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La condivisione della conoscenza nei processi educativi non è certo un fenomeno recente: l’educazione è di per sé condivisione ed è su questi processi di condivisione che è possibile costruire nuove conoscenze, abilità, idee. Fino agli ultimi anni del secolo scorso, questa condivisione avveniva all’interno delle aule scolastiche o universitarie; poi, una serie di mutamenti tecnologici ma anche sociali e culturali ha fatto sì che la condivisione potesse diventare potenzialmente illimitata nello spazio e nel tempo (Floridi 2014).

Le condizioni alla base della rivoluzione dell’Open Education sono due: in primis l’espansione della rete internet, che ha reso possibile condividere risorse a costo marginale quasi nullo, e in secondo luogo l’ideazione delle licenze aperte, che rendono legale questa condivisione. Senza nulla togliere all’importanza di queste due condizioni, il fattore scatenante è stato senza dubbio di carattere socioculturale.

Come abbiamo visto nel paragrafo precedente, l’Open Education si basa fortemente sulla filosofia Open Access, il cui principio cardine è che condividere in maniera altruistica la conoscenza sia una cosa positiva (OCSE 2007). In altre parole, al cuore del movimento Open Education troviamo la semplice e potente idea che la conoscenza del mondo sia un bene pubblico e che la tecnologia in generale e il web in particolare offrano una straordinaria opportunità per condividerla, modificarla e utilizzarla.

Figura 2: Why Open Education? Autore: David Wiley, immagine di Giulia Forsythe.

Licenza: Pubblico Dominio.

Partendo da questo principio cardine, esistono quattro principali giustificazioni per la necessità di investire in iniziative di Open Education:

di tipo etico, di tipo economico, legate alla qualità dell’educazione e all’espansione della domanda educativa.

In molto casi, si utilizza una giustificazione etica, legata alla considerazione che l’educazione è un diritto fondamentale di ogni essere umano e che quindi qualsiasi barriera che limiti le possibilità di accedere a un’istruzione di qualità vada abbattuta, in sintonia con la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani (D’Antoni e Savage 2009). Questo ragionamento vale innanzitutto per i paesi economicamente svantaggiati, basti pensare che nell’Africa subsahariana il 60% dei giovani tra i 15 e i 17 anni non partecipa a nessun tipo di educazione (UNESCO Institute for Statistics 2019), ma anche per i paesi più industrializzati, dove per esempio le tasse pagate dai contribuenti per sostenere le università pubbliche dovrebbero garantire agli stessi un libero accesso alle risorse prodotte dai professori che lavorano in quelle istituzioni (D’Antoni 2009). O dove le password che bloccano l’accesso alle risorse di apprendimento danneggiano

sia quegli utenti che a quelle risorse avrebbero diritto, sia le stesse istituzioni che devono moltiplicare i loro sforzi per proteggere ciò che è stato già prodotto e che potrebbe semplicemente essere reso disponibile. Questa argomentazione sostiene inoltre che l’uso di approcci aperti possa contribuire a combattere le diseguaglianze educative, per esempio rendendo disponibili contenuti di alta qualità per la traduzione e l’uso da parte di minoranze linguistiche (Lambert e Czerniewicz 2020; Tang e Bao 2020).

Agli argomenti etici si affiancano spesso ragioni economiche, legate all’alto costo dei libri di testo per gli studenti universitari. Questa giustificazione è alla base del movimento OER negli Stati Uniti, dove il costo dei materiali didattici pesa più che in Europa sul bilancio di ogni studente;

basti pensare che un’inchiesta su 22.000 studenti statunitensi ha concluso che il 26% di questi ha lasciato gli studi a causa del costo proibitivo dei libri di testo (Florida Virtual Campus 2016). Negli ultimi anni negli Stati Uniti sono emerse iniziative pubbliche per ridurre il costo dei libri di testo grazie all’uso di OER, soprattutto attraverso i cosiddetti OpenTextbooxs. Per fare un esempio, dal 2018 oltre venti community colleges californiani hanno completamente azzerato il costo delle risorse didattiche per i loro studenti (Burke 2019). I risparmi legati all’uso di risorse aperte sono potenzialmente enormi: secondo le stime di SPARC, una ONG che si occupa di conoscenza aperta, il risparmio totale legato all’uso di OER in sole 32 istituzioni nel periodo 2017-2018 è stato di 6,6 milioni di dollari (Griffiths et al. 2020). Al di fuori degli Stati Uniti, la consapevolezza riguardo i benefici degli OpenTextbooks così come i progetti per il loro sviluppo sono marginali, anche in paesi come il Regno Unito dove il costo dei libri di testo è relativamente alto (Pitt et al. 2020).

Un’altra giustificazione per l’Open Education, mutuata in un certo modo dalla pratica Open Source, è che la qualità migliora quando le persone hanno l’opportunità di lavorare in collaborazione con continuità. L’Open Source è un metodo di sviluppo software che sfrutta il potere di una revisione tra pari trasparente e distribuita per raggiungere una maggiore affidabilità e flessibilità a costi minori. Nel caso dell’Open Education, lavorare in maniera collaborativa può aumentare la qualità sia delle risorse didattiche, attraverso un continuo miglioramento e controllo che sempre più spesso coinvolge non solo docenti ma anche studenti, sia del processo educativo in quanto tale, aumentando la motivazione grazie alle dinamiche di democratizzazione collegate all’uso di OER (McGreal 2013).

Infine, una giustificazione tipica delle organizzazioni internazionali come l’UNESCO o il Commonwealth of Learning è la continua espansione della domanda di educazione superiore. Se vogliamo credere alle stime dell’UNESCO secondo cui la domanda di studi universitari passera da 97

milioni di studenti nel 2000 a 262 nel 2025, ci rendiamo conto che solo l’India avrebbe bisogno di creare quasi 2400 nuove università nei prossimi 25 anni, circa due a settimana (Daniel et al. 2007). Non essendo possibile per il sistema di educazione superiore soddisfare questa domanda in modo tradizionale, si è sostenuto spesso che soltanto l’uso di approcci e di risorse aperte possano permettere di raggiungere questa crescente popolazione di studenti gravando il meno possibile sui bilanci già in crisi delle università.