell’art. 8 viene esteso alle organizzazioni di tendenza (a

prescindere delle dimensioni dell’organico aziendale del datore); Per quanto attiene all’onere probatorio circa il requisito dimensionale ai fini della tutela obbligatoria anziché di quella reale, si ritiene che spetti al datore di lavoro (Cass. n. 7227/2002)

122 Pur concretizzandosi come una facoltà di scelta, la norma pone un obbligo ben preciso

in capo al datore di lavoro, quello della riassunzione, l’indennità, invece viene concepita come la sanzione per il mancato assolvimento del predetto obbligo.

123 Sulla natura obbligatoria del regime di tutela cfr. C. Grassetti, Lo statuto dei lavoratori e i limiti al potere di recesso da parte del datore di lavoro, in DL, 1967, I, 3; D.

Napoletano, Il licenziamento dei lavoratori alla stregua della nuova disciplina

datore, la scelta tra la riassunzione al lavoro124 e il pagamento della somma

risarcitoria, fermo restando, in ogni caso, il diritto per il prestatore di lavoro di ricevere almeno un’indennità qualora il contratto si fosse risolto. La Suprema Corte, ha osservato che “ove trovi applicazione, non già il regime di tutela cosiddetta reale del posto di lavoro, introdotta dall’art. 18 Stat. Lav., bensì quello della cosiddetta tutela obbligatoria, prevista dall’art. 8, legge n. 604/1966, il

licenziamento seppure illegittimo, interrompe comunque il rapporto125”. Da ciò

ne discendevano due conseguenze rilevanti, la prima è che l’atto illegittimo, pur non essendo assistito da giusta causa o giustificato motivo, rimaneva comunque idoneo a determinare l’estinzione del rapporto di lavoro126, la seconda è che l’offerta datoriale di riassumere il lavoratore doveva qualificarsi come una vera e propria nuova proposta contrattuale, a cui pertanto andava applicata l’apposita normativa in materia. Sul versante dell’entità risarcitoria, invece, va precisato, che l’ammontare della stessa, veniva modulato dal giudice, all’interno di una forbice che varia tra un minimo di 2,5 mensilità, ed un massimo di 6 mensilità127 (incrementabile fino a 14 mensilità in caso di elevata anzianità di servizio). Ai fini dell’individuazione della somma spettante, il giudice doveva apprezzare diversi parametri, quali: l’anzianità di servizio dei lavoratori, le dimensioni aziendali, il comportamento ravvisato durante il processo. In aggiunta il giudice doveva tenere altresì conto, delle eventuali disposizioni presenti nei contratti collettivi di lavoro stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi (comma 3, art. 30, Legge n. 183/2010). L’importanza che assume l’indennità in parola, deriva “dall’assimilazione giuridica” (operata dal legislatore) della stessa come sostitutiva del diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro128. Tant’è che anche

124 peraltro da effettuarsi entro tre giorni (termine ritenuto dalla giurisprudenza

ordinatorio)

125 Cass. sez lav. n. 5715/1986

126 nel caso di mancata comunicazione dei motivi di licenziamento, la sanzione

dell’inefficacia ex art. 2 L. 604/1966, comporta l’inidoneità del recesso a risolvere il rapporto ed il diritto del lavoratore a conseguire non l’indennità risarcitoria di cui all’art. 8 della L. 604/1966, ma bensì il risarcimento del danno secondo le regole civilistiche, quantificabile in relazione alle retribuzioni non percepite nel periodo compreso tra il licenziamento e la sentenza (Cass. S.U. n. 508/1999, Cass. n. 12079/2003)

127 al fine del computo viene considerata l’ultima retribuzione globale di fatto

128 sotto il profilo prettamente giuridico, è ravvisabile una sorta di fictio iuris, posto che

“omologa” tra loro due situazioni completamente diverse, il percepimento di una indennità, e l’ottenimento della reintegra. In realtà, tale fictio - nell’immediato - va a

nell’ipotesi in cui, per qualsivoglia ragione, il rapporto di lavoro non possa ricostituirsi, come il rifiuto dello stesso lavoratore, il diritto al percepimento di tale indennità resta comunque fermo (Corte Cost. n. 44/1996; Cass. 12442/1998).

II.2 Il regime sanzionatorio previsto dall’art. 18 St. Lav. (post riforma

Nel documento Il licenziamento disciplinare illegittimo (pagine 40-43)