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L’analisi delle interviste qualitative alle utenti del servizio di orientamento al

In questo capitolo vengono riportate le considerazioni che si sono tratte da più di 30139 interviste in profondità che hanno preceduto la formulazione del questionario e la relativa somministrazione dello stesso a un campione di oltre il 50% delle utenti del servizio. L’analisi delle interviste svolte col metodo delle storie di vita applicate al proprio percorso occupazionale che le avrebbero portate a proporsi come lavoratrici autonome, ha avuto lo scopo di verificare le ipotesi di lavoro in funzione dell’elaborazione di un questionario maggiormente tagliato sulle utenti. La scelta delle 32 idee imprenditoriali (quindi le persone fisiche intervistate sono di più, anche se non si è sempre intervistato la totalità dei soci della società costituenda) è stata fatta seguendo una logica di inclusione di tutte le fasce di età e cercando di equidistribuire rispetto all’universo, di cui si conoscevano le caratteristiche di massima, la quota di straniere e la tipologia di idea (spesse volte servizi per l’infanzia o commercio, e molte altre volte idee difficilmente classificabili, ma comunque generalmente servizi alla persona140) che apparivano essere i caratteri più importanti.

Le aree nelle quali viene suddiviso il capitolo rispecchiano, sostanzialmente, le aree tematiche della traccia di intervista. Si è cercato nei limiti del possibile di citare testualmente le risposte. Tuttavia l’analisi dei dati, condotta attraverso il metodo ground theory, ha portato all’emersione di punti focali prima ritenuti marginali e al consequente ridimensionamento di altre invece sovrastimate nella loro influenza.

7.1 L’idea imprenditoriale fra marketing e attività elettiva

139 In totale sono state prese in considerazione 32 idee imprenditoriali. Di alcune delle idee imprenditoriali che erano portate avanti da più persone si sono intervistate due o più future soce.

140 Per un elenco dettagliato delle idee proposte, si rimanda alle appendici.

Una sintesi di quanto viene raccolto da queste interviste in merito all’idea specifica che le utenti stanno presentando – che di norma ha catturato la maggior parte dell’intervista in termini di tempo – può essere riassunta come una sorta di pendolo fra le esigenze di marketing e pianificazione di cui tutte le utenti, chi più chi meno, dimostrano di avere presente, e dall’altra la proposta di servizi che quasi sempre hanno un qualcosa di originale e strettamente legato alla sfera della propria autorealizzazione personale. Lungo questo continuum infatti che rispecchia il difficile incontro fra lavoro autonomo e donne (Alteri, Ferrucci, Dota, 2008) si potrebbero individuare le idee imprenditoriali, pur nella consapevolezza che i due poli non sono vicendevolmente escludentesi e che comunque la presenza di attività elettive è dominante.

Se si volesse fare una statistica dei progetti presentati al primo incontro (che possono essere sensibilmente diversi da quelli poi effettivamente proposti al vaglio dei valutatori che daranno o meno dei sussidi finanziari), probabilmente sarebbe l’asilo nido (o varianti, come qui si riporta col caso del Laboratorio Didattico per bambini) ad essere la moda. La genesi della propria idea imprenditoriale di asilo nido spesso è frutto di un percorso individuale di scoperta di bisogni latenti presenti nella società intesa come territorio in cui si vive. Il caso degli asili nido è il più indicativo perché coniuga da una parte la domanda inevasa di servizi per l’infanzia a cui gli asili comunali (e non) fanno fatica ad arginare (esperienza e analisi oggettiva), dall’altra è espressione dell’esperienza della necessità di averne uno a portata di mano allorquando si diventa mamme (esperienza soggettiva, il proprio vissuto). Infatti il problema della conciliazione in queste persone diventa spesso una considerazione del tipo «nel vincolo, l’opportunità». La volontà di trasformare la propria necessità dei servizi alla persona o per l’infanzia in un’esperienza prima negativa e poi un possibile progetto nel quale auto-impiegarsi, ha chiaramente una connotazione molto particolare, nella quale valgono senza dubbio anche le considerazioni di Baumol (Paci, 2005) circa la malattia dei costi. Valgono altresì tutte le considerazioni del filone di ricerca che prende in considerazione l’arretramento finanziario e culturale dello Stato a favore di enti locali e Terzo Settore estensivamente inteso (Burgalassi, 2008; Lavanco, Pisciotta, 2007; Pesenti, 2005).

Molto simile a questa accezione è il caso di un’idea che consisterebbe nell’aprire un parco divertimenti per bambini che nasce proprio dalla constatazione che nella zona di residenza delle proponenti (quartiere Appio) vi è un deficit di servizi e zone verdi per far svagare i bambini:

“Abbiamo individuato la zona, che è verde e vi è il parcheggio. Abbiamo tutte quante bambini e conosciamo tante famiglie come noi… noi non conosciamo [il settore] e non veniamo da giostrieri. [...] Abbiamo visto il successo che hanno avuto cose analoghe in altre zone. Tuttavia l’affitto sarebbe una somma importante [circa 10.000€ al mese], quindi se non abbiamo la disponibilità di avere un capitale subito è difficile far partire il progetto.” [24, 25 e 26 anni, diplomate, con figli, idea di giostre per bambini]

Come si vedrà anche oltre, questo progetto di giostre per bambini quindi si dimostra piuttosto difficile, soprattutto secondo il punto di vista di chi propone secondo il quale il sussidio pubblico potrebbe/dovrebbe in qualche modo facilitarle in quanto opera di carattere pro-sociale. Invece, ovviamente, l’affitto di locali e terreni segue logiche di mercato:

“Non è che è facile ottenere in affitto delle cose dai preti, poi a noi serve una parte.” “Ma noi attraverso il Comune, il Municipio...” “Ma quello è il clero, è diverso! Non c’entra niente né lo Stato, né l’Europa... Dipende dal buon cuore loro. Se vedono che l’iniziativa è per i bambini...”

[24, 25 e 26 anni, diplomate, con figli, idea di giostre per bambini]

Non bisogna tuttavia ritenere che tutte le attività potenzialmente utili nel sociale vengano scelte per il solo fatto di avere una potenziale domanda da soddisfare. Di norma, come si è detto, prevalgono servizi per i bambini, ma mai si è verificato il caso di donne che volessero impegnarsi, ad esempio, nella cura di persone anziane.

Anzi, capita facilmente che delle donne, soprattutto straniere, vogliano smettere di accudire persone anziane per fare qualcosa che non sia tanto migliore in quanto a gratificazioni perché in genere queste persone sono gratificate dalla cura verso le persone anziane. Piuttosto sono alla ricerca di lavori meno stressanti e più leggeri, anche in termini cognitivi. Anche in questo senso l’attività scelta appare essere una scelta prevalentemente elettiva anche se vincolata alle proprie aspettative realistiche.

Una di queste donne provenienti dall’America Latina ha pensato un progetto consiste nel mettere in piedi un’attività di import di oggetti tipici dell’Ecuador, soprattutto capi di abbigliamento della lana tipica del suo Paese di origine che vanta proprietà particolari:

“Ho venduto oggetti da Quito alle amiche italiane. In passato ho venduto XXXX [nota azienda di prodotti per la casa e il corpo che si effettua a domicilio], ma adesso vendo queste cose. Ho fatto 2000€ di acquisti tramite le Poste e poi ho rivenduto tutto.” [41 anni, sola con figlia, straniera, commercio].

Da notare che questa attività al momento è illegale e a nero, in quanto l’importazione risulta essere per motivi personali, mentre la rivendita è totalmente un giro a nero.

Infatti l’utente manifesta una scarsa conoscenza delle più basilari leggi in materia.

Non a caso dichiara che l’amica che dovrebbe diventare socia “si vergogna un po’ a vendere questi capi [...] vedo però che la mia amica è titubante, non ci crede molto [in questo progetto]”, mentre lei invece rivendica una sorta di maggiore imprenditività e propensione a svolgere un’attività nuova e con una componente di rischio: “Io invece non mi vergogno, mi porto anche la bambina con me [di 6 anni]

quando faccio il giro delle conoscenti che ho nel quartiere dove abito a Roma.”

Questo caso è del tutto speculare a quello di un’altra donna di mezza età dell’America Latina che vorrerebbe smettere di fare assistenza ad anziani per aprire una ristorazione veloce in franchising ancora poco nota in Italia perché basata su cibo vegetariano.

Il marketing del territorio quindi viene vissuto a ritroso: si conoscono dei problemi e successivamente si pensa di fare un’attività in proprio anziché pensare un bene o un servizio e successivamente studiare un piano di marketing. Infatti vi sono più di una situazione in cui l’attività che si vuole intraprendere nasce contestualmente alla constatazione di alcune carenze nel proprio vissuto quotidiano e dalla conoscenza di due o più persone che hanno vissuto lo stesso problema:

“Abbiamo pensato anche ad una location che fosse situata su zone poco servite, magari come quella vicine a casa nostra” [31 anni entrambe, istruzione terziaria, sposate con figli, asilo nido]

Infatti tipicamente la conoscenza fra le persone che stanno per diventare soce avviene all’asilo dove porta(va)no i figli, o per conoscenze ancora di più lunga data.

Tale forma di primo contatto fra potenziali future soce è anche emblematico di uno dei motivi fondamentali che portano le donne a mettersi in proprio. Taniguchi (2002) dimostrava infatti che le donne diventano lavoratrici autonome se hanno come condizione quasi necessitante già avuto diverse esperienze di lavoro (di qualsiasi tipo) e che si trovano, magari dopo una pausa dovuta alla cura di figli piccoli, a rientrare nel mercato del lavoro e tentato questa strada come valida alternativa. In questo caso non vi sarebbe un legame forte fra necessità di reimpiego e lavoro autonomo, quanto fra avere un curriculum e ritrovare un’occupazione. Ad esempio due donne, con titolo di studio universitario, vorrebbero aprire una ludoteca nel Municipio XVI poiché, sostengono, al momento non hanno un lavoro e hanno riscontrato una carenza di strutture e servizi di questo tipo nel momento in cui hanno avuto dei bambini piccoli, che sono andati appunto nello stesso asilo nido. L’idea in sé non è ancora ben delineata nei suoi aspetti organizzativi e di erogazione concreta del servizio, dal momento che vi è ancora incertezza circa la tipologia di servizio di care sostitutivo della famiglia da offrire. La stessa indecisione sull’orario nel quale svolgere il servizio per i bambini – se serale, mattutino, o sostitutivo dell’asilo nido o del tradizionale baby-sitter – dimostra che al momento dell’inizio della consulenza l’idea era ancora immatura da un punto di vista del marketing (“A livello pratico che cosa possiamo offrire?”). In altre parole ciò che è stato messo in evidenza è che si è manifestata la volontà di fare qualcosa sui temi della conciliazione perché lo si è vissuto sulla propria pelle. D’altro canto però l’intervista e il processo di orientamento dimostrano che vi è una certa mancanza di conoscenza pratica sul lavoro autonomo. Ad esempio vi è scarsa consapevolezza, come in molti altri casi, di quale forma giuridica è conveniente avvalersi, oppure quanti collaboratori/soci conviene essere. Tuttavia la conoscenza del settore in cui si vorrebbe andare ad operare è spesse volte buona, grazie alle competenze e al capitale culturale dell’intervistata che è educatrice professionale che cita, fra le altre cose, delle perplessità tecniche di un progetto europeo in essere141. Ciò – al di là dell’effettiva plausibilità delle opinioni specifiche che non costituiscono qui oggetto di analisi –

141 Per maggiori informazioni il progetto in questione a cui l’intervistata faceva riferimento è:

www.tagesmutter-domus.it

dimostra anche una certa capacità di vedere con criticità i progetti già sperimentali arrivando quindi a poter concepire servizi migliori, o quanto meno innovativi.

Un’altra idea di un asilo nido viene portata avanti da due persone, di cui una (l’amica della persona intervistata), disoccupata, si tira indietro quasi subito. L’utente si è informata bene sulle convenzioni che il Comune di Roma stipula per stabilire le quote per bambino degli asili nido. Questa donna è una lavoratrice dipendente a tempo indeterminato, occupazione che vorrebbe cambiare in un part-time verticale

“come sicurezza, prova e cuscinetto. Anche perché non posso essere sicura, magari apro questo nido e poi dico: «che schifo!» Non sarà così nel mio caso, però...”. [35 anni, diploma, sposata con figli, asilo nido]. Da qui già si intravedono alcune punti fondamentali fra lavoro di origine e lavoro autonomo in progettazione che verranno successivamente ampliati.

Nell’insieme delle interviste ricadono anche due attività identiche ed emergenti:

l’agenzia di wedding planner, ovvero un servizio di matrice anglosassone che organizza nei minimi dettagli tutto l’evento del matrimonio (o anche comunioni e altri eventi tipicamente familiari), ad esempio gestendo le forniture, i luoghi per i rinfreschi, ecc. Avendo a disposizione due idee identiche è più efficace effettuare dei confronti fra la prima coppia di utenti e la seconda idea imprenditoriale. Messe a confronto, sia per tipo di percorso curriculare che per motivazioni, risulta che le due idee sono portate avanti da persone molto diverse. Le prime due utenti che si presentano per il primo dei due casi di wedding planner hanno 27 (laureata, nubile e con occupazione a progetto) e 42 anni (diplomata, separata, prepensionata per malattia) che hanno frequentato un corso per diventare wedding planner organizzato da una nota agenzia specializzata. Esse hanno già iniziato a programmare in modo dettagliato l’attività di imminente apertura. A differenza delle altre interviste circa lo stesso progetto, nel caso di una donna di 45 anni disoccupata l’idea di fare la wedding-planner l’ha sentita in televisione: la sua idea appare poco strutturata e molto meno dettata da una passione originale rispetto all’altro caso analizzato affrontato in questa fase di studio in profondità. Non vi è soltanto una differenza in quanto a formazione – cioè l’aver già sostenuto o meno il corso di formazione della maggiore azienda che svolge tale servizio e forma nuove figure professionali – ma vi è anche, e soprattutto, una differenza molto marcata nel modo di approcciarsi al

lavoro in proprio, nell’affrontare i rischi, nella sicurezza in se stessi, nell’autodeterminazione e nell’aver concepito in modo autonomo e autopoietico una certa idea di lavoro autonomo. Questa utente del secondo progetto arriva a dire:

“[Il wedding-planner] è una società di servizi? Che cos’è questo wedding planner? Penso che sia anche satura a Roma, non lo so […] Non so se sarà possibile [mettere in piedi l’agenzia] e come”

[45 anni, diplomata, sposata con figli, idea di wedding-planner].

Oltre a questo fattore, tende a essere presente nel caso specifico anche una scarsa consapevolezza delle più elementari leve di marketing e i punti cardinali per la redazione di un buon piano di impresa, fattori questi sui quali si tornerà successivamente.

Il capitale culturale e la scelta di un ambito specifico da sole non aiutano a capire che tipo di attività si vorrebbe intraprendere, né implicano la realizzazione di un buon business plan di partenza. Anzi, semmai demarcano la presenza di un lavoro autonomo scelto per il fatto che si possa fare un’attività elettiva. Nella costruzione di un Centro Benessere per Linfodrenaggi, ad esempio, si hanno tutte le competenze specifiche per poter lavorare ad alto livello, però non si hanno ancora chiari i meccanismi di marketing da implementare, innanzitutto per quanto attiene il target, ma anche l’intero ordine di grandezza dell’attività:

“Non ho scelto il target, se medio-basso o medio alto. Mi rivolgerei a entrambi. [...] Più in là dovrò assumere qualcuno, un aiutante, dopo che avrò una clientela fidelizzata”. [48 anni, titolo terziario, centro benessere]

In alcuni casi l’idea commerciale è piuttosto ben delineata, come nel caso di un negozio di abbigliamento per ragazzi dai 14 ai 20 anni circa, stile sportivo e al contempo elegante. La location è individuata nelle zone di Prati Fiscali o presso la stazione della metro Baldo degli Ubaldi142, in Roma. Per la propria attività l’utente cercherebbe un posto da arredare per far sì che il negozio assuma le caratteristiche da lei desiderate. L’idea di uno specifico target e di un gusto particolare nasce comunque dalla propria esperienza di madre che comprava i vestiti per i figli

142 Un negozio precedentemente individuato per conto proprio chiede 35000€ di buonuscita e 1150€ al mese di affitto per un locale che è di circa 35-40mq.

nell’intento di individuare dei costi accessibili e al contempo “capi di buon gusto” (si noti la sovrapposizione bourdieuiana di ceti di provenienza e target pensato):

“A [piccolo paese dell’Italia centrale] da dove vengo c’era un negozio [probabilmente un outlet143] che aveva questa linea pulita, a basso prezzo e firmati. Ci ho lasciato un sacco di soldi, e ho visto che qui non c’è niente di simile... e quindi volevo fare questo.” [38 anni, diplomata, sposata con figli, commercio]

Sempre nel commercio, una giovane signora italiana di 24 anni con bambino e sola (separata), e senza quindi l’appoggio di un marito, vuole aprire un negozio «tutto a 0,50cent» (il vecchio «tutto a 1000 lire»), un negozio che nella sua idea dovrebbe essere fatto a forma di tunnel per dare un’identità innovativa a questo tipo di esercizio che offrirà oggettistica e gadget fino a un massimo di 5€.

“Ho visto che questo tipo di negozio è l’unica cosa che va, perché l’abbigliamento non va tanto bene, calzature idem... Invece questi negozi qui sono gli unici che vedo che aprono uno dietro l’altro. Ma nessuno è carino come quello che ho in mente io. [...] Io ho sempre lavorato nel commercio, è da quando avevo 14 anni che lavoro come commessa: la mattina andavo a scuola e il pomeriggio andavo a lavorare ecc.. Ho iniziato col negozio di mia zia che quando non c’era ne facevo le veci io”. [24 anni, separata con bambino, scuola dell’obbligo, idea di commercio al dettaglio]

Anche nel caso di un’esperienza di semplice commessa nel commercio quindi l’idea viene in qualche modo arricchita di qualche particolare. In questo caso l’idea imprenditoriale nasce direttamente dalla propria esperienza pregressa e ne costituisce la “naturale” continuazione. Un elemento che può andare a favore di questa idea imprenditoriale è la conoscenza del meccanismo delle forniture – tipicamente provenienti da Napoli dove sbarcano queste tipologia di merci Made in China (Saviano 2007) – e dei finanziamenti che ne derivano. “Io sono sicura che dopo [l’apertura e il lancio] mi andrà bene, però ho bisogno di essere aiutata a partire.

Sono sicura che ho bisogno di aiuti, perché da sola [finanziariamente] non ce la posso fare, perché adesso non ho supporti, perché ho tutto solo nella mia testa” [24

143 Chiedendo all’utente se fosse un outlet si è capito che non ne conosceva il significato, tuttavia la descrizione corrisponde a un outlet.

anni, separata con bambino, scuola dell’obbligo, idea di commercio al dettaglio].

Tuttavia è interessante notare che la donna non vorrebbe assolutamente come sussidio finanziario un prestito agevolato, perché l’unica garanzia che potrebbe mettere sarebbe la sua casa di proprietà dove vive. L’utente dimostra apertamente durante l’intervista e i colloqui di orientamento di non voler assolutamente rischiare la propria casa per aprire questa attività:

“E poi il problema più grande è che ItaliaLavoro non ti dà subito i soldi, ma te li dà dopo. Invece per una persona come me che non ha soldi per iniziare il problema è proprio l’inizio. [...] Per quanto sei brava e metti da parte i soldi, se guadagni circa 1000€ al mese quanto puoi mettere da parte per poi iniziare un’attività da sola? Io sono fortunata che ho una casa di proprietà, però ho anche un bambino piccolo. [...] Io di tasca mia ho 0€, solo con un prestito a tasso agevolato potrei fare qualcosa, però dipende dai tassi, e poi dipende dalle garanzie sulla mia casa, non so.

Dare come garanzia la casa, è una cosa seria! Io non parto con l’idea che va male, però metti caso... la casa è l’unica cosa che ho! E poi [se va male] dove vado?” [24 anni, separata con bambino, scuola dell’obbligo, idea di commercio al dettaglio]

Un caso praticamente isolato è quello di una signora che presenta più di una proposta, ma col chiaro intento di fare del commercio che renda, più che un commercio che piaccia o altre forme di servizi che siano etichettabili come di elezione. In questo caso di una madre con figlia, le proposte di lavoro autonomo che hanno presentato o che hanno pensato144 sono diverse e denotano la totale assenza della dimensione di “sogno nel cassetto da realizzare”: dimostrano semmai la ricerca di una possibile attività commerciale che possa funzionare, che possa cioè avere un mercato. Infatti le proposte riguardano la costituzione di un negozio in franchising nel settore del commercio per la casa, oppure un’edicola o un negozio di dischi e dvd

Un caso praticamente isolato è quello di una signora che presenta più di una proposta, ma col chiaro intento di fare del commercio che renda, più che un commercio che piaccia o altre forme di servizi che siano etichettabili come di elezione. In questo caso di una madre con figlia, le proposte di lavoro autonomo che hanno presentato o che hanno pensato144 sono diverse e denotano la totale assenza della dimensione di “sogno nel cassetto da realizzare”: dimostrano semmai la ricerca di una possibile attività commerciale che possa funzionare, che possa cioè avere un mercato. Infatti le proposte riguardano la costituzione di un negozio in franchising nel settore del commercio per la casa, oppure un’edicola o un negozio di dischi e dvd