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Il licenziamento per giusta causa conseguente ad un fatto lecito ed extra lavorativo: alcuni dubbi applicat

Nel documento Il licenziamento disciplinare illegittimo (pagine 104-107)

CAPITOLO 3 LE CONSEGUENZE DEL LICENZIAMENTO DISCIPLINARE ILLEGITTIMO ALLA LUCE DEL D.LGS N 23/

III.7 Il licenziamento per giusta causa conseguente ad un fatto lecito ed extra lavorativo: alcuni dubbi applicat

Come precedentemente ricordato (al capitolo I), la giusta causa di licenziamento può configurarsi anche rispetto a condotte di per sé, astrattamente lecite, ma che se riferite ad uno specifico contesto lavorativo, siano (oggettivamente) capaci di produrre un gravissimo nocumento al datore di lavoro, o più correttamente all’attività produttiva dello stesso. A tal fine infatti, possono rilevare talune condotte del prestatore che pur riguardando la sfera privata, siano di gravità tale da minare in radice il vincolo fiduciario. In particolare, le condotte in parola assumono rilevanza se contestualizzate alla posizione ricoperta dal prestatore di lavoro all’interno dell’azienda ovvero alle circostanze di tempo e di luogo, o più in generale, ad ogni fattore/circostanza che possa fungere da collegamento esterno- interno e risultare perciò in contrasto con gli interessi materiali o immateriali dell’azienda. Ebbene questo consolidato orientamento della giurisprudenza, per gli assunti post 7 marzo 2015, potrebbe incontrare delle serie difficoltà applicative. Infatti, in base al nuovo regime di tutele per il licenziamento illegittimo, il giudice deve in primo luogo accertare la sussistenza materiale del fatto, cioè deve limitarsi a prendere cognizione del fatto nel suo naturale accadimento, lasciando fuori ogni altra valutazione che si risolva in un sindacato giuridico dello stesso, o sulla proporzionalità della sanzione. Perciò se un fatto, pur essendo materialmente sussistente, risulti ictu oculi privo di antigiuridicità252, il giudice, ha l’obbligo (sic et simpliciter) di ritenerlo come insussistente253, essendogli preclusa ogni altro tipo di indagine sul fatto diversa da quella utile ad appurare l’esistenza materiale del fatto in senso puramente naturalistico. Quindi nel caso in cui si versi in un licenziamento per giusta causa in cui si contesti una condotta non ritenuta (espressamente) dalla legge o da norme pattizie come illecita o sanzionabile, al giudice non resterebbe da far altro che ordinare la

252 In questo caso infatti non potrebbe parlarsi di sindacato utile alla qualificazione

giuridica del fatto posta la non necessità di alcun accertamento al riguardo

253 Pur restando l’onere probatorio in capo al datore di lavoro, quanto all’accertamento

della sussistenza del fatto, al giudice parrebbe preclusa ogni attività che in qualche modo postuli, anche indirettamente, un giudizio valutativo sulla proporzionalità della sanzione irrogata

reintegrazione e condannare al risarcimento del danno254.Secondo la disposizione degli artt. 2 e 3 del D.lgs. 23/2015, l’attività del giudice si scinde in due distinti momenti, in primo luogo l’esistenza formale del fatto (accertamento della sussistenza o insussistenza del fatto), e solo qualora ritenga il fatto sussistente, deve passare al secondo step che prevede una valutazione più approfondita che include quella sulla proporzionalità del fatto. La scissione in due diversi momenti, viene resa possibile proprio dalla voluta e netta distinzione tra fatto materiale e giuridico. Il legislatore ha dunque voluto ancorare la sussistenza del fatto al riscontro immediato dei tratti materiali dello stesso. Ne deriva che se un fatto non si appalesi, già sotto il profilo materiale subito come antigiuridico, l’accertamento del fatto risulterà negativo. La contestualizzazione del fatto, richiederebbe invece, oltre all’accertamento “formale” del fatto un’ulteriore attività che sia protesa a valutare più nel dettaglio le circostanze concrete del fatto. Talvolta infatti può accadere che sia necessario appurare ulteriori elementi rispetto alla semplice “naturale manifestazione” del fatto, ed in particolare l’impatto psicologico di una determinata condotta all’interno di una specifica realtà aziendale. A titolo puramente esemplificativo, può richiamarsi l’ipotesi di una condanna penale (per fatti intervenuti nella sfera privata255), in cui nel secondo grado di giudizio, venga

appurata l’innocenza penale dell’incolpato. Tale condotta, dal punto di vista

254 Cfr. Tribunale di Milano, sent. 5/10/2016, in una vicenda ricadente nel campo di

applicazione del D.lgs. 23/2015, in cui viene ritenuto che la mancata costituzione della resistente, ed il correlato inassolvimento dell’onere di allegazione e prova, non può che integrare gli estremi della manifesta insussistenza della giusta causa adotta, cui seguiranno le conseguenze di cui all’art. 3, 2 ̊ comma D.lgs 23/2015, con ordine di reintegrazione del ricorrente e condanna della società al pagamento delle retribuzioni maturate dalla data del licenziamento al saldo effettivo, oltre al pagamento dei contributi assistenziali e previdenziali, e delle spese di lite, che liquida come in dispositivo

255 Cfr. anche la sent. Cass. n. 2168/2013, in cui si era ritenuta valida, ai fini del

licenziamento l’equiparazione ad una sentenza di condanna dell’intervenuto patteggiamento della pena. Si tratta di un licenziamento intimato per giusta causa a un dipendente postale che aveva patteggiato una pena per il reato di violenza sessuale, attribuendo rilevanza al forte disvalore sociale dei fatti e all’eco avutane dalla stampa, nonché alla posizione del dipendente, quale coordinatore di circa trenta unità addette al recapito, in ragione della responsabilità e preminenza rispetto ai componenti della squadra, attribuendo rilievo al fatto che le condotte poste in essere fossero connotate da un “abuso delle funzioni di guida e responsabilità connesse alla veste di capo…”. Cfr. 2550/2015; R. Fabozzi, Rilevanza dei comportamenti extralavorativi e risoluzione del rapporto di

lavoro, in MGL, 2015 492 ss.; F. M. Gallo, Quando l’obbligo di fedeltà si estende ai comportamenti extralavorativi, in LG, 2015, 599; C. Pisani: “Il bancario pistolero”: il licenziamento per fatti extralavorativi di rilevanza penale, in MGL, 2014, 424 ss

datoriale, pur non essendo penalmente rilevante, potrebbe però essere comunque ritenuta idonea ad incidere irrimediabilmente il vincolo fiduciario in ambito lavorativo. Circoscrivere, l’accertamento del fatto al suo naturale (ergo materiale) accadimento, comporterebbe quindi lasciare fuori dal giudizio sulla “sussistenza del fatto”, ogni fattispecie/circostanza che richieda anche una minima valutazione utile ad evincere la compresenza non solo degli elementi materiali del fatto ma anche di quelli immateriali. La c.d. contestualizzazione del fatto, implica invece una valutazione complessiva sia del fatto materiale che di tutte le circostanze che rendono tale fatto disciplinarmente rilevante dal punto di vista giuslavorativo. Senza un siffatto tipo di valutazione, alcune volte, un fatto, pur mettendo in crisi la futura prosecuzione del rapporto di lavoro, risulterebbe privo di qualunque antigiuridicità. In conclusione, l’accertamento della sussistenza del fatto dell’inadempimento contrattuale ovvero dell’intervenuta lesione del vincolo fiduciario, non può prescindere anche da una attività giuridico-valutativa da parte del giudice, altrimenti si giungerebbe al paradosso, che talune condotte, seppur gravissime, dovrebbero ritenersi processualmente non censurabili.

Nel documento Il licenziamento disciplinare illegittimo (pagine 104-107)