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Sin dagli albori, il programma narratologico si è contraddistinto per due tensioni opposte (Bernini &

Caracciolo 2013): per un verso, la narratologia classica ha eletto il campo della letteratura a oggetto di studio privilegiato individuando in un medium specifico – il testo letterario – l’ambito di riferi-mento della narrazione; dall’altro lato, un’attitudine a tematizzare il marchio distintivo della dimen-sione narrativa indipendentemente dal mezzo in cui viene raccontata una storia ha caratterizzato so-prattutto le nuove teorie della narrazione. Laddove l’approccio strutturalista aveva individuato nel discorso del racconto il modello ideale di tutte le narrazioni, la narratologia post-classica (Herman 1999) muove dall’eterogeneità del concetto di narrazione per proporre una prospettiva transmodale e

“transmediale” (Hoffmann 2010; Ryan 1991, 2004). Tale prospettiva si sposa con il superamento dell’idea che la narrazione sia un oggetto e con la consapevolezza che si tratti piuttosto di un processo che, in quanto tale, può trovare realizzazione in diversi media.

La svolta post-classica si concretizza in teorie anche molto differenti tra loro che muovono da criteri e metodologie di indagine disparati. A rappresentanza di questa eterogeneità possono essere

individuate alcune aree ampie di analisi che confluiscono nell’approccio di derivazione psicoanali-tica, nella prospettiva che dialoga con le scienze cognitive e nell’approccio interno alla teoria dei mondi possibili. Le prospettive di ispirazione psicoanalitica (ad es. Brooks 1984) delineano una teoria della narrazione incentrata sul concetto di trama: il focus su tale concetto è legato all’idea che l’indi-viduazione di trame sia una necessità psicologica connaturata alla sfera del desiderio di ciascun essere umano che guiderebbe la strutturazione e la conseguente attribuzione di significato all’esistenza. Ap-pannaggio dell’approccio cognitivo (Herman 2002) è lo studio dei rapporti tra narrazione e processi cognitivi. Infine, la teoria dei mondi possibili (Pavel 1986) identifica le narrazioni nei termini di mondi secondari che si relazionano al mondo reale secondo un rapporto biunivoco reso possibile dalle regole di compossibilità della logica modale: in virtù di una percezione multipla della categoria del reale, sul piano mentale è possibile postulare la coesistenza temporanea di due stati di cose; questo assunto guida l’elaborazione delle narrazioni permettendoci di credere momentaneamente che quanto leggiamo in una storia sia vero in quel mondo narrativo pur non credendo, di fatto, che sia altrettanto vero nel mondo effettivo.

Ad accomunare approcci tanto diversi tra loro è il tentativo di superare le criticità della narra-tologia classica integrando le categorie di analisi tradizionali con l’indagine delle molteplici forme narrative possibili. Il tratto di unione di tali forme narrative è il fatto che si tratti di modalità di co-struzione e interpretazione del mondo (Goodman 1978) caratterizzate dalla capacità di catturare e trasportare (Gerrig 1993) in dimensioni possibili lontane dall’immediato. L’idea che il concetto di narratività racchiuda caratteristiche simili e chiami in causa definizioni non ristrette all’ambito te-stuale che contribuiscono ad estendere il territorio del racconto ha favorito una svolta pragmatica secondo la quale determinare le condizioni di narratività di certe rappresentazioni è un’operazione che richiede costantemente di mettere in relazione le risorse cognitive con quelle semiotiche e con la componente sociale in cui l’esperienza narrativa si articola (De Blasio 2009). Un programma che tenga conto di un’analisi di questo tipo – un’analisi che si sposta «from an essentialist, universal, and static understanding of narratological concepts to seeing them as fluid, context-determined, proto-typical, and recipient-constituted» (Alber & Fludernik 2010, p. 12) – potrebbe offrire un’auspicabile prospettiva integrata della narrazione.

All’interno di un panorama di studi post-classici tanto variegato, l’approccio cognitivo (nelle varie declinazioni in cui esso si esplica: dalla narratologia naturale alla narratologia cognitiva sino alla più recente neuro-narratologia) è quello che ha determinato una svolta (the cognitive turn) so-stanziale nell’ambito delle scienze umane spingendo l’indagine narratologica oltre i confini del testo e riconoscendo alla narratività una funzione cognitiva essenziale. Con l’etichetta ‘narratologia cogni-tiva’ si fa riferimento al programma di studi interno alla narratologia post-classica che individua nei

processi mentali a fondamento dell’abilità di elaborare narrazioni il focus di interesse primario. Da questo punto di vista, la nozione di mente al centro dell’indagine cognitivista si rivela centrale per delineare una spiegazione dei processi a fondamento – delle condizioni di possibilità – dell’esperienza narrativa prima e delle proprietà alla base dei testi narrativi poi (Margolin 2003). La spinta di avvio verso un connubio tra narratologia e scienze della mente (Bamberg 2007; Richardson & Steen 2002) nasce quando si comincia a individuare nella cognizione dei meccanismi di tematizzazione dell’espe-rienza e dell’agire secondo unità di organizzazione spazio-temporale; a partire da questa forza pro-pulsiva, la mente diviene il garante ultimo della narratività (Herman 2002) e la narratologia cognitiva si configura come mezzo di indagine valido a offrire un’ipotesi plausibile della narrazione come pro-cesso e non più come oggetto (ad es. Gerrig 1993; Herman 2002). Per questa ragione, tale disciplina sembra rappresentare la frontiera del futuro (Calabrese 2009).

Mentre gli esordi di una narratologia interessata ai processi cognitivi si sono caratterizzati per un’indagine della narrazione attuata in contesti costruiti artificialmente, attualmente la narratologia cognitiva elegge a suo oggetto di indagine le narrazioni naturali, vale a dire le narrazioni che caratte-rizzano gli effettivi scambi comunicativi (Herman 2003a). Il concetto di narrazione naturale, e le implicazioni che tale concetto può avere sul piano delle teorie della narrazione letteraria, rappresenta un presupposto dell’agenda narratologica di ispirazione cognitiva (Fludernik 1996; Ochs & Capps 2001) poiché fa da ponte tra l’accezione di narratività come caratteristica delle strutture rappresenta-zionali e l’accezione che fa riferimento alla capacità di elaborare le varie forme letterarie. Da questo punto di vista, la narratività intesa come proprietà cognitiva della rappresentazione mentale si riflette nelle narrazioni naturali del discorso quotidiano e spontaneo che, a loro volta, costituiscono «the basic incarnation of storytelling» (Fludernik 1996, p. 332), il fondamento a partire dal quale è possibile costruire narrazioni via via più articolate. In virtù di un simile ruolo di interfaccia, la nozione di narrazione naturale, insieme al riferimento al lettore reale, si presta come caso esemplificativo da cui partire per indagare i meccanismi alla base della narrazione in generale.

Secondo Fludernik (1996, 2009), in particolare, la conversazione quotidiana presenta dei pas-saggi o slot comunicativi utili ad orientarsi al suo interno che corrispondono agli stessi elementi co-gnitivi necessari per riconoscere una struttura narrativa all’interno di un testo. Tali aspetti sono legati ai meccanismi di “narrativizzazione” messi in atto in modo spontaneo dagli individui. Il concetto di narrativizzazione è ripreso dalla nozione di “naturalizzazione” proposta da Culler (1975), il quale riconduceva l’interpretazione di un testo a una procedura di “sintetizzazione” degli aspetti devianti o insoliti entro categorie reali note. Fludernik (1996, p. 17) impiega il concetto di narrativizzazione per riferirsi a un processo simile secondo il quale il lettore narrativizza il testo proiettandovi degli «holi-stic situation schemata» ricavati dal repertorio di azioni e situazioni reali immagazzinate nella mente.

In questo processo, l’interpretazione del testo avviene grazie all’applicazione di schemata narrativi che sono prima di tutto frames elaborati nell’interpretazione della realtà quotidiana e che, per tale ragione, conferiscono al processo di comprensione del testo stesso un carattere di esperenzialità: in-tegrando il nuovo con ciò che è familiare grazie all’applicazione di frames di riferimento, la narrati-vizzazione permette di elaborare i testi narrativi sulla base del loro «alignement with experiential cognitive parameters» (Fludernik 1996, p. 313) che sono ricavati dall’esperienza reale. Il senso di un testo viene cioè costruito attivamente dai soggetti che ne fanno esperienza, imponendovi dei frames cognitivi. In virtù di questo legame con il concetto di esperenzialità, il processo di narrativizzazione viene ad assumere un carattere fortemente mimetico connesso all’embodiment degli individui: come sottolinea Giovannetti (2012, p. 114), l’elaborazione narrativa si regge su una forma di «radicamento del racconto in un tipo di relazione “naturale”, incardinata sul corpo». Nel seguito del lavoro, all’in-terno di una discussione dei sistemi cognitivi a fondamento della narrazione, affronteremo la que-stione della relazione tra narrazione, esperenzialità ed embodiment.

Chiarito il riferimento alla dimensione della narrazione naturale, è necessario precisare che la narratologia cognitiva articola la sua indagine a partire da tre diversi modi di concepire la relazione tra mente e narrazione (Herman 2009): l’approccio processuale si incentra sullo studio dei processi psicologici attraverso cui i fruitori si relazionano alle storie nei vari media; l’approccio analogico si concentra sulla presentazione narrativa degli stati psicologici dei personaggi; l’approccio funzionale ha a che fare con il ruolo della narrazione in più ampi processi psicologici, ad esempio la costruzione del sé. L’approccio processuale parte dai modelli interni alla cosiddetta reader-response theory (ad es., Iser 1976), incentrata sull’idea che il testo sia una macchina pigra che necessita dell’apporto di conoscenze extratestuali da parte del lettore per essere interpretato, per proporre oggi una cognitive reception theory (Hamilton & Schneider 2002) fondata sull’analisi dei processi psicologici di chi produce e riceve storie. La prospettiva analogica, muovendo dalla corrispondenza tra funzionamento delle menti reali e delle menti finzionali, si interroga invece sulle strategie narrative utilizzate per presentare la dimensione psicologica dei personaggi e sui meccanismi implicati nell’elaborazione di tale dimensione. Come apparirà evidente, gli strumenti di indagine dell’approccio analogico si inter-secano con quelli dell’analisi processuale poiché è appannaggio della ricerca incentrata sui processi mentali di narratore e lettore comprendere come sia possibile elaborare una concezione antropomor-fica dei personaggi. Infine, l’approccio funzionale guarda alle possibili interazioni tra la narrazione e i nostri processi mentali focalizzandosi sul ruolo costitutivo delle storie nella costruzione di processi cognitivi come l’identità personale.

Nell’impiego combinato di questi approcci, la teoria della narrazione rappresenta un valido punto di partenza che orienta il dialogo tra scienze della mente e studi letterari, un dialogo bidirezio-nale che beneficia delle conquiste delle scienze cognitive per costruire nuovi metodi di analisi lette-raria e che, d’altra parte, utilizza i dati delle ricerche narratologiche come un serbatoio di risorse per la ricerca cognitiva nella misura in cui la narrazione è intesa come strumento di rappresentazione mentale del mondo (Herman 2013). Pur essendo un settore ancora in fieri non esente da problemati-cità (si veda ad es. Hogan 2013), la narratologia cognitiva ha dunque il merito di aver ridato slancio agli studi narratologici promuovendo il superamento di alcune impasse dell’approccio classico grazie all’utilizzo di nuovi metodi e strategie ai confini dell’ambito letterario, al crocevia tra la mente e la dimensione extratestuale della narrazione (Casadei 2011).