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La produzione su committenza e l’agiografia con valore di exemplum

Nel documento DOTTORATO DI RICERCA IN Studi storici (pagine 136-148)

III. I L SERMONARIO DI SAN P IER D AMIANI TRE RETORICA , AGIOGRAFIA E PUBBLICO

III.5. La produzione su committenza e l’agiografia con valore di exemplum

Purtroppo, non tutti i sermoni damianei ci sono pervenuti in forma integrale. In calce all’edizione del Migne84 troviamo alcuni frammenti ripresi da tre brani facenti parte delle Collectanea, la raccolta antologica di opere damianee redatta dal discepolo Giovanni da Lodi. Vengono denominati sermoni sinodali, perché pronunciati da Pier Damiani durante alcuni sinodi; ipotizzando siano due tenuti durante la missione gallica del 1063 e l’altro a Francoforte sul Meno nel 1069. Inserire questi frammenti nel corso di avvenimenti tanto importanti per la biografia damianea è senza dubbio affascinante, tuttavia bisogna limitarsi a delle ipotesi, dal momento che i contenuti dei testi si limitano a brevi passi di esegesi biblica.

Il tema delle missioni transalpine e i sermoni di Pier Damiani non si esaurisce con questi brevi frammenti e, anzi, di grande rilievo risultano due testi in particolare: il II e il LXXII. Il Lucchesi per il primo dei due parla di certezze85, infatti il 26 giugno 1063 l’Avellanita si trovava già in Francia e nel corso del viaggio verso Cluny erano stati richiesti i suoi servigi durante una sosta. Il sermone parte dal racconto della traslazione delle reliquie di sant’Ilario di Poitiers all’interno della chiesa del monastero della stessa cittadina costruita dall’abate Fridolino di Sackingen nel secolo VII.86 Nel recarsi a Cluny per dirimere la controversia tra il vescovo di Macon, Drogone, e la celebre abbazia, il Damiani attraversa le Alpi tramite il passo del Gran San Bernardo, dove era viva la venerazione di Fridolino, e durante la missione francese non si recherà mai nei dintorni di Poitiers, ragion per cui si può ipotizzare l’effettiva recita del sermone lontano dal luogo di sepoltura del santo celebrato.

Merita una menzione la particolare indicazione metodologica fornita dall’autore in merito alla composizione del sermone:

84 Migne, PL 144, coll. 924 A – 924 D.

85 Lucchesi G., Il sermonario, op. cit., p. 154.

86 Fonte primaria dello stesso sermone è infatti il testo BHL 3170, Vita sancti Fridelini, databile attorno all’anno 1000.

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Quamquam beati Fridelini Vita, in qua haec refereri perhibetur historia, in manus nostras nequamquam devenerit, sed quod iussus fuerat, sed quod hic scriptum est indicio nobis fraternae relationis innotuit.87

Assume particolare rilevanza in questo caso la figura di san Fridelino più che quella di Ilario. Potendo oggi comparare la Vita BHL 3170 a quanto scritto dal Damiani, ci si rende conto di come questa sia stata la fonte primaria del racconto contenuto nel sermone, nonostante il nostro dichiari di non aver letto personalmente il testo. In effetti, comparando i due scritti ci si rende conto di come il Damiani dica il vero e le differenze si facciano evidenti proprio in merito alla traslazione di sant’Ilario, avvenuta a opera degli angeli nel racconto dell’Avellanita, angeli che però sono assenti nel racconto agiografico originale, che, tra l’altro, non riporta alcuna menzione riguardo una particolare traslazione del corpo di Ilario, se non una semplice appropriazione di reliquie da parte di Fridelino.88 Il Damiani dice la verità, gli stessi monaci che lo hanno invitato a celebrare il santo francese hanno poi impedito allo stesso di vedere una copia della Vita sancti Fridelini probabilmente in loro possesso. Lo scopo era quello di magnificare ulteriormente il racconto della traslazione e far sì che l’Avellanita traesse la sua orazione dal racconto degli stessi religiosi francesi, oltre che dalla Vita sancti Hilarii di Venanzio Fortunato89 per quanto riguarda la vicenda biografica del santo celebrato.90

87 Migne, PL 144, coll. 514B-517C; CCCM 57, pp. 2-7.

88 Negli Act. SS. Mart. I, p. 436, n. 23 si legge: «Pertanto, essendosi compiuta la costruzione della chiesa e la traslazione del Corpo Sacro, con la grazia di Dio e con l’aiuto del vescovo fino ai limiti del possibile, Fridolino si prese una reliquia di sant’Ilario, come desiderava da tempo, e se la ripose in una capsella». Guardando, invece, al testo damianeo notiamo numerose interpolazioni che con tutta probabilità saranno state raccontate al santo dai monaci francesi committenti del sermone: « Constituto igitur die, in quo sancta membra transferrent, praecedente nocte, dum episcopus simul et abbas in vigiliis et orationibus jugiter pernoctarent, repente conspiciunt, quod beati angeli de tumulo, qui jam terebratus fuerat, sanctum corpus educunt, et in locum, qui sibi praeparatus erat, propriis manibus inferunt. His itaque peractis, beatus Hilarius sanctum Fredelinum per visionem admonuit, ut Scotigenam quemdam sibi cognatione propinquum in coenobii regimine substitueret; ipse vero ad Gallinariam insulam in honorem ejusdem beati Hilarii aedificaturus ecclesiam properaret. Qui beati sacerdotis imperio mox humiliter paruit, et non solum illud quod jussum fuerat, sed et alia quatuor monasteria in ejus honorem construxit». Migne, PL 144, col. 515B.

89 MGH, Auctores Antiqui, IV, 2, p. 1-7.

90 Lucchesi G., Il sermonario, op. cit.

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L’occasione era senza dubbio di quelle da non lasciarsi scappare, Pier Damiani godeva di grande fama anche oltralpe e il fatto che fosse lì in qualità di legato apostolico non poteva far altro che accrescere il prestigio di ogni atto compiuto durante quella missione. La festa per la traslazione delle reliquie di sant’Ilario, prendendo le mosse da un fatto accaduto senza alcuna fonte storica che ne comprovasse l’esistenza o che quantomeno confermasse le modalità di trasferimento delle reliquie, avrebbe tratto giovamento in maniera esponenziale delle parole dell’Avellanita che in un solo sermone rielabora la leggenda dotandola inconsapevolmente di legittimità, pur sottolineando il fatto che la fonte delle sue conoscenze fosse prettamente orale e, se vogliamo, di parte.

Il sermone II e il problema delle fonti non sono dei casi isolati all’interno del sermonario. Il sermone VIII per la celebrazione della vigilia di san Benedetto e ricollegabile, come detto, alle visite del Damiani presso il monastero cassinese, presenta l’ennesima interessante dichiarazione in merito. Qui non userei il neologismo

“metapredicazione” perché, nonostante il cardinale-eremita ci porti dietro il lavoro di elaborazione del sermone, l’attenzione non è posta sull’attività oratoria in sé, quanto piuttosto sul reperimento delle fonti agiografiche utilizzate per raccontare le vite e i miracoli dei santi:

Nam, ut de ceteris sileam, unum quod sacrum atque veridicum gregoriani stuli fugit articulum, caritati vestrae celandum esse non arbitror. […] Haec plane de Marci, eiusdem videlicet beati Benedicti discipuli, venusto carmine ideo defloravimus, quia in veneranda gregorianae historiae serie minime repperimus.91

Vengono narrati due miracoli, il primo è la chiamata di Dio a san Benedetto per invitarlo ad allontanarsi da Subiaco e dirigersi verso la rocca di Cassino, la fonte utilizzata è tra le più autorevoli e cioè Gregorio Magno. Dopo la narrazione del miracolo, viene indicata una seconda fonte e cioè un carme scritto da Marco92, uno dei primi seguaci di Benedetto, che racconta in distici elegiaci le vicende del santo tra Subiaco e Montecassino.

91 Sermo VIII, Migne, PL 144, coll. 545B-548B.

92 Migne, PL 80, 183-186.

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Un altro esempio in cui l’autore ci porta dietro il reperimento delle fonti utilizzate sono i sermoni dedicati ai santi aretini. Il sermone fu composto certamente ad Arezzo, apostrofata da Pier Damiani nel corso dello stesso e luogo di venerazione dei martiri Donato e Ilariano cui è dedicato. La fonte sia di questa orazione sia degli inni Lokrantz 20 e 21, scritti dal Damiani, è la passio BHL 2289 o la sua redazione 2294. L'attenzione si concentra soprattutto sulla storia di Donato, per via della difficoltà di distinguere Ilariano da quell'Ilarione la cui vita fu scritta da san Gerolamo. È lo stesso Avellanita ad informarci della questione:

Et Hilarianum quidem illum Hilarionem fuisse poterat quis non absurde conjicere, cujus a B. Hieronymo vita describitur, nisi dispar utriusque exitus prohiberet. Nam qui eorum vitae seriem, miracula quoque quibus effulserant, loca nihilominus quae suis habitationibus illustraverant, prout monumenta declarant, oculo vigilante percurrit, non minimam similitudinem in ipsis rerum collationibus deprehendit. Sed cum alter ad martyrii pervenerit palmam, alter ab hac vita in pace quieverit, constat procul dubio in persona diversos, quos utique diverso migrationis genere novimus consummatos.93

Sembra quasi il frutto di una ricerca agiografica, poiché il Damiani dimostra di aver letto entrambe le vite dei santi e di averli considerati due persone differenti comparando tutti gli eventi in esse narrati e, in particolare, la morte, avvenuta per martirio, del santo aretino. È però singolare il fatto che le leggende pervenute fino ai nostri giorni relative ai due santi non sono affatto simili come quelle che sembra aver letto Pier Damiani. Di conseguenza ne deduciamo che egli conobbe una tradizione agiografica oggi scomparsa a proposito di Ilariano, la quale costruiva una vita di questo santo combinando insieme dati dell'Ilarione eremita di Betlemme e di Ilarino martire di Ostia.94

Un ulteriore esempio sulla gestione delle fonti da parte dell’autore si trova nel sermone LIV95 dedicato a san Fedele. Questo, infatti, è l'unico caso in cui Pier Damiani narra per esteso la vita di un santo. Ciò lascia supporre la presenza di un pubblico a cui il santo celebrato era completamente sconosciuto. È anche l'unico caso in cui l'Avellanita

93 Migne PL 144, coll. 705D-710C; CCCM 57, pp. 233-239.

94 Lucchesi G., Il sermonario, p. 137.

95 Sermo LIV. Migne, PL 144, coll. 807B-811B; CCCM 57, pp. 342-347.

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superi la sua presunta fonte arricchendo il racconto, mentre molto spesso egli preferisce mettere in evidenza alcune parti della passio all'interno del sermone. Per questo motivo il sermo LIV viene inserito tra le fonti primarie (BHL 2924) sull'agiografia di san Fedele.96

Le novità introdotte rispetto agli elementi delle due passioni di BHL riguardano per lo più la vicenda terrena del santo prima di essere martirizzato: la sua vita agiata, la conversione degli idolatri, il tentativo di convertire i suoi commilitoni con una paga consistente, l’idea di meritare la gloria del martirio attraverso le buone opere prima ancora di essere condannato. Il Damiani non fu però l'artefice di questa fusione delle due passioni, infatti, non fece altro che commentare un testo solo, una passio dove sono già confluite le due su san Fedele.

Spostando per un attimo il baricentro della trattazione sull’analisi della tradizione agiografica di questo santo, verrebbe da chiedersi chi abbia confezionato questo testo utilizzato dal Damiani, visto che Fedele è un martire comasco e l’Avellanita nel 1059 si reca a Milano in qualità di legato pontificio. Tutto farebbe pensare ad una soluzione già proposta dal bollandista Bossue97, secondo la quale il sermone fu recitato a Milano proprio nell'ottobre di quell'anno, quindi il testo da cui attinge il Damiani sarebbe di matrice meneghina. Bisogna però sottolineare che il pubblico cui questo pare destinato risulterebbe totalmente allo scuro della vita del santo celebrato. Il Lucchesi, evidenziando questa incongruenza, propone una nuova ipotesi, e cioè che il sermone sia stato pronunciato presso il monastero di San Fedele di Strumi, o di Poppi, in diocesi di Arezzo, ammettendo però che L’Avellanita possa essersi rifatto ad una passio forse composta a Milano, forse dai Patarini, e quindi letta dal Damiani solo dopo il 1059.98

96 In realtà, l'orazione e l'inno Lokrantz 45 sono le testimonianze più antiche di una commistione altomedievale di due scritti agiografici: la passio dei ss. Fedele, Essanto e Carpoforo martiri a Samolaco (BHL 2922) e quella di s. Alessandro di Bergamo (BHL 277). La prima di esse è, a giudizio del Lucchesi, anteriore al VI secolo per via della mancanza di riferimenti alla vita e ai miracoli del santo, infatti BHL 2922 racconta solo della morte avvenuta per martirio. In questa passio Fedele è un soldato di Massimiano, nell'altra (BHL 277) è un giovane e nobile discepolo del vescovo Materno di Milano.96 Sono certamente due personaggi diversi che all'interno del sermone prestano vicende e caratteristiche al s. Fedele di cui parla Pier Damiani.

97 Act. SS. Oct. XII, 548-569.

98 Ibid., p. 140.

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Nel sermone II abbiamo già visto un caso di orazione composta su commissione, in quel caso si trattava dei monaci di un’imprecisata località francese nei dintorni di Cluny. In Francia l’autore non si limita soltanto a quest’opera omiletica, ma compone la ben più importante, dal punto di vista letterario, Vita Odilonis99, commissionata proprio dai monaci francesi. L’abate cluniacense era morto nel 1049 e la riscrittura100 della sua vita ad opera del Damiani fu dovuta non solo al prestigio del legato apostolico, ma anche alla sua fama di scrittore colto e raffinato che non avrebbe potuto che giovare alla promozione del culto di questo nuovo santo101.

Tornando al sermonario, nel sermone LXI abbiamo un committente chiaro102 e che offre nuovi spunti di riflessione anche in ambito agiografico. Si tratta del vescovo di Rimini.103 I due casi sono però sostanzialmente differenti, in quanto il sermone II fu scritto e pronunciato dal Damiani su invito dei monaci francesi, per quest’ultimo invece la situazione risulta meno chiara: in apertura il testo recita sub persona Ariminensis episcopo. Un sottotitolo del genere può significare almeno tre cose e cioè che si tratti di un sermone scritto dal Damiani perché il vescovo lo pronunciasse, una seconda ipotesi è che egli abbia predicato al posto del vescovo, infine, che abbia predicato in veste di vescovo nella città di Rimini.104 Interessante è la motivazione addotta nel prologo:

99 Vita sancti Odilonis abbatis, PL 142, coll. 897-940.

100 Longo U., San Pier Damiani e l'agiografia, in Scrivere di santi, 1998, p. 129-144 p. 138-139.

101 L’occasione era la traslazione delle reliquie del santo abate a Souvigny.

102 Il testo è riportato nel Vaticanus Latinus 3767, ciò testimonia che Giovanni da Lodi e i suoi discepoli lo consideravano scritto dal santo. Si ricollega, inoltre, agli altri due sermoni scritti per altre persone come il XXXV e il L.

103 Questo sermone fu senza dubbio composto per il vescovo di Rimini Uberto di cui Pier Damiani parla nel Liber Gratissimus. La prima carta riminese che lo ricorda è del 14 marzo 1053, l'ultima del 4 maggio 1065.

104 Pier Damiani, Petri Damiani Sermones, a cura di U. Facchini - L. Saraceno, vol. 2, Città Nuova, Roma 2013, pag. 287.

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Charitati vestrae, fratres charissimi, aedificationis verbum facere gestio, sed quia, ut nostis, nuper ad episcopatus apicem, Deo auctore, promotus sum, loqui ante prudentiam vestram, dum conscientia metuit, lingua etiam necdum assueta balbutit.105

Purtroppo, non aiuta a confutare con certezza alcuna delle tre ipotesi, ma fa protendere decisamente verso la prima vista la grande capacità oratoria del Damiani che compone orazioni fin dagli anni Quaranta del secolo e le pronuncia davanti a un pubblico cittadino come quello di Venezia e Ravenna. La timidezza non sembra essere mai stata un grande problema e, anche volendo leggerlo come espediente retorico, non troviamo precedenti simili nella produzione damianea quanto a realismo della difficoltà oratoria.

La scrittura su committenza si ritrova anche nell’opera agiografica damianea.

L’esempio, già citato nel capitolo precedente, della Vita Mauri106 risulta eloquente. La vita di questo santo su cui l’Avellanita era riuscito a reperire ben poco materiale bibliografico, affidandosi per lo più a fonti orali raccolte presso Cesena e le zone afferenti tale diocesi. La vera chiave di volta per affrontare le Vitae scritte da Pier Damiani è lo scopo che egli si prefigge nel compiere tale opera.

Giova qui un breve riepilogo di questo tipo di produzione.107 La Vita Romualdi, più antica e più fortunata in ambito storiografico108, presenta un modello ideale da

105 Sermo LXI, Migne, PL 144, coll. 846A-848A; CCCM 57, pp. 358-360, Petri Damiani Sermones, a cura di U. Facchini - L. Saraceno, vol. 2.

106 Vita Mauri, in Patrologia Latina, 144, col. 948C.

107 Per la produzione agiografica rimando all’eccellente studio di Longo U., Come angeli in terra:

Pier Damiani, la santità e la riforma del secolo XI, Viella, Roma 2012.

108 Pier Damiani agiografo è stato studiato da Lucchesi in alcuni saggi, in particolare La Vita Rodulphi e di Il sermonario SPD. A questi dev’essere aggiunta l’edizione della Vita Romualdi curata da Tabacco. Riferimenti all’opera agiografica damianea sono contenuti negli studi raccolti in Atti dei convegni del Centro studi avellaniti. Merita di essere menzionata anche la biografia dedicata al Damiani da Leclercq, Sainte Pierre Damien e gli studi di Tabacco: Eremo e cenobio; «Privilegium amoris»; Romualdo di Ravenna; Pier Damiani; Prodromi di edonismo elitario; tutti raccolti nell’unico volume Tabacco G., Spiritualità e cultura: dodici percorsi nei territori del potere e della fede, Napoli 1993, pp. 157-285. Nello specifico segnalo qui lo studio di Longo U., La conversione di Romualdo di Ravenna come manifesto programmatico della riforma eremitica, in Ottone III e Romualdo di Ravenna. Impero monasteri e santi asceti, Atti del XXIV Convegno del Centro di Studi Avellaniti, Negarine di S. Pietro in Cariano (VR), pp.

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proporre non solo ai lettori ma anche e soprattutto a sé stesso da parte dell’autore. Si potrebbe leggere l’attività agiografica damianea attraverso un filo rosso che non solo collega le biografie presentate, ma anzi ne descrive un’evoluzione ideale. I personaggi trattati sono per certi versi eterogenei sia dal punto di vista cronologico sia per il ruolo che svolgono all’interno della società loro contemporanea. La vera eccezione è la vita di Mauro, vescovo di Cesena, l’unico di cui il Damiani possedesse (pochissime) informazioni e anche il solo vissuto in un tempo imprecisato e lontano dal nuovo monachesimo preponderante all’alba del nuovo secolo. Un monachesimo tendente a un eremitismo sempre più accentuato ed è proprio ciò che interessa di più all’autore. Si tratta di un aspetto della riforma ecclesiastica, il più caro al Damiani, perché maggiormente intriso di spiritualità e di ascesi. Negli anni Quaranta, quando la vita del vescovo cesenate venne composta, non premeva far luce sulla vicenda storica di questo particolare prelato, ma proporlo come modello ai canonici della diocesi romagnola con l’avvallo del di lì vescovo Giovanni109. Anche qui non mancano le dichiarazioni da “storico”

dell’Avellanita che lamenta la penuria di fonti e l’essere costretto a rifarsi all’oralità anche della gente comune che di quel santo aveva sentito parlare in gioventù. In realtà, questo fa per certi versi il gioco dell’autore che può così sottolineare gli aspetti che più stanno a cuore alla sua idea di fondo, quella del contemptus mundi, la proposta di vita eremitica da esportare prima tra il clero, poi tra i laici.110

Se Mauro è per certi versi un precursore degli eremiti del nuovo millennio, il discorso si fa più concreto e vicino con le due vite di Rodolfo di Gubbio e Domenico Loricato. Queste non ci sono state tramandate come testi agiografici indipendenti, infatti

109 Vi è un documento che attesta l’istituzione della vita comune del clero cattedrale ad opera del vescovo Giovanni di Cesena il 21 giugno 1042. Cfr. Fois M., Archivium Historiae Pontificae, XVI, 1978, p. 378.

110 Sul documento sopra citato e i suoi rapporti con la Vita Mauri, così come del ruolo esercitato dal Damiani per la riforma della chiesa romagnola cfr. Laqua H. P., Traditionen und Leitbilder bei dem Ravennater Reformer Petrus Damiani (1042-1052), Munchen 1976, pp. 243; H. P. Laqua, «Refloreat disciplina»: ein Erneurengsmotiv bei Petrus Damiani, in San Pier Damiano nel IX centenario della morte (1072-1972), Faenza 1973, pp. 279-290; C. Dolcini, La storia religiosa fino al secolo XI, in Storia di Cesena. Il Medioevo, II, pp. 51-52; G. Lucchesi, Clavis Sancti Petri Damiani, in Studi su s. Pier Damiani, in onore del Card. Amleto Giovanni Cicognani, Faenza 1961 e 1970, p. 78.

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sono contenute all’interno della lettera 109111 indirizzata al papa Alessandro II negli ultimi anni di pontificato. Potremmo tracciare cronologicamente un percorso in tre stadi:

dalla vita di Mauro a quelle degli amati discepoli, passando dalla nomina a vescovo dello stesso Pier Damiani. Si tratta dei suoi ideali visti in un processo lungo quasi trent’anni. In partenza fu Romualdo, figura di riferimento e precursore di un particolare stile di vita, Mauro è l’uomo che fornisce il pretesto per esportare il modello di vescovo-eremita nelle aree vicine agli interessi del Damiani negli anni di composizione dell’opera; Rodolfo nell’elevazione alla cattedra vescovile di Gubbio realizza concretamente quel modello episcopale damianeo che già con la nomina a cardinale-vescovo di Ostia egli conduceva.

Pur pressato dagli impegni imposti dalla curia romana, Pier Damiani non rinunciò mai a trascorrere le festività più importanti nell’amato e agognato eremo avellanita. Nei periodi di Avvento e Quaresima egli predilige la solitudine o al massimo la compagnia di pochi e fidati eremiti, se non a Fonte Avellana, quanto meno in uno degli eremi a lui cari, ad esempio quello di Gamugno.

La pubblicità delle lettere è evidente proprio nella numero 109. Pier Damiani scrive al papa, ma è come se si rivolgesse a tutti i potenziali lettori, o meglio gli audientes112. Si tratta di un testo epistolare, ma scritto con la consapevolezza di essere letto pubblicamente:

Valet enim et ad exprimendam recte vivendi formam, et ad adhibendam corrigendis moribus disciplinam 113

Il testo è esemplare per coloro che lo udiranno. Abbiamo visto un Damiani finora sempre preoccupato per attendibilità delle sue fonti, impegnato nel dimostrare come il reperimento delle stesse fosse avvenuto sia che riguardassero personaggi a lui contemporanei, sia vissuti secoli prima. Un interesse simile potrebbe far pensare ad uno scopo diverso da quello che l’Avellanita si prefiggeva. Egli, infatti, non aveva come fine

111 Sulla lettera 109 cfr. Longo U., La funzione della memoria nella definizione dell’identità religiosa in comunià monastiche dell’Italia centrale, (secoli XI e XII), in Mélanges de l’Ecole francaise de Rome, 2003 1, pp. 213-233.

112 MGH, Briefe, v. 4,3, p. 203.

113 Ibidem.

Nel documento DOTTORATO DI RICERCA IN Studi storici (pagine 136-148)

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