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Rapporti nelle aziende tra lavoratori italiani e stranieri

Capitolo 6: Commento delle testimonianze

6.2 Rapporti nelle aziende tra lavoratori italiani e stranieri

Basandosi sulla propria esperienza personale, il sindacalista doveva indicare qual è il clima in azienda delle relazioni tra immigrati e italiani, in particolare è stato chiesto se questi ultimi percepiscano i colleghi stranieri più come figure concorrenti o come complementari sul mercato del lavoro. Qualora si fossero verificate situazioni di conflittualità, si è indagato se queste si fossere tradotte in veri e propri episodi di discriminazione.

L'impressione generale è che durante l'orario di lavoro la convivenza tra le diverse nazionalità sia abbastanza pacifica.

<<Dentro l'ambiente di lavoro, tante problematiche che voi notate nella nostra società non ci sono, l‟integrazione tra immigrati e italiani è perfetta. Poi, chiaramente, ci sono eccezioni.. ma è chiaro, dettate dall'ambiente lavorativo talvolta stressante.>>. (Casati)

<<Con gli italiani le cose vanno bene, oramai dipende quasi esclusivamente

dalla sensibilità dei singoli individui>>. (Centamore)

Dello stesso parere anche Danilo Rocca della Cruz, responsabile immigrazione della CGIL di Firenze, anche se emergono le prime problematicità :

<< Nel 90% dei casi la convivenza è pacifica, con rare eccezioni nei lavori che hanno una caratteristica molto più alta di professionalità.>>

Secondo Rocca della Cruz infatti, gli italiani non hanno problemi ad accettare colleghi immigrati, a patto che non ricoprano mansioni di qualifica più alta:

<<Mi è capitato il caso di un' infermiera caposala immigrata che ha avuto problemi con le altre infermiere che non accettavano il fatto di avere una superiore straniera. Nel momento in cui il lavoratore immigrato ha un ruolo dirigenziale, da “capo” chiamiamolo così, un po' di invidia o di frustrazione esce fuori. Non sempre, ma spesso.>>

In qualche modo, ritorna quella visione propria dei lavoratori italiani, per cui l‟immigrato è ben accetto, ma solo se svolge quelle occupazioni abbandonate dalla popolazione locale, perché degradanti e poco qualificate. È esattamente quello che è accaduto nel settore della concia in provincia di Pisa, un ambiente particolarmente duro e rischioso per la salute dell‟ operaio.

<<Dove sono io, ci sono molti senegalesi, anche perchè c'è una grossa comunità

nella zona di Castel Franco, Pontedera e Santa Croce. Le difficoltà sono date proprio dal tipo di mansione che svolgono. Anche se è brutto dirlo, nelle concerie fanno un lavoro che gli italiani non vogliono più fare e che quindi hanno abbandonato. Lavorano con agenti chimici e sbottalare le pelli è molto pesante. Anche se con i nuovi mezzi è migliorata, per l'italiano rimane comunque un'occupazione non desiderabile.>>

(Calastri)

Forse proprio perché si sta parlando di un contesto poco ambito, Calastri conclude: <<Non vedo grossi problemi sul lavoro, anzi gli immigrati hanno sempre lavorato e

sono ben accetti>>

Non è un caso quindi che Marcello Casati faccia notare che nello stabilimento della Piaggio di Pontedera, un‟azienda considerata ambita e sicura, data l‟importanza a livello nazionale e la stabilità economica e sociale garantisce, ci siano solo una ventina

di lavoratori stranieri su un totale di 2900 operai. La sproporzione risulta ancora più evidente se si prende l‟incidenza dei migranti sul totale dei lavoratori dell‟indotto Piaggio, piccole e piccolissime imprese,che è circa del 35-40%:

<<…alla Piaggio la situazione è ben diversa, (…)è stata un'azienda ambita anche per gli italiani e che non hanno mai abbandonato, oggi più che mai.>>

Tuttavia l'impatto della crisi economica ha creato condizioni molto difficili in azienda e per qualcuno la manodopera straniera sta diventando una minaccia e non più complementare. Il settore della concia è stato fino a qualche anno fa ricco di opportunità lavorative:

<<prima si buttavano dentro anche le persone che passavano in bici davanti la

fabbrica... ma oggi no>>(Centamore)

<<Come dice un mio amico e sindacalista senegalese “prima, appena

arrivavamo, ci aspettavano con i pullman e ci portavano in azienda, oggi, se solo potessero, ci rispedirebbero tutti a casa con quegli stessi pullman”(…) Molti immigrati oggi chiedono anche di tornare a casa, magari incassando qualcosa dalle aziende e poi tornare in patria. Qualche azienda lo fa, se magari ha un esubero di manodopera, allora mette l'operaio immigrato in mobilità oppure dà incentivo.>>(Casati)

<<Fino a prima della crisi i rapporti erano buoni, dato che gli stranieri sopperivano alla carenza di offerta di lavoro degli italiani in certi settori. Adesso sento dei commenti poco belli, essendoci meno lavoro c'è più insofferenza e in molti guardano agli stranieri con diffidenza>>(Calastri)

La crisi economica sta deteriorando profondamente le condizioni occupazionali di tutti i lavoratori.

<<Ora con la crisi, penso anche che forse alcuni italiani sarebbero disposti a

tornare a quelle occupazioni poco richieste, come quelle della concia. Chiaramente la disperazione dopo un licenziamento fa rivalutare anche le proprie aspettative e quindi non si esclude più niente.>>(Calastri)

<<Il vantaggio dell'avere manodopera immigrata è più per l'azienda, che

magari li manda a fare i lavori più difficili, pesanti e pericolosi che gli italiani fino a ieri rifiutavano di fare, ma oggi con la crisi che c'è stanno cambiando idea.>>(Osmani)

La crisi economica ha quindi inciso profondamente sulle ambizioni dei lavoratori italiani, che si scoprono più vulnerabili e pronti a svolgere occupazioni più umili. Di conseguenza, a qualcuno riesce più difficile accettare la presenza di manodopera immigrata. Tali malumori non vanno sottovalutati, perché possono essere

spie di un mal celato sentire comune che rischia di diventare la miccia d‟accensione di gravi tensioni sociali.

Come evidenziato nel secondo capitolo, la crisi ha gravemente colpito anche i lavoratori stranieri, un dato che riscontriamo anche nelle testimoniaze:

<<tra gli immigrati della prima ora (magari che sono qui da più di 10 anni) c'è

la percezione condivisa che ora il sistema Italia non sia più la terra promessa che li ha inizialmente attirati (…) I più lungimiranti oggi iniziano a dire “accidenti a me che ho investito tanti soldi nel mio paese quando magari potevo comprarmi una casa qua in Italia e garantirmi di più nella mia famiglia>>

Nessuno dei sindacalisti cita veri e propri episodi di discriminazione all‟interno del luogo di lavoro, si fa piuttosto riferimento a un clima talvolta teso, che si compone di commenti poco amichevoli e malumori. In generale, quando presente, l‟atteggiamento insofferente degli italiani verso gli stranieri è da imputare alla scarsa sensibilità delle persone e alla chiusura mentale dettata dall‟ignoranza. Rocca della Cruz esclude la presenza di razzismo, ma piuttosto pone l‟accento su:

<<atteggiamenti che nascono dall'ignoranza, non credo ci sia razzismo. È

l'ignoranza di non conoscere le altre culture>>.

Sia Calastri che Osmani non parlano di discriminazione, quanto piuttosto di: <<casi di mobbing che hanno portato al licenziamento o comunque hanno

messo alle strette il lavoratore straniero. Ma questo purtroppo succede ormai anche agli italiani. Quando si è in crisi e si hanno esuberi di manodopera, molti datori fanno di tutto per mandare via il lavoratore o comunque lo licenziano velocemente. In alcuni casi i lavoratori stranieri sono i primi ad essere vittime di questi episodi, magari sopratutto in un‟ azienda di sette o otto persone, quindi di media e piccola dimensione, che compongono maggiormente il settore del cuoio.>>(Calastri)

<<La frequenza di questi episodi è aumentata negli ultimi anni, anche se rimangono non molto frequenti. Rispetto a cinque o sei anni fa, quando queste cose succedevano una o due volte all'anno, ora verifichiamo dieci o quindici episodi all'anno. Il fenomeno è in crescita e il punto di partenza è sempre lo stesso “se non ci fosse quella persona lì, avrei io il suo posto di lavoro”>>.(Osmani)

Tornando alla questione dei licenziamenti, Gabriele Gerini segretario degli edili UIL, dà una spiegazione molto interessante del fatto che talvolta si preferisca licenziare stranieri al posto di italiani, il passaggio in questione sarà preso in esame nel prossimo

paragrafo. Sempre per Gerini, la discriminazione nasce quando il bersaglio è più debole e poco istruito:

<<In Italia vengono interi nuclei familiari magari con condizioni di povertà

molto profonde, con un basso grado di scolarizzazione e un grado di bisogni elevato e nei loro confronti è più facile creare situazioni di discriminazioni>>

Un altro elemento di riflessione è la distinzione tra immigrati integrati e gli ultimi arrivati. Questi ultimi infatti sono visti come una minaccia anche da coloro che in passato hanno condiviso la stessa esperienza:

<<più gli stranieri sono integrati e si sentono italiani e maggiormente si

allineano su posizioni diffidenti nei confronti di stranieri bisognosi e meno integrati, e che quindi sono più disponibili a sacrificare in termini di diritti>>. Coloro che hanno

acquisito diritti tramite il lavoro, tendono a preservare il loro status sociale e, risentendo anch‟essi della recessione, guardano ai nuovi migranti con sospetto, capendo perfettamente che la loro disponibilità incondizionata potrebbe renderli preferibili nelle scelte del datore di lavoro. L‟attaccamento al lavoro, rende l‟ immigrato più ricattabile ed è questo il punto di partenza dei reali malumori dei lavoratori locali.

<<L'unica cosa che ha infastidito i lavoratori italiani è stata la grande

disponibilità che i gli immigrati dimostravano a lavorare; dimostravano molto attaccamento al lavoro per guadagnare di più. L'italiano di per sé viveva tranquillamente col suo stipendio lavorando cinque o sei giorni a settimana e aveva le sue abitudini, ma da quando sono arrivati gli immigrati è successo che il sabato, e addirittura la domenica, loro abbiano dato disponibilità all'azienda per andare a lavoro. Oppure, se mettevano i lavoratori italiani a delle macchine con fastidi ambientali, arrivavano lamentele o veniva chiamata l‟Asl. Invece gli operai immigrati si adeguavano tranquillamente, perché venivano da un mondo con esperienze e tutele diverse.. ammesso che ci fossero, in quei paesi. Questo è stato visto dagli italiani come una cosa nociva, che guastava certe tradizioni a cui si erano abituati.>>(Casati)

Ma la questione è molto più profonda e incide direttamente su tutti i lavoratori e soprattutto sui diritti:

<<i lavoratori italiani accusano i colleghi di stranieri di fare tutto: “ti dicono di

fare quello e lo fai!”, “accetti anche cinque euro l'ora, non è corretto!”. Hanno ragione, non è corretto, perché questo impoverisce la contrattazione e la condizione di tutti i lavoratori. È come quando si applicano differenze di salario: il datore crede che l'immigrato possa prendere meno perché non ha qualificazione e si accontenta più

facilmente, cosa condivisa anche dai colleghi italiani. Attenzione! Un domani il datore può applicare lo stesso trattamento anche a te italiano. Perché se si va a impoverire una categoria di lavoratori sulla base della provenienza, domani il datore vorrà comunque continuare a risparmiare.>>(Rocca della Cruz)

Le fratture che si creano all‟interno delle stesse categorie, possono essere imputate anche agli stessi datori di lavoro, che talvolta preferiscono dipendenti immigrati a quelli italiani.

<<Per il datore di lavoro la manodopera immigrata non è più complementare,

ma in alcuni settori è proprio la prima scelta. Per esempio, nel settore dei trasporti c'è un fenomeno nuovo che sto seguendo. La normativa dell' Unione Europea sugli autotrasportatori è molto rigida, vale per i cittadini dell'Unione, ma non per gli altri. Stanno arrivando centinaia di autisti dalla Lituania, che hanno libera circolazione, ma per loro non valgono le normative europee, soprattutto per quanto riguarda i tempi di riposo. Un camionista italiano o comunque comunitario, ha dei tempi di riposo imposti dalla legge e sono rigidi, regolati con un disco orario, e se non rispettati c'è il rischio di ritiro della patente e pesanti multe per il guidatore e, se dipendente, per il datore di lavoro. Quindi datori di lavoro poco seri, poco seri perché fanno aumentare anche le probabilità di incidenti, stanno preferendo lituani a italiani, pur di rimanere sul mercato. Ovviamente fenomeni di questo genere vengono percepiti dai lavoratori italiani come concorrenza sleale. Invece per i datori di lavoro con un po' di pelo sullo stomaco (…) vengono presi come linea preferenziale di assunzione, dato che preferiscono persone meno vincolate.(…)Poi se si vanno a prendere realtà specifiche, come la piccola conceria pisana, dove magari sono tre fratelli e quattro dipendenti, e vogliono che questi quattro dipendenti rispondano a tutte le esigenze dell'azienda (lecite e meno lecite) allora si rivolgono alla manodopera immigrata, puntando o sull'ignoranza o sulla loro grande disponibilità che li rende pronti a tutto pur di ottenere una retribuzione>>(Centamore)

La ricattabilità si acuisce in momenti particolari, come sottolinea Osmani, <<Soprattutto in prossimità della scadenza del permesso di soggiorno, all'immigrato si

chiede sempre di più: più flessibilità di orario o comunque una maggiore disponibilità, quindi se l'azienda chiede un'ora in più o comunque di fare un orario diverso da quello stabilito per contratto, gli stranieri molte volte non riescono a dire di no. Sicuramente con la crisi sono ricattabili anche i lavoratori italiani, ma almeno loro non hanno il

problema della permanenza in Italia. È lo stesso immigrato che magari mette da parte i suoi diritti, pur di avere assicurati i documenti in vista del rinnovo del permesso>>

In conclusione, nei luoghi di lavoro, italiani e stranieri si trovano ad interagire quotidianamente, la convivenza risulta grosso modo pacifica, anche se non mancano importanti segnali di sofferenza che, se trascurati, possono sfociare in veri e propri conflitti.

Il clima risulta fortemente deteriorato dalla crisi economica. Forse sarebbe meglio parlare di tolleranza dell‟immigrato piuttosto che una vera e propria reciprocità. Infatti uscendo dalla fabbrica o dall‟ufficio le relazioni sono del tutto assenti, se non addirittura accuratamente evitate.

<<(…) questo non vuol dire che siano amici. Succede molto anche al Nord,

questo lo so dagli incontri che ho avuto coi colleghi del bresciano, del Veneto etc, anche loro mi confermano che sul luogo di lavoro ci sono ottimi rapporti. Ma fuori dall'orario lavorativo non ti conoscono, non vorrebbero neanche andare a prendere un caffè insieme. Anche col datore di lavoro si verifica la stessa cosa. Ci sono cose che potrebbero sembrare paradossali. Datori che concedono premi a lavoratori immigrati e che poi partecipano a raccolte firme contro gli immigrati. Ora comunque questi fenomeni sono meno diffusi, da quanto la Lega ha cominciato a perdere consensi>>(Rocca della Cruz)

In un momento economico estremamente difficile, sentimenti di frustrazione e rabbia si riflettono soprattutto sul difficile tema dell‟accesso ai servizi, un ambito in cui gli italiani ritengono che gli stranieri vengano favoriti, come emerso anchedalle ricerche di Tassinari a Firenze e Prato.

<<Sul tema del welfare c'è molta sensibilità: l'italiano si lamenta che la casa popolare sia data più agli stranieri che altro; effettivamente, essendo assegnate per reddito e per numero di figli, gli immigrati spesso hanno priorità. Proposi alle istituzioni politiche locali di distribuire un numero paritario di alloggi sia a stranieri che italiani, perché se il parametro è proprio quello di figli e reddito, i “nostri” non prendono più una casa. Mi fu detto che era un ragionamento razzista. Il mio discorso non voleva affatto esserlo, ma voleva essere un discorso logico che tenesse conto anche degli italiani, che stanno risentendo fortemente della crisi>>.(Casati)