• Non ci sono risultati.

5. Redistribute: condividere copie della propria copia originale, rivista o remixata della risorsa con altri, ad esempio pubblicandone una copia

2.2 Licenze aperte

Aprire i contenuti è, in fondo, una questione legale. Se la rete permette infatti di duplicare, modificare e condividere risorse praticamente a costo zero, questo non è sufficiente in quanto, come riporta una frase spesso usata dagli attivisti dell’Open Education, Internet enables but copyright forbids.

Il copyright, in italiano traducibile come diritto d’autore, è un termine legale per descrivere i diritti concessi ai creatori di risorse, inclusi i materiali didattici. Il copyright è generalmente automatico: nel momento stesso in cui avviene una registrazione in qualsiasi forma di una risorsa, ad esempio nel momento in cui si carica su una pagina web un testo o un’immagine, si attiva il copyright: l’autore ne è automaticamente proprietario e ha il diritto esclusivo di riprodurlo, distribuirlo, rappresentarlo e autorizzarne l’uso. Il copyright ha lo scopo nobile di rispettare e riconoscere il lavoro creativo, ed è un meccanismo per incoraggiare la creatività umana e lo sviluppo di nuove risorse. Tuttavia, nell’era del digitale, in cui le risorse possono essere facilmente reperite online e la cultura della condivisione è ormai diffusa (Jenkins et al. 2015), i vincoli legali rappresentano un ostacolo per i processi creativi e innovativi. È per questo che è nato il copyleft, un concetto che non mette in discussione l’esistenza del diritto d’autore ma ne fornisce una diversa interpretazione, assegnando in modo differente i diritti ai diversi soggetti coinvolti. Ad esempio, se nel copyright la maggior parte dei diritti, incluse la riproduzione e la modifica, sono appannaggio dell’autore, in molte licenze di tipo copyleft questo diritto è trasferito all’utilizzatore. Le prime licenze copyleft sono nate nel mondo del software, dove Richard Stallman nel 1989 crea la GNU General Public License (GNU GPL), una licenza che sancisce che i programmi che l’adottano devono continuare a garantire ai loro utenti quattro libertà: di eseguire il programma per qualsiasi scopo, di studiare come funziona il programma e di modificarlo in base alle proprie necessità, di migliorarlo e di distribuirne pubblicamente copie originali o migliorate, in modo tale che tutta la comunità ne tragga beneficio (Aliprandi 2006).

Partendo dall’esperienza delle licenze GNU-GPL, Lawrence Lessig, un professore di legge di Harvard, crea nel 2001 Creative Commons (CC), un’organizzazione non-profit che si da l’obiettivo di creare e promuovere una nuova serie di licenze aperte. Il punto di partenza di Lessig è che la formula all rights reserved contraddice lo scopo primario del copyright, che non può essere quello di arricchire gli editori e gli autori o di concedere loro un’indebita influenza sullo sviluppo e sulla distribuzione della cultura, ma piuttosto quello di promuovere il progresso scientifico e artistico (Lessig 2004).

Figura 5: Le licenze Creative Commons, tra copyright e pubblico dominio. Autore:

Simone Aliprandi. Licenza: CC BY-SA 3.0

Come si vede nella figura 5, le licenze Creative Commons rappresentano una via di mezzo tra il copyright (all rights reserved) e il pubblico dominio (no rights reserved) e propongono il concetto di some rights reserved (alcuni diritti riservati). In questo senso è l’autore di un’opera che decide quali diritti riservarsi e quali concedere liberamente. Le licenze Creative Commons si applicano a tutte quelle opere che per legge sono considerate tutelabili, come libri, siti web, articoli, filmati, immagini, composizioni musicali e materiali didattici; non si applicano invece a idee, informazioni di fatto o altri elementi non protetti da copyright.

Attualmente, le licenze Creative Commons offrono quattro opzioni agli utenti che decidono di utilizzarle, che possono essere combinate a seconda di quello che si vuole ottenere:

 BY – Attribuzione (Attribution): è l’unica clausola obbligatoria, e permette che altri copino, distribuiscano, mostrino ed eseguano copie dell’opera e dei lavori derivati da questa a patto che vengano mantenute le indicazioni di chi è l’autore.

 NC - Non Commerciale (Non Commercial): permette che altri copino, distribuiscano, mostrino ed eseguano copie dell’opera solo per scopi non commerciali.

 ND – Non opere derivate (No Derivatives): permette la ridistribuzione, commerciale e non commerciale, purché le opere non siano modificate e siano complete.

 SA – Condividi allo stesso modo (ShareAlike): permette che altri mixino, adattino, e distribuiscano l’opera, purché lo pubblichino con una licenza identica a quella dell’opera originale.

Figura 6: Le possibili combinazioni delle licenze Creative Commons. Autore: Creative Commons. Licenza: CC BY-SA 3.0

Scegliere quali tra clausole applicare alla propria licenza, in varie combinazioni che sono presentate nella figura 6, ha delle ripercussioni non solo pratiche ma anche di principio. Per esempio, la licenza CC-BY-ND richiede a tutti gli utenti di riconoscere l’autore (BY) ma non permette di modificare la risorsa e crearne derivati (ND), riducendo di gran lunga la riusabilità della risorsa e rendendo a tutti gli effetti quella risorsa non più una

OER. Un’altra forma di licenza controversa ma ampliamente utilizzata è quella CC-BY-NC, dove la clausola NC proibisce l’uso commerciale della risorsa. La condizione NC, che a prima vista sembra fornire una protezione contro la trasformazione da gratis a oneroso, in realtà limita anch’essa l’uso della risorsa, e va quindi utilizzata prendendo in considerazione tutte le variabili, soprattutto se consideriamo che l’obiettivo di queste licenze è la massima circolazione della conoscenza.

Per quanto continuino ad esistere altre licenze aperte, fin dalla loro creazione le licenze Creative Commons sono state riconosciute come lo standard per i contenuti aperti. È celebre la frase “L’Open Content è morto, lunga vita all’Open Content” con la quale David Wiley riconobbe nel 2002 la superiorità delle licenze Creative Commons rispetto alla licenza Open Publication Licence (OPL) da lui creata precedentemente, dichiarando che non ci sarebbero più stati sviluppi sulla licenza OPL. La diffusione che le licenze CC hanno raggiunto in una ventina d’anni è impressionante. Molti siti web di condivisione di contenuti, tra cui YouTube, Flickr e Slideshare, consentono agli utenti di scegliere una licenza CC per i materiali creati. Il contenuto dei siti dei governi di vari Stati, tra cui Brasile, Bulgaria, Ecuador, Georgia, Grecia, Israele, Paesi Bassi, Nuova Zelanda, Polonia, Serbia, Spagna e Tailandia, è pubblicato con licenze Creative Commons, così come parte dei contenuti pubblicati sul sito Internet del governo statunitense. Altri progetti molto noti che usano licenze CC sono OpenStreetMap, i TED Talks, e i progetti della Wikimedia Foundation come Wikipedia. Il CERN pubblica i suoi contenuti con licenze Creative Commons, giudicandole come lo strumento migliore per pubblicare tra l’altro i risultati degli esperimenti svolti tramite il Large Hadron Collider. In Italia, licenze CC sono utilizzate, tra gli altri, dalla Camera dei Deputati e dall’ISTAT. Anche in ambito educativo, le licenze CC sono in assoluto le licenze aperte più utilizzate, per esempio dal progetto OpenCourseWare del MIT citato in precedenza. Per capire la portata delle licenze CC suggeriamo di leggere il rapporto The State of the Commons che la Fondazione CC pubblica ogni anno e che contiene una stima della quantità di risorse rilasciate a livello globale con queste licenze, nonché un’analisi dei trends legati alle licenze aperte.

In ultima analisi, le licenze aperte permettono agli autori di risorse educative di esercitare i propri diritti d’autore e di gestire l’accesso e il controllo della propria proprietà intellettuale sulla base delle preferenze individuali. Con queste licenze gli autori possono decidere, semplicemente scrivendo su una risorsa che questa è rilasciata con una licenza aperta, di condividere i loro contenuti con tutti a certe condizioni, contribuendo a creare degli spazi aperti nella rete dove concedere accesso legale alla loro produzione.