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3. I RAPPORTI CON LA LIBIA

3.2 I rapporti con la Libia di Gheddafi

Nei primi mesi del 1970, nonostante i rapporti economici tra Italia e Libia procedessero senza particolari problemi, nella comunità italiana residente nel paese africano si stava diffondendo “un senso di inquietudine e preoccupazione”232, e già 830 italiani

avevano lasciato la Libia233. Secondo il Foreign Office,

l’ambasciatore italiano a Tripoli Borromeo avrebbe ricevuto, da parte del Comitato del Comando della Rivoluzione, una richiesta di rimpatrio per 23 famiglie italiane legate al passato regime fascista, come conditio sine qua non per la permanenza in Libia della restante comunità italiana234. Borromeo, sottovalutando la

minaccia, non riferì la richiesta alla Farnesina.

Gheddafi pronunciò un importante discorso a Misurata il 9 luglio, giorno in cui ricorreva l’anniversario dell’occupazione della città da parte delle truppe italiane nel 1912, e sottolineò che “il passato colonialista non poteva essere dimenticato”235, ricordò “i

torti e le sofferenze subite dal popolo libico”236, sottolineando, però,

che l’Italia repubblicana aveva un “amichevole atteggiamento [..] verso la giusta causa araba”237. Da questo momento, e per molti

anni, Gheddafi chiederà più volte all’Italia un risarcimento dei danni

232

A. Varvelli, L’Italia e l’ascesa di Gheddafi…, op. cit., p. 88

233

Altri 300 italiani lasciarono la Libia tra il gennaio e il luglio del 1970. A. Del Boca, Gli italiani in Libia.., op. cit. p. 469

234

A. Varvelli, L’Italia e l’ascesa.., op. cit., p. 92-93

235

Ivi, p. 99

236

A. Del Boca, Gli italiani in Libia.., op. cit., p. 469

237

coloniali238. Il ministro degli Esteri Aldo Moro, il quale era stato

invitato da Gheddafi a Tripoli, definì il discorso “anti-italiano”239. E’

plausibile che, come sostiene Del Boca240, Moro, “infaticabile

negoziatore”241, probabilmente avrebbe accettato l’invito, ma la

caduta del governo Rumor e la formazione del nuovo governo guidato da Emilio Colombo rinviarono la visita sine die.

Il 21 luglio del 1970 il Consiglio del Comando della Rivoluzione promulgò 3 leggi che “determinarono una svolta radicale nella storia della Libia242”. Nella fattispecie veniva prevista

la confisca di tutti i beni di proprietà di cittadini italiani, il divieto di rilascio di nuove licenze o permessi per svolgere qualsiasi attività o lavoro, e la confisca dei beni agli ebrei243. Gheddafi lesse

personalmente il decreto di confisca alla radio, affermando che era arrivato per la Libia “il momento di recuperare la ricchezza dei suoi figli e dei suoi avi usurpate durante il dispotico governo italiano, che ha oppresso il Paese in un periodo oscuro della sua gloriosa storia”244. Il ministro degli Esteri libico specificò che non si trattava

di una confisca, ma del “recupero delle proprietà che l’Italia [aveva] confiscato agli arabi nel corso di 32 anni di dominio

238

L’Italia, in base al Trattato italo-libico del 2 ottobre 1956, aveva versato alla Libia quasi 5 miliardi di lire, non come risarcimento dei danni di guerra, ma come “contributo alla

ricostruzione economica”. A. Varvelli, L’Italia e l’ascesa.., op. cit. , p31

239

A. Del Boca, Gli italiani in Libia.., op. cit., p. 470

240

Ibidem

241

C. Meneguzzi Rostagni, La politica estera italiana e la distensione.., op. cit., p. 359

242

R. De Felice, Ebrei in un paese arabo, op. cit., p. 431

243 A differenza degli italiani, per gli ebrei era previsto un indennizzo, anche se con criteri e tempi molto vaghi. Sull’espulsione degli ebrei si veda R. De Felice, op. cit., p. 429-440

244

coloniale”245, e prospettò l’ipotesi di ulteriori rivendicazioni. La

notizia della confisca, secondo alcuni “una provocazione non del tutto inattesa”246, destò in Italia “più stupore che sdegno”247, in

quanto la maggior parte dell’opinione pubblica ignorava che in Libia ci fosse una così consistente comunità italiana, e, tra i partiti, solo il Movimento Sociale Italiano condusse una campagna contro il regime di Tripoli dai toni nostalgici. Le misure adottate nei confronti degli italiani furono applicate con particolare rigore e nel giro di tre mesi fu completato l’esodo italiano248. In Libia rimasero 500 italiani

residenti e circa 1800 pendolari tra lavoratori, tecnici e dirigenti di imprese. La diplomazia italiana non era stata in grado di capire in tempo che “Gheddafi, per rafforzare il proprio potere all’interno, era disposto a compromettere le relazioni con l’Italia e a danneggiare l’economia del suo stesso paese”249.

Il governo italiano adottò un “atteggiamento prudente ed equilibrato”250, condannando sia i provvedimenti adottati dal

regime di Gheddafi, sia il tentato assalto dei neofascisti all’ambasciata libica a Roma. Il Partito Comunista accusò il governo di non aver tutelato adeguatamente gli interessi degli italiani in

245

A. Del Boca, Gli italiani in Libia.., op. cit. , p. 471

246

L. V. Ferraris (a cura di), Manuale della politica estera italiana 1947-1993, Ed. Laterza, Roma-Bari 1996, p.267

247 A. Del Boca, Gli italiani in Libia.., op. cit., p. 472 248

Il valore delle proprietà confiscate venne stimato in 200 miliardi di lire del 1970, equivalenti a 1 miliardo e 865 milioni di euro attuali (rivalutazione effettuata su rivaluta.istat.it). Il

governo italiano fornì sovvenzioni e sussidi ai rimpatriati, ma ci vollero molti anni per stabilire gli aventi diritto, a causa della scarsa documentazione e dell’assoluta mancanza di

collaborazione da parte delle autorità libiche. A. Del Boca, Gli italiani in Libia.., op. cit., p. 475- 477

249

A. Varvelli, L’Italia e l’ascesa.., op. cit., p. 107

250

Libia e di non aver condannato il passato colonialista dell’Italia251.

Aldo Moro, consapevole della necessità di mantenere buone relazioni con il mondo arabo, affermò che i provvedimenti adottati erano “un episodio isolato che non [dovevano] guastare la politica di collaborazione con i paesi arabi”252. La linea di azione sviluppata

dallo statista pugliese si articolava in due direzioni: da una parte investire della questione le Nazioni Unite per agevolare il rimpatrio degli italiani, dall’altra istituire dei contatti tra i membri dei due governi. Grazie all’intermediazione del ministro degli Esteri turco fu possibile fissare un incontro per il primo agosto tra Moro e il suo omologo libico Buessir. Le due delegazioni253 si incontrarono a

Beirut. All’accusa rivolta all’Italia da parte del ministro degli Esteri libico di aver condotto una “politica di annientamento”254 in Libia, il

titolare della Farnesina precisò che il colonialismo non faceva parte della storia repubblicana e ricordò che “alcune misure di costrizione erano proprie di un regime che le applicava anche in patria”255.

L’esito dell’incontro fu parzialmente positivo per l’Italia, che

251

Né Moro, né successivamente Rumor o Andreotti, condannarono mai il colonialismo italiano. Esprimere parole di condanna avrebbe significato sconfessare l’accordo del 1956 e ammettere la possibilità di riparazioni per la Libia. Solo nel 1988 l’ex Presidente del Consiglio e segretario generale del PSI Bettino Craxi condannò, seppur a titolo personale, l’esperienza coloniale. Per una condanna da parte del governo italiano bisognerà aspettare il novembre del 1997 quando il sottosegretario agli esteri Rino Serri espresse un giudizio netto sulla dominazione coloniale italiana. Analogo giudizio venne espresso nell’aprile del 1999 dal ministro degli esteri Lamberto Dini, in viaggio a Tripoli. Solo il 1° dicembre 1999 un Presidente del Consiglio italiano, nella fattispecie Massimo D’Alema, dichiarò a Tripoli: “Qui gli eroi nazionali libici sono stati giustiziati dagli italiani”. A. Varvelli, L’Italia e l’ascesa.., op. cit., p. 14-15; p.111

252

A. Del Boca, Gli italiani in Libia.., op. cit., p. 477

253 La delegazione italiana comprendeva, oltre al ministro Moro, il Segretario Generale del

ministero degli Esteri Gaja, il direttore degli affari politici Ducci e l’ex ambasciatore in Libia Calenda. A. Varvelli, L’Italia e l’ascesa.., op. cit., p.127

254

Ibidem

255

ottenne dalle autorità libiche uno snellimento delle formalità necessarie per l’espatrio.

Nelle settimane successive la Farnesina riuscì, anche grazie a due missioni svolte in Libia dal’ambasciatore Mario Giretti, a determinare le reali motivazioni che sottostavano all’emanazione del decreto di confisca. Secondo la diplomazia italiana i provvedimenti adottati erano la conseguenza di un instabilità interna al regime: il Presidente egiziano Nasser, spinto da motivazioni economiche e dalla volontà di isolare all’interno del CCR gli elementi contrari ad una politica filo-nasseriana, avrebbe fatto pressioni su Gheddafi affinché espellesse la comunità italiana256.

Il Ministero degli Esteri vagliò la possibilità di adottare ritorsioni, ma furono quasi tutte scartate in quanto quelle economiche avrebbero avuto ripercussioni negative ancora maggiori per l’economia italiana, e quelle legali difficilmente avrebbero avuto successo. Venne deciso di applicare un controllo più rigido in materia di visti, l’espulsione dei libici anti-italiani e il controllo del cavo telefonico sottomarino da cui dipendevano tutte le comunicazione della Libia con il resto del mondo257. Inoltre, si

sconsigliò di effettuare ulteriori investimenti in Libia. La Farnesina era preoccupata che, in occasione dell’anniversario del colpo di Stato, si potessero verificare manifestazioni anti-italiane. Le

256

A. Varvelli, L’Italia e l’ascesa.., op. cit., p. 135-138

257

celebrazioni si svolsero senza incidenti e Gheddafi, esponendo dettagliatamente i risultati della confisca, elogiò “indirettamente tutte le opere compiute da italiani che contribuirono allo sviluppo della Libia”258.

Nel mese di agosto il titolare della Farnesina cercò di intraprendere la strada diplomatica presso le Nazioni Unite. Chiese al Segretario Generale U Thant di valutare un’azione per garantire i diritti degli italiani residenti in Libia e favorirne il rimpatrio. Moro, di fronte all’inattività del Segretario Generale, reiterò le sue richiese durante un incontro con U Thant a Roma. L’unico intervento nella controversia, per la verità poco significativo, avvenne alla fine del mese di settembre, quando il Segretario Generale consegnò al rappresentate libico all’Onu un promemoria sul trattamento della comunità italiana259.

Con la morte di Nasser il 28 settembre, e la sostituzione con Sadat, fu abbandonata ogni intermediazione egiziana. Il primo incontro tra Gheddafi e Moro avvenne proprio al Cairo in occasione dei funerali di Nasser. Il ministro degli Esteri italiano aveva inoltre avviato colloqui con il suo omologo libico Najm e, in base alle aperture al dialogo del regime libico, fu avviato un lavoro preparatorio in vista di una visita in Libia dello stesso Moro. Una delle questioni più spinose da risolvere riguardava l’eventuale richiesta dall’Italia di indennizzi per le confische subite dalla

258

A. Varvelli, L’Italia e l’ascesa.., op. cit.,, p. 154

259

comunità italiana: giudicata dalla Farnesina più un’arma negoziale che un vero obiettivo, si preferì puntare sull’ottenimento di commesse e compensazioni in altri settori. La difficile situazione economica in cui versava la Libia poteva essere sfruttata dall’Italia a proprio vantaggio. Anche la Libia aveva interesse a riallacciare i rapporti con l’Italia: ciò avrebbe permesso di modernizzare il paese senza finire nella sfera d’influenza di una delle due superpotenze.

L’ENI, beneficiando anche dell’azione svolta da Enrico Mattei negli anni Cinquanta e Sessanta, godeva, rispetto alle altre compagnie petrolifere internazionali, di un trattamento privilegiato. La forza della posizione negoziale dell’ENI derivava da una sua condizione di debolezza: aveva concessioni ma non aveva ancora iniziato a sfruttare i giacimenti e quindi aveva meno da perdere rispetto alle altre compagnie. Il petrolio rappresentava “la principale arma diplomatica della Libia”260 e il 5 luglio 1970 il CCR

decretò la nazionalizzazione delle compagnie di distribuzione petrolifera261, tra le quali figurava anche l’ASSEIL del gruppo ENI,

la quale però, a differenza della altre compagnie coinvolte, ricevette un indennizzo. Nel corso di qualche anno la Libia impose alle compagnie petrolifere un aumento del prezzo ufficiale del greggio e un rincaro delle imposte governative262. L’obiettivo finale

del regime libico, raggiunto con una serie di atti emanati tra la fine

260

M. Cricco, Gheddafi e la nuova strategia del petrolio in Libia (1970-73), in M. Guderzo, M. L. Napolitano (a cura di), Diplomazia delle risorse. Le materie prime e il sistema internazionale

nel Novecento (Atti del Convegno di Urbino – 11-12 dicembre 2001), Polistampa, Firenze

2004, p. 235

261

Ivi, p. 238

262

del 1971 e gli inizi del 1974263, era la nazionalizzazione delle

maggiori compagnie petrolifere. L’ENI, favorita dall’aver sempre svolto un ruolo autonomo e indipendente dalle altre compagnie, non fu né toccata dai decreti di confisca, né nazionalizzata, ma raggiunse un accordo con il governo libico nel 1972, in base al quale veniva creata una joint venture su base paritetica264.

L’accordo, che fu strettamente legato alle forniture militari, prevedeva anche un pagamento da parte della Libia della metà delle spese sostenute dall’ente italiano, per un totale di più di 100 milioni di dollari265.