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Il rapporto con Cencio di Giovanni Tignoso e la predicazione da parte dei laici

Nel documento DOTTORATO DI RICERCA IN Studi storici (pagine 77-86)

II. L A PREDICAZIONE DI SAN P IER D AMIANI TRA IMPEGNO POLITICO E RIELABORAZIONE

II.3. Il rapporto con Cencio di Giovanni Tignoso e la predicazione da parte dei laici

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colloquio che ancora oggi pone degli interrogativi non solo tra i dantisti, ma anche tra gli storici.

II.3. Il rapporto con Cencio di Giovanni Tignoso e la predicazione da parte dei

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Vita s. Romualdi208, a esse si accompagnano gli esemplari casi dei ss. Rodolfo, vescovo di Gubbio, e Domenico Loricato, eremita molto caro al Damiani e precocemente scomparso. Lucchesi ha, inoltre, dimostrato come un’ulteriore opera agiografica attribuita al santo fosse da considerarsi spuria209, mi riferisco alla Passio ss. Virginum Florae et Lucillae210

«Nel clima di intensa e diffusa partecipazione ai destini della Chiesa le proposte di santità, la composizione dei testi agiografici così come la promozione di un culto non sono mai slegati dal dibattito spirituale, ideologico e politico»211

Come ha già osservato Umberto Longo212 a proposito di uno degli scritti meno studiati del santo, la Vita Mauri, Pier Damiani scrive su commissione quest’opera agiografica consapevole che il testo possa servire da esempio e sprone per la vita del clero cittadino. Nel rispondere a un’esplicita richiesta di Giovanni213, vescovo di Cesena tra il 1031 e il 1053, l’Avellanita riesce a diffondere il suo programma di riforma. In realtà, egli non affronta aspetti che potremmo definire attivi nella lotta. La riforma è intesa dal Damiani come ritorno a una purezza perduta, ma soprattutto a un’intimità con Dio che può realizzarsi esclusivamente nella solitudine dell’orante. Lo scopo è più che altro quello di riformare i singoli chierici nella loro spiritualità, piuttosto che il loro ruolo svolto nella cura d’anime. Lo stesso san Mauro ne fornisce un esempio. Infatti, per quanto la sua condotta da vescovo fosse stata esemplare, lo scatto decisivo verso la santità sarebbe venuto dalla ricerca di un luogo dove a saecularium turba secedere et soli Dio posset

208 PL 144, 953. Quest’opera fu scritta a Petra Pertusa nel 1042, quindici anni dopo la morte di Romualdo.

209 Lucchesi G., Clavis s. Petri Damiani, op. cit.pp. 72-76. L’incertezza era dovuta anche al fatto che Pier Damiani avesse scritto i sermoni 34 e 35 dedicati alle due sante vergini.

210 PL 144, 1025.

211 Longo U., Esiste una santità della riforma del secolo XI?, in Riforma o restaurazione? La cristianità nel passaggio dal primo al secondo millennio: persistenze e novità, Atti del XXVI Convegno del Centro studi avellaniti, Fonte Avellana, 29-30 agosto 2004, Negarine di S. Pietro in Cariano (VR) 2006, pp. 51-69.

212 Ibidem.

213 Il Damiani scrive, inoltre, due lettere, la 12 e la 19, a questo vescovo in cui, oltre a esprimere il proprio affetto e la propria ammirazione per il prelato, parla di alcuni suoi scritti inviatigli. Non si ha la certezza che tra questi ci fosse la Vita Mauri, ma è ragionevole pensarlo. La data di composizione dell’ep.

2 è il 1045.

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specialius adherere214. La vocazione eremitica risulta essere il vero merito spirituale di Mauro. Il vescovo cesenate, vissuto in data imprecisata tra IX e X secolo, non è però un eremita come Romualdo. Sarebbe stato un errore proporre come modello di comportamento un personaggio come quest’ultimo al clero della cattedrale di Cesena. Le istanze della riforma vanno sì portate avanti, ma anche adattate ai destinatari del messaggio. Si tratta di un nuovo modello agiografico sviluppato dal Damiani in seno alla sua opera di riforma? Assolutamente no. L’Avellanita aveva bene in mente due modelli di santità e scritturali, faccio riferimento a Gregorio Magno e Martino di Tours. Entrambi erano vescovi ed entrambi hanno passato dei periodi dedicati alla sola contemplazione ascetica.

Pier Damiani è in questo caso «tedoforo e ideologo»215 di una nuova corrente eremitica. Il fatto di applicare questi grandi modelli al vescovo cesenate Mauro non è quindi una novità letteraria, il punto più interessante è la convergenza operata dal Damiani tra la richiesta del committente, i destinatari, il messaggio. Abbiamo un’idea di riforma dei costumi e dello stesso modus vivendi di tutte le categorie facenti parte della Chiesa di Cristo, siano essi monaci, eremiti, chierici, vescovi, ma anche laici, che va trasmessa attraverso tutti i canali possibili. In questo caso il nostro sceglie l’agiografia, coglie l’opportunità fornitagli dalla richiesta del vescovo Giovanni, guarda agli immediati destinatari, ma anche, questo va evidenziato, alla città. Il contesto negli scritti di Pier Damiani è un aspetto fondamentale, non solo inteso come contesto storico, politico e culturale. Lo spazio risulta essere un elemento fondamentale, una chiave di lettura dei suoi scritti a cominciare dai sermoni. Lo spazio liturgico, lo spazio geografico, lo spazio mentale dei lettori e degli astanti.

La Vita Mauri fornisce la base per due riflessioni che coinvolgono pienamente il sermonario damianeo, si tratta di temi non immediatamente percepiti, ma che risultano essere indispensabili per una comprensione storica e per il tipo di approccio del Damiani verso il suo pubblico. La prima riflessione è certamente quella agiografica, che svilupperò pienamente più avanti parlando del concetto di exemplum nei sermoni, la seconda va a coinvolgere l’opera epistolare damianea attraverso alcune lettere tra le più celebri. Si

214 Vita Mauri, PL, 144, col. 947D.

215 Prendo in prestito queste felice definizione del nostro santo da Longo U., Esiste una santità, op. cit., p.67.

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tratta primariamente dell’epistola 65216, mai avida di spunti e informazioni, specchio della società e della temperie riformatrice nel suo rendersi fatto storico vivo e tangibile.217 Se quest’ultima può essere vista come un prezioso modello di predicazione trascritta, ma non ristrutturata dalle fondamenta (come accade per i sermoni), diverso, invece, il discorso relativo a un’altra celebre lettera. Il destinatario è il prefectus Urbis Cencio di Giovanni Tignoso218, siamo nel 1067219, il Damiani inizia ad accusare una certa stanchezza fisica, pur perseverando nei suoi numerosi spostamenti tra Fonte Avellana e Roma.220 La lettera offre notevoli prospettive di lettura nonostante la relativa brevità e fornisce una visione del compito dei laici all’interno del movimento riformatore cui accennerò brevemente, ma soprattutto delinea il profilo del perfetto predicatore.

216 Reindel K., Briefe 65.

217 Non mancano gli studi dedicati a tale opera, riporto qui solo quelli più specifici, escludendo quelli più generici sulla Pataria milanese: Benson R. L., The bishop-elect. A study in medieval ecclesiastical office, Princeton, Princeton University Press, 1968, cfr. in particolare la p. 73. Palazzini P., San Pier Damiani, la Riforma e il «Privilegium Romanae Ecclesiae», “L’Osservatore romano”, 9 novembre 1969, p. 6. Palazzini P., La missione milanese di San Pier Damiani e il “Privilegium S. R. Ecclesiae”, “Atti e memorie della Deputazione di storia patria per le Marche”, serie VIII, 7 (1971-73), p. 171-195. Palazzini P., Una citazione errata di San Tommaso, il Privilegium Romanae Ecclesiae e la missione milanese di San Pier Damiani, in San Tommaso. Fonti e riflessi del suo pensiero, Roma, Città Nuova - Pontificia Accademia Romana di San Tommaso d'Aquino, 1975, (“Studi tomistici”, 1), p. 154-175. Caron P. G., La condanna dell’investitura laica nel pensiero e nell’azione dei pontefici precursori della riforma gregoriana, in La preparazione della riforma gregoriana e del pontificato di Gregorio VII. Atti del IX convegno di studi avellaniti, Fonte Avellana, 1985 (ma 1986), p. 5-23. Capanni, Fabrizio, Un episodio della riforma dell’XI secolo. La legazione milanese di s. Pier Damiani, “Sacra doctrina”, (1993), p. 654-681. Tomea P., Tradizione apostolica e coscienza cittadina a Milano nel medioevo. La leggenda di san Barnaba, Milano, Vita e pensiero – Pubblicazioni dell’Università Cattolica, 1993 (“Bibliotheca erudita. Stdi e documenti di storia e filologia”, 2). Fornasari G., Urbano II e la riforma della Chiesa del secolo XI ovvero la riforma della «dispensatio», in Cristianità ed Europa. Miscellanea di studi in onore di Luigi Prosdocimi, a cura di Alzati C., 2 voll. Roma-Freiburg-Wien, Herder, 1994, qui 1., p. 91-110; ora anche in: Idem, Medioevo riformato del secolo XI. Pier Damiani e Gregorio VII, Napoli, Liguori editore, 1996 (“Nuovo medioevo”, 42), p. 513-533.

218 Per un profilo biografico del prefetto Cencio di Giovanni Tignoso rimando allo studio di D’Acunto N., L'età dell'obbedienza: papato, impero e poteri locali nel secolo XI, Liguori, Napoli 2007, pp.

47-85.

219 Lucchesi G., Per una vita, op. cit., suggerisce l’ipotesi del 7 gennaio 1067, pp. 85-87.

220 Reindel K., Briefe 145 e PL 144 coll. 461-464

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Pier Damiani spesso esorta i suoi interlocutori laici più illustri a operare una conversio, intesa come progressiva vicinanza al contemptus mundi da culminare con l’ingresso in monastero. La vita contemplativa è la vera militia Christi secondo l’Avellanita, il quale non manca di aborrire a più riprese gli interventi guerreschi dei pontefici suoi contemporanei221. Nel caso del suo encomio a Cencio, però, viene palesato un interesse più concreto, ma non inedito222:

Esto David in sanctae discretionis arte discipulus, qui et clementer indulsit se persequentibus veniam, et rigidam tenuit in alienae caedis ultione censuram. Judae quoque Machabaei te pedissequum exhibe, qui ad hoc non cessabat, et fulmineus in hostes irruere et tumentia tyrannorum colla gladiis ultoribus obtruncare, ut contribules suos ab imminenti saevientium barbarorum caede protegeret. Pro tuendis ergo facultatibus Ecclesiarum infoederabiliter dimicans, violentos pauperum oppressores ulciscere;

aequitatis atque justitiae loricam tene, totum te non domesticae curae, sed reipublicae constanter impende.223

Il prefectus Urbis è il braccio armato della riforma, una posizione già del miles Erlembaldo all’interno della Pataria milanese.224 Voglio qui porre l’attenzione anche su un aspetto marcatamente retorico dell’epistola e propriamente damianeo. La rigida censura iniziale subisce un’evoluzione lessicale e assume una forza intesa come violenza tangibile nell’obtruncare colla in un’analisi dei passi veterotestamentari, resa vivace dal climax adoperato. Si potrebbe, tuttavia, obiettare che queste metafore bibliche siano da interpretare, appunto, come tali, limitando così il discorso alla strumentalizzazione esemplare delle figure retoriche da lui operata frequentemente nei suoi scritti. Vero è che isolare una singola porzione di testo dal suo contesto, inteso sia come parte restante dello

221 Emblematico risulta essere il caso di Leone IX e della sua politica militarmente impegnata e non solo in senso difensivo, si pensi al suo intervento contro i Normanni in Italia meridionale. Cfr Reindel K., Briefe 87 e gli studi di Blum O. J., The monitor of the popes St. Peter Damian, in Studi Gregoriani, II Roma 1947, pp. 463-464; Erdmann, Die Entstehung, pp. 130-132.

222 Reindel K., Briefe, Nr. 68, p. 290, datata 1059-1063

223 Reindel K., Briefe 145, PL 144.

224 Violante C., I laici nel movimento patarino, Vita e Pensiero, Milano 1965.

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scritto sia come motivazione che ha portato alla stesura dello stesso, sarebbe un errore.

La lettera 145 ha una sua struttura ben chiara già ad una prima lettura225. Se l’esordio promette un elogio per quanto accaduto nella basilica petrina, ciò che si ricava nelle righe successive è un invito di Pier Damiani affinché Cencio rispetti il suo ruolo da laico.

Guardando a queste due parti del testo ci si accorge di come il profilo di Cencio risulti essenziale per la lotta alla riforma, non all’interno delle dispute dottrinali, ma come braccio armato, difensore dei beni ecclesiastici, della sicurezza del papa e del gruppo riformatore226.

Il problema qui creatosi è relativo proprio alla predicazione e non è una novità, proprio in questi anni il parlare al popolo è divenuto uno strumento formidabile per la causa della riforma, ma, al contempo, lo stesso pontefice Alessandro II cerca di porre un freno a un fenomeno che rischia di sfuggire di mano e di riportare in auge le eresie227. Gli

225 Mi si perdoni la schematicità, trovo, tuttavia, utile riportare qui una panoramica dei temi affrontati al fine di una migliore comprensione e di un più agevole spostamento nella complessiva economia del ragionamento damianeo.

- In apertura il Damiani spiega l’occasione per cui ha deciso di scrivere a Cencio.

- Dopo un primo riferimento alla situazione creatasi all’interno della basilica di San Pietro, enuncia il concetto di sacerdozio regale dei fedeli.

- Dal generale al particolare: viene comparato il ruolo del laico Cencio a quello del sacerdote Pier Damiani.

- Delinea il profilo del perfetto predicatore. Utilizza la metafora dell’angelo e della stella, entrambi portatori di luce ma in maniera diversa.

- Ritorna a parlare, stavolta in maniera più approfondita, del ruolo sociale di Cencio, prefetto di Roma.

- Conclusione con i riferimenti scritturali sul tema della violenza necessaria.

226 L’omonimia tra Cencio di Giovanni Tignoso e il Cencio del prefetto Stefano che poi attenterà alla vita di Gregorio VII e già in precedenza fu strenuo nemico del partito riformatore, mi dà l’occasione di ricordare la difficile situazione politica all’interno delle élite romane del periodo. Cfr. D’Acunto N., L’età dell’obbedienza: papato, impero e poteri locali nel secolo XI, Napoli 2007.; Borino G.B., Cencio del prefetto Stefano, l’attentatore di Gregorio VII, in Studi Gregoriani, IV, Roma 1952, pp. 373-440.

227 Mi riferisco alla lettera rivolta al clero e al popolo fiorentino per porre un freno alla predicazione dei monaci vallombrosani. Benché si tratti comunque di religiosi, è bene limitare l’attività pastorale onde evitare degli sconvolgimenti all’interno dell’equilibrio della gerarchia ecclesiastica. Alexander Papa II, Epistularum fragmenta, in Mansi J. D., Sacrorum conciliorum nova et amplissima collectio, XIX, Venezia, a. Zatta, 1769, co. 979.

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stessi movimenti patarinici, mi riferisco ai casi di Milano e Firenze, oscillano pericolosamente sul baratro dell’eterodossia nel propugnare un riordino della gerarchia ecclesiastica. Lo stesso Pier Damiani approfitta della lettera rivolta a Cencio per enunciare brevemente il suo pensiero in merito all’ufficio della predicazione. Giova ricordare che le lettere, così come ci sono pervenute, sono frutto di una rielaborazione letteraria voluta dello stesso autore; motivo per cui risulterà più importante affrontare il tema trattato anziché i rapporti personali tra mittente e destinatario, spesso solo funzionali all’idea che l’Avellanita intende presentare.

Il cuore della lettera presenta un’analisi degli ordines all’interno della società medievale, la dicotomia tra il ruolo dell’ecclesiastico e quello del difensore laico della riforma offre il pretesto per delineare il profilo del perfetto predicatore:

Perfecto praedicatori duo sunt permaxime necessaria, videlicet ut sententiis doctrinae spiritualis exuberet et religiosae vitae splendore coruscet. Quod si sacerdos quispiam ad utrumque non sufficit, videlicet ut et vita clarus, et doctrinae facultate sit profluus, melior est vita procul dubio quam doctrina. Dulcior quippe est fructus operum quam folia nuda verborum. Et plus valet vitae claritas ad exemplum quam eloquentia, vel urbanitas accurata sermonum.228

Il periodo lascia poco margine d’interpretazione, il perfetto predicatore deve essere in possesso di sapientiae doctrinae spiritualis e splendor religiosae vitae, dunque, non troppo velatamente, il predicatore deve essere un ecclesiastico, un uomo dedito alle pratiche religiose e infuso di dottrina teologica. Il messaggio è chiaro, ma l’abilità retorica del Damiani gli permette di affrontare il concetto da un punto di vista diverso. Infatti, nel prosieguo della lettera egli si dimostra preoccupato più di coloro che non conducono una vita procul dubio, pur possedendo i fondamenti dottrinali. Il discorso viene totalmente spostato sul ruolo e sull’esempio forniti dal sacerdote ai fedeli; la vita esemplare è alla base, come leggeremo nei sermoni, della sua predicazione “ufficiale”. Tuttavia, qui il Damiani rivolge a Cencio un implicito invito a farsi un esame di coscienza, poiché la descrizione di un profilo ideale di predicatore può essere più utile di un ammonimento

228 Reindel L., Briefe 145.

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diretto. Sostanzialmente, nel disegnare questo ideale di predicatore fa notare al prefetto ciò che egli non è, così da indurlo a comprendere il suo errore.

Ho finora tralasciato il nucleo del discorso, il motivo per cui questa lettera viene scritta, la genesi della questione di un prefectus Urbis che si atteggia a predicatore. Non si tratta certo di uno scritto sconosciuto o vittima di lacune storiografiche. La lettera a Cencio ha sempre interessato gli studiosi per quanto riguarda il rapporto tra Pier Damiani e i laici, per il sacerdozio regale dei fedeli, per la figura del prefetto stesso, ecc.229 Preme in questa sede evidenziare alcuni aspetti secondari. Fornirò qui prospettive di analisi: il messaggio che egli vuole trasmettere ai lettori e il teatro della predicazione di Cencio.

Poco sopra ho già tracciato le linee riguardanti il primo punto della questione, considerato che la retorica è lo strumento con cui Pier Damiani comunica velatamente a Cencio di non esulare dal suo ruolo, risulta anche evidente un’apertura verso la predicazione dei laici, se di predicazione è opportuno parlare. Rivolgendosi a Cencio dice:

ita locutus es, non ut praefectum reipublicae, sed potius ut sacerdotem decebat Ecclesiae nec saecularis hominis verbum, sed apostolicae praedicationis audiebatur eloquium. […] Constat ergo quemlibet Christianum esse per gratiam Christi sacerdotem, unde non immerito debet ejus annuntiare virtutem.230

Se cercassimo una prova di quello che è definito sacerdozio regale dei fedeli, credo che questo passo sarebbe il più chiaro al riguardo. Pier Damiani dice espressamente che ogni cristiano è sacerdote per grazia di Dio con al centro il concetto di imitatio Christi.

In un certo senso si dà per scontata l’erronea inversione di ruoli avvenuta, l’autore sembra quasi giustificare l’attività predicatoria del laico e prosegue rivolgendosi direttamente al prefetto:

Tu praesertim hujus sacerdotii et regni evidenter imitaris exemplum, dum et in tribunalibus legitimae sanctionis jura promulgas, et in ecclesia persequens exhortationis

229 Cfr. nota 65.

230 Reindel L., Briefe 145.

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instantiam, astantis populi mentes aedificas. Ego autem cui per sacerdotalis ordinis gradum injunctum est praedicationis officium […].231

L’apostrofe iniziale Tu va letta in contrapposizione all’Ego seguente. Viene dato merito all’operato di Cencio, ma usa attentamente il lessico: al primo è imposto l’ufficio della predicazione dal suo sacerdotalis ordo, il secondo, invece, imita l’exemplum huius sacerdotii. Segue poi il profilo del perfetto sacerdote di cui ho già parlato. Le sottigliezze lessicali fanno la differenza. Prima di concludere la lettera con un invito a rendersi più che mai braccio armato di Cristo e, per inciso, dei riformatori romani, esce allo scoperto:

[…] in his, quae gloriose coepisti, gloriosius persevera; modo forense ligitium examine justitiae dirimens, modo servata mensura tui ordinis, in ecclesia salutiferae exhortationis verba depromens.

[…]

sic jurgia tumultuantis populi per disciplinae vigorem reprimas, ut in quantum tui ordinis facultas suppetit, etiam ecclesiastici status jura componas.232

Ogni volta che il Damiani concede un’apertura in merito all’atto di predicare fa precedere la frase da un riferimento al vero ruolo di Cencio nella società: dirimere le dispute, declamare al popolo nella pubblica piazza, promulgare leggi. Solo in caso di necessità e sempre rispettando il suo ordo, quindi il suo ruolo, egli può prendere la parola in chiesa, ma non per predicare nella pienezza del termine (come ha già efficacemente spiegato), non può parlare di dottrina, non può affrontare temi legati ai sacramenti o argomenti teologici; deve, altresì, esortare, dare l’esempio con al sua condotta di vita, ma soprattutto deve far rispettare gli iura della Chiesa. Come si evince da questa breve analisi, Pier Damiani non concede alcuna deroga all’ufficio della predicazione, non vi è una compenetrazione tra gli ordines233, l’oralità intesa come strumento di comunicazione al popolo da parte di Cencio deve rimanere conclusa nell’utilità che effettivamente può trarne il prefectus Urbis.

231 Ibidem.

232 Ibidem.

233 D’Acunto N., L’età dell’obbedienza, op. cit.

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L’atteggiamento dell’Avellanita nei confronti di Cencio è apparentemente ambiguo. Scomponendo, ricomponendo e rileggendo il testo si nota, invece, che l’idea del sacerdozio regale dei fedeli, a mio avviso234, venga qui utilizzata come artificio retorico per invitare il destinatario a rispettare il suo ambito, svolgere i compiti relativi al suo ordo e intendere la pubblica declamazione come esortazione e non predicazione al popolo, l’accento è posto sulla dimensione morale dell’attività di Cencio. Ritorno qui all’importanza dei luoghi. Il problema posto in essere dal Damiani non prende il là da una volontaria e reiterata attività predicatoria del prefetto, c’è, invece, un momento ben preciso e soprattutto un luogo. Quest’ultimo è la basilica di San Pietro. Non conosciamo i dettagli relativi a questo episodio, sappiamo però che quel giorno Cencio ha preso la parola in chiesa e durante la solennità dell’Epifania. Pier Damiani ne apprezza le parole nel primo capoverso, salvo poi impiegare il resto della lettera per condannare questo scivolamento di Cencio di Giovanni Tignoso fatto nell’ordo, nel luogo e nel momento sbagliati.

II.4. I rapporti tra Pier Damiani e la Pataria. L’Actus Mediolani e l’epistolario

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