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Prospettive e limiti di un 1969: fabbriche e ter- ter-ritorio

4. Prospettive e limiti di un 1969: fabbriche e

ancora paternalistica – la vita al di fuori dello stabilimento.40 Ai danni fisici si sommava la paura di commettere errori. All’ango-scia dei cambi di reparto si accompagnavano le tensioni dettate dai cottimi. Anche le differenze retributive dettate dalle gabbie salariali restavano palesi: a Milano la paga oraria di un operaio qualificato di prima categoria corrispondeva a 163,7 lire, 18,20 in più rispetto alle 145,5 di un pari ruolo lucchese41.

Di conseguenza, i giovani che nella seconda metà degli anni Sessanta arrivarono in fabbrica dalla Lucchesia e dalle aree limi-trofe si mostrarono sempre più insofferenti verso queste condi-zioni. La graduale sostituzione della generazione operaia e im-piegatizia precedente portò nei reparti livelli di istruzione più alti, nuove richieste (che andavano dalla revisione dei cottimi al miglioramento dei trasporti) e, talvolta, esperienze maturate all’interno di aziende lombarde o piemontesi: ai soggetti più po-liticizzati, per giunta, se ne affiancarono altri pronti a maturare predisposizioni rivendicative legate alla comune convinzione di difendere i propri diritti – e garantirne di nuovi – davanti ai mutamenti del mercato e alle diverse fasi di congiuntura. Fattori destinati a segnare una ripresa della conflittualità in tutta la pro-vincia di Lucca, conferendo ai nuovi quadri un ruolo decisivo.

In particolare, alla spinta riformista conferita alla Cisl lucchese da figure quali Delfo Fenili e Arturo Pacini (capogruppo provin-ciale della Dc e vicino alla corrente di Forze Nuove) si aggiun-se l’ingresso nella Cgil di alcuni militanti che – provenienti dal Psiup – avevano preso parte alla parentesi di «Quaderni Rossi».

Furono costoro ad avviare un lavoro di proselitismo più incisivo all’interno degli impianti industriali; alla Cantoni, ad esempio, iniziarono a presentarsi ogni mattina davanti ai cancelli della

40.  AIsrec, Fondo Pci, Serie 1, Sezione, b.43, fasc. Ufficio fabbriche, Conveg-no ecoConveg-nomico per lo sviluppo ecoConveg-nomico, sociale e civile della Lucchesia, Federazione del Pci, Lucca, 1°giugno 1969. Alla Cucirini il numero di addetti era intanto passato dai 3.136 del 1965 ai 2.776 del 1968.

41.  Ibidem.

fabbrica per parlare con gli operai, ripetendo l’operazione du-rante le merende e i cambi di turno:

Alle quattro e mezzo del mattino partivamo per il picchettaggio […].

I primi contatti furono con gli operai della Lenzi, fu da lì che entram-mo. Era un sindacato che a quel tempo viveva quasi esclusivamente di pubblico impiego e di vertenze: non a caso Bianchi dirigeva l’uffi-cio vertenze. Il sindacato era debolissimo, quasi inesistente e il pro-blema era ricostruirlo: l’idea era quella di capire cosa succedeva nella fabbrica e da lì ripartire per tentare di dare risposte a certi bisogni.

La lotta più forte […] fu quella che portammo avanti alla Cantoni42. All’interno della multinazionale tessile la vertenza scoppiò in anticipo rispetto all’Autunno caldo del 1969, precisamente un anno prima. I sette punti che componevano la piattaforma artico-lare dell’ottobre 1968 andavano dalla maggiorazione del cottimo alla revisione dello stesso, aggiungendo richieste collaterali di tutela per il personale in esubero dalla Cassa Mutua, di nuove tute protettive e di un miglioramento della mensa. Le tensioni emersero in un primo momento il 28 novembre 1968, quando le rappresentanze sindacali indissero uno sciopero unitario che vide l’85% di adesioni. Seguirono poi mesi di scioperi alternati che conobbero un nuovo picco tra l’aprile e il maggio 1969: alle disposizioni aziendali di chiudere il refettorio per impedire ra-duni e assemblee, gli operai risposero interrompendo il lavoro ad ore alterne per danneggiare la produzione.

Attorno alla Cucirini Coats presero campo altre lotte: di fronte al rischio chiusura, gli operai e le operaie della My Style, dello Iutificio 42.  Intervento di Riccardo Fratino ne Il filo rosso della memoria, Lucca, 2006 (DVD a cura della Cgil Lucca). Non si trattava di una modalità operativa pecu-liare, bensì propria della linea sociologica che Raniero Panzieri - tra i fondatori di «Quaderni Rossi» - aveva teorizzato al fine di conoscere più a fondo la reale condizione operaia. Al riguardo, indico: Ferruccio Ricciardi, Aux origines d’une so-ciologie critique du travail: opéraïsme et enquête militante en Italie (années 1950-1960), in Éric Geerkens et al. (éds.), Les enquêtes ouvrières dans l’Europe contemporaine, Paris, La Découverte, 2019, pp. 125-137; 130-131.

di Ponte a Moriano e del Cotonificio Oliva arrivarono a occupare gli stabilimenti; alla Lenzi e alla Smi le maestranze si sdraiarono sui binari in segno di protesta; all’Apice di Massarosa, alla Manifattura Tabacchi, al Calzaturificio di Segromigno e alla Bertolli le vertenze conobbero adesioni importanti e continue, recuperando lo slancio proveniente dalla Versilia. Tra i tentativi confindustriali di mediare gli scontri e di fermare i soggetti più facinorosi, tuttavia, fu la Can-toni a scoprirsi ancora una volta epicentro conflittuale. Agli operai furono richiesti coordinamento e organizzazione attraverso moda-lità fino ad allora sconosciute: a chi proponeva l’occupazione cal-deggiata dagli studenti (giunti in supporto dalla vicina Università di Pisa), le forze sindacali replicavano di convergere le energie verso forme di sciopero più incisive e meno rischiose. Gli episodi di “tu-rismo di fabbrica” (con la produzione sospesa per reparti) si alter-navano a comizi interni – spesso improvvisati – e a richieste sempre più insistenti per la concessione delle assemblee. Non mancarono neanche episodi di violenza: la notte del 25 marzo 1969, forse per mano di alcuni militanti di Potere Operaio, tre bombe carta vennero fatte esplodere all’ingresso del circolo impiegati della Cucirini Co-ats, mentre il 10 aprile, durante uno sciopero a singhiozzo, alcuni operai accesero una parapiglia con le forze dell’ordine dopo aver scorto un agente di pubblica sicurezza impegnato a riprendere le proteste con una cinepresa43. I picchi di conflittualità più alti furono raggiunti nei giorni successivi: il 23 aprile le maestranze si raduna-rono in Piazza Bernardini, sede dell’Associazione Industriali, dove – prima di essere respinti – alcuni scioperanti provarono a salire le scale che portavano agli uffici; il giorno dopo, in seguito alla notizia della sospensione di 35 operai del reparto torcitura, una manipolo di lavoratori si recò invece nottetempo davanti alla casa dell’inge-gner Murdoch, finendo per dare inizio a una sassaiola contro i cara-binieri che provocò diversi feriti44.

43.  Cfr. Incidenti alla Cucirini, in “Il Corriere di Lucca”, 11 aprile 1969.

44.  Cfr. Cantoni: sospesi trentacinque operai, in “Il Telegrafo”, 26 aprile 1969.

Radicata in una dimensione localistica segnata da problema-tiche retributive e occupazionali, la vertenza assunse così im-portanti tratti di discontinuità. In primo luogo, quella in corso non era più avvertita come la «lotta della Cantoni», ma di «tutta Lucca»45: i sindacati cercarono di estenderne la portata all’inte-ra provincia, individuando nella Cucirini un viatico in gall’inte-rado di sensibilizzare la cittadinanza attraverso un profilo spoliticizzato.

Per le vie della città si susseguirono cortei guidati da forze poli-tiche e sindacali: le saracinesche stavolta rimasero chiuse per so-lidarietà, mentre i comizi che si tennero presso lo stadio e Piazza San Michele, nel cuore del centro storico, videro la partecipazio-ne di dirigenti nazionali quali Ezio Giacomelli (segretario della Filtea-Cgil) e Giulietta Lina Fibbi. Proprio in Piazza San Michele si concretizzò il momento più importante della vertenza, simbo-lo del trasferimento della simbo-lotta dalla fabbrica alla città: l’11 aprile operai e sindacalisti allestirono infatti una tenda a fianco della chiesa, stabilendo turni di sorveglianza e appendendo fuori le

«rivendicazioni e le striscioline degli stipendi percepiti»46. Il mutamento fu evidente anche dal diverso tipo di dialogo intrattenuto con la direzione aziendale. Anzitutto, gli scioperi riscossero l’appoggio dell’Associazione Commercianti «per ri-chiamare l’attenzione delle autorità provinciali e nazionali sulla grave situazione economica in cui versa la zona»47; alla vertenza presero parte anche gli impiegati, la cui partecipazione – oltre a consegnare ai sindacati preziose informazioni per intensificare la vertenza – conferì alla lotta della Cantoni caratteri pionieristici sul piano nazionale. Inoltre, alle mediazioni dell’Ufficio provinciale del Lavoro i segretari della Cgil e della Cisl – Alfredo Bianchi e Delfo Fenili – preferirono un dialogo diretto: il 20 aprile una

dele-45.  I lavoratori della Cantoni intensificano l’agitazione, in “La Nazione”, 10 aprile 1969.

46.  “La Nazione”, 12 aprile 1969.

47.  Domani sciopero di solidarietà con i lavoratori della Cantoni, in “Il Corriere di Lucca”, 14 aprile 1969.

gazione di fabbrica chiese apertamente di potersi recare a Milano per discutere con la direzione, seguendo i molteplici incontri tenu-ti tra gli ingegneri Murdoch e Vitali, il dottor Padula (presidente dell’Associazione Industriali) e il sindaco democristiano di Lucca Giovanni Martinelli. Da Roma anche l’onorevole Malfatti rivolse continue interrogazioni al governo per un intervento nella contro-versia, mentre le Federazioni sindacali nazionali fecero appello al ministro del Lavoro Giacomo Brodolini. Così, dopo 42 giorni di sciopero, l’accordo pilota fu raggiunto il primo maggio 1969 e vide tra i punti più significativi il riconoscimento dell’assemblea di fab-brica, un incremento salariale di 4.500 lire mensili per 1.200 lavo-ratrici non cottimiste e l’aumento di indennità da 150 a 500 lire per duecento turnisti di notte. Al tavolo presiedettero la commissione interna, le rappresentanze e i dirigenti dell’azienda, segnando una vittoria che – nell’interpretazione sindacale – «tutta la cittadinanza aveva contribuito a conseguire con la sua solidarietà»48.

La vertenza del 1969 sarebbe rimasta la più rappresentativa della Cantoni e del Novecento lucchese. A essa seguitarono nuo-ve istanze rinuo-vendicatinuo-ve che, pur sospingendo un graduale radi-camento della fabbrica nel tessuto cittadino, scontarono evidenti ritardi interpretativi di fronte alla congiuntura negativa che tra il 1974 e il 1976 coinvolse anche il settore tessile. Sintomaticamente, quando nel 1979 la commissione interna della Cucirini Cantoni Coats organizzò un’importante Conferenza di programmazione e sviluppo, era già chiaro che la manodopera impiegata fosse supe-riore alle effettive quote di mercato detenute dall’azienda. Cer-to, si aprirebbe qui un capitolo ancor più importante: capire cioè quanto e come il 1969 – nei suoi sviluppi – sia riuscito a radicarsi nei contesti locali, estrapolandolo dalla sua narrazione «eroica»

e portandolo a dialogare più a fondo con i fattori economici, so-ciali e occupazionali che segnarono una delle fasi più complesse dell’Italia repubblicana.

48.  AIsrec, Fondo Pci, Serie 1, Sezione I, b. 20, fasc. Volantino congiunto di Cisl e Cgil, Lucca, 2 maggio 1969.

Le indicazioni contenute in questo saggio, tuttavia, hanno cercato di indagare soprattutto lo spazio storico in cui il processo conflittuale della Lucchesia prese forma. Una disamina al termi-ne della quale è possibile leggere diversamente anche l’afferma-zione iniziale di Cardulli. Se Lucca conobbe un processo riven-dicativo importante tra il 1968 e il 1972, le richieste assunsero infatti una veste distante da quella politico-ideologica: nonostan-te il punto e mezzo percentuale guadagnato dal Pci, le ammini-strative del 1970 confermarono un monocolore democristiano49, mentre – nei mesi successivi alle lotte – non tardarono ad arriva-re denunce e arriva-reparriva-ressioni nei confronti dei maggiori attivisti delle vertenze. Ancora più delle spinte provenienti dalla società civile, a emergere fu lo stretto legame che le dinamiche del 1968-69 in-trecciarono con la natura economica della provincia: in questo caso, l’impulso conflittuale mantenne una parvenza di economia morale che, esulando da rigidi schemi teorici, si orientò verso il riconoscimento di diritti democratici e costituzionali fino ad al-lora inespressi e alla loro difesa (prima di tutto dell’occupazione) davanti ai mutamenti del mercato.

Si colloca qui l’ultimo punto, forse il più importante: ancora prima degli operai, durante la vertenza i sindacalisti misero al centro la struttura produttiva della Lucchesia. Più esplicitamen-te, condussero una lotta su due piani che – nel suo momento più alto – allontanò dal rischio di letture politicizzate le condizioni lavorative e retributive dei “cucirini” e le subordinò all’impor-tanza dell’indotto economico che ruotava attorno alla Cantoni.

Oltre l’ombra lunga della multinazionale tessile e delle poche altre grandi consociate, erano le piccole-medie imprese – assie-me alle attività comassie-merciali – a eassie-mergere coassie-me il cuore pulsante della produzione della ricchezza provinciale, tanto da radicare

49.  Cfr. Marco Manfredi, Consiglieri, partiti ed elettori nella Lucca repubblicana (1946-2012), in Gian Luca Fruci, Luca Baldissara (a cura di), «I Savj del Palazzo Santini». Storia del Consiglio comunale di Lucca (1865-2015), Lucca, Maria Pacini Fazzi Editore, 2016, p. 104.

anticipatamente il 1969 lucchese nei caratteri distrettuali della

“Terza Italia” teorizzata da Arnaldo Bagnasco50.

Un tessuto che, assieme al terziario, fu in grado di resistere, sviluppare le conoscenze acquisite e maturare importanti capa-cità di assorbimento occupazionale anche quando la Cantoni, dopo i primi decentramenti settoriali, avviò un graduale dislo-camento produttivo verso il sud-est asiatico e l’Europa Orientale.

50.  Cfr. Arnaldo Bagnasco, Tre Italie. La problematica territoriale dello sviluppo Italiano, Bologna, Il Mulino, 1977.

in Umbria prima e dopo l’Autunno caldo: una prospettiva quantitativa

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