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I relitti industriali sono normalmente caratteriz-zati da connotazioni negative. Sono visti come ambienti brutali, severi, pieni di pericoli nascosti dove proliferano crimine e illegalità e sono comu-nemente percepiti come luoghi di disordine, fram-mentazione e decadenza. Spesso l’azione delle industrie lascia anche il paesaggio circostante in uno stato di contaminazione; gli edifici industriali hanno un impatto su tutto ciò che li circonda quin-di tutte queste situazioni non si limitano ai singoli edifici ma vanno a creare un vero e proprio pae-saggio, un territorio, il post industrial landscape.

Tuttavia il confine tra bellezza e bruttezza è spes-so labile, in quanto i due concetti non spes-sono altro che giudizi imposti dalle ideologie dominanti.

Negli anni recenti le rovine industriali sono diven-tati soggetti popolari per svariate espressioni ar-tistiche. Questa trasformazione di percezione ha portato alla nascita di una nuova estetica urbana, un’estetica delle rovine che riflette sulle trasfor-mazioni della società contemporanea.

In Germania già negli anni dell’immediato dopo guerra ci furono primi diversi artisti che immorta-lavano i ruderi in una vista quasi romantica.

Negli anni ’50 il concetto di rovina abbandona il romantico isolamento nel paesaggio pittore-sco, per apparire in paesaggi in stato di degra-do, assumendo nuovi ruoli, altrettanto simbolici:

alla immediata denuncia del degrado, sociale e paesaggistico nel contemporaneo, si accosta-no progressivamente significati inaccosta-novativi, legati alle potenzialità evocative delle nuove arche-ologie. Le rovine appaiono all’interno dei pae-saggi suburbani come domande aperte in atte-sa di risposta, proponendoci nuove categorie di sublime. (Matteini)

In particolare, la tematica della riqualificazione dello spazio viene esplorata nella riconfigurazio-ne delle aree industriali dismesse che si moltipli-cano nel secondo dopoguerra, creando nelle pe-riferie desolati sistemi di no-man’s land, terrains vagues svuotati del loro significato, paesaggi in attesa di essere.

Sono in gran numero le sperimentazioni con-dotte sui siti dell’archeologia industriale a partire dagli anni 70 del 900. Fino alla metà del secolo le infrastrutture industriali rappresentavano una minaccia al significato tradizionale di paesaggio, che contrapponeva Natura e Architettura su due

fronti opposti e inconciliabili. (Matteini)

Nella seconda metà del Novecento invece, in seguito alle trasformazioni strutturali che hanno modificato profondamente la società ed i suoi pa-esaggi, si inizia a trasformare la percezione sui luoghi rovinati, riflettendo sul concetto di ciò che rende bello un paesaggio.

Questo cambiamento dello sguardo sulle rovi-ne del contemporarovi-neo appare anche rovi-nei lavori dell’artista Robert Smithson, autore del reportage fotografico “A tour of the monuments of Passaic, New Jersey” del 1967. Una gita in autobus nel-la cittadina di Passaic da New York, costituisce l’occasione per Smithson di reinterpretare i luoghi da un punto di vista diverso. Le macchine per le lavorazioni stradali, i resti degli impianti industriali diventano i nuovi monumenti, con un potenziale evocativo e poetico comparabile a quello delle rovine classiche.

Smithson utilizza l’osservazione e la ripresa fo-tografica dei monumenti di Passaic per una tra-sformazione totale delle tradizionali categorie di pensiero che gli consente di proporre nuove definizioni di tempo, spazio e paesaggio, oltre che di rovine.

Importante è anche la riconfigurazione estetica applicata da Smihson alla interpretazione degli elementi meccanici che compongono il paesag-gio industriale: “poiché era sabato, la magpaesag-gior parte delle macchine era a riposo. Questo le fa-ceva assomigliare a delle creature preistoriche affondate nel fango, o meglio ancora a delle mac-chine scomparse, dinosauri meccanici scorticati”.

(Matteini)

Queste visione poetica e zoomorfa delle macchi-ne sta evidentemente alla base dei progetti per paesaggi post industriali come quelli di Duisburg, ed in genere della riconfigurazione paesaggistica del distretto della Ruhr, o di Ferropolis (Giardino industriale nella regione di Dessau, in cui 5 gi-ganteschi macchinari costruiti per il trasporto e lo scavo di materiali, monumenti alla memoria del passato industriale ricordano le creature preisto-riche di Smithson.

Egli influenza la maniera in cui i successivi pro-gettisti affrontano le relazioni con il paesaggio industriale, fra le categorie del brutto e del bello.

L’Associates Gas Works Park del 1975 è tra i pri-mi progetti a inserire le rovine industriali nel parco contemporaneo. Rchard Haag coglie il significato evocativo e poetico di queste rovine e decide di farle diventare un opera di arte contemporanea in mezzo al parco. Le rovine industriale diventano per lui “ il piu sacro dei simboli” (Matteini)

Peter Latz per descrivere il parco di Duisburg Nord parla di metamorfosi: un metodo secondo cui le rovine industriali mantengono le loro forme ma subiscono una reinterpretazione attraverso l’ attribuzione di nuovi significati. Il risultato è una trasformazione di un paesaggio senza polveriz-zare l’identità e le caratteristiche esistenti.

Ferropolis, Dessau

Il tema dell’archeologia industriale è stato affron-tato anche in altri modi molto differenti e in un certo senso contrapposto a quello di Smithson.

Bernd e Hilla Becher, dalla fine degli anni Cin-quanta tramite la fotografia hanno svolto un’inda-gine profonda sul territorio industriale, cambian-done la percezione.

Nella visione dei Becher la fotografia giunge ad un inedito distacco dall’emotività; essi cercano di riportare il mezzo fotografico al valore originale di impersonale testimone della realtà, e docu-mentando ciò che di più impersonale poteva esi-stere al tramonto degli anni Cinquanta: il mondo industriale. Il loro desiderio è di rappresentare gli oggetti il più precisamente possibile e con una massiccia dose di obbiettività.

Caratteristica peculiare dei loro soggetti non è la bellezza delle forme ma piuttosto la mancanza di essa; soggetti che proprio per la loro banalità combattono i parametri estetici tradizionali.

Definiti dagli stessi Becher “sculture anonime”, gli scenari appartenenti all’industria e alla fabbri-ca sono i soggetti dei loro lavori. Serbatoi idrici, cisterne, altiforni, torri di raffreddamento, gaso-metri, silos o altre tipologie di impianti industriali occupano l’intera superficie offrendoci un’analisi accurata del mondo che nasceva in quel momen-to, e che negli anni si modificava.

L’approccio sistematico di sequenze che i Becher adottano può senza dubbio essere considerato un criterio scientifico.

Quando presi in isolamento, le teste bizzarre de-gli altiforni, assemblate dall’intreccio di numerosi tubi, i serbatoi idrici a torre che sembrano spar-pagliarsi sul terreno come funghi o le cisterne di qualche luogo in Pennsylvania che hanno un innaturale e in un certo senso ingombrante sen-sazione su di loro, tutto sembra avere proprietà estetiche — nonostante o forse precisamente perché “sorgono prive di ogni intento estetico”

(Bernd Becher).

Bernd e Hilla Becher, Serie

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