3. I RAPPORTI CON LA LIBIA
3.3 La richiesta di rifornimenti militari da parte di Gheddafi
Gheddafi
I contatti tra Roma e Tripoli, in vista della visita di Moro in Libia, continuarono incessantemente. L’intento di migliorare i rapporti con il regime di Gheddafi e di far apparire il governo italiano sotto una luce diversa può essere una delle chiavi di lettura di un evento avvenuto nella primavera 1971. Il 21 marzo la polizia italiana, grazie anche all’aiuto del SID266, sequestrò a Trieste il
Conquistador XIII, sventando un colpo di Stato ai danni di
263
M. Cricco, Gheddafi e la nuova strategia.., op. cit., p. 244-246
264
A. Varvelli, L’Italia e l’ascesa.., op. cit., p. 245
265
Ibidem
266
Gheddafi267. Il golpe, nome in codice “Operazione Hilton”268, era
stato organizzato da Omar Shalhi, ex emissario di re Idris. Tra le motivazioni che spinsero l’Italia ad intervenire vi era la convinzione che, se il colpo di Stato avesse avuto successo, si sarebbe istaurato un regime simile a quello attuale, ma avrebbe causato un allungamento dei tempi di riconciliazione tra i due paesi. Gheddafi era considerato un “male minore”269 rispetto al rischio di un
avvicinamento della Libia all’Urss.
Il 5 maggio Moro e Gheddafi si incontrarono a Tripoli. Il titolare della Farnesina propose al Colonnello una cooperazione privilegiata con l’Italia, al fine di contribuire alla modernizzazione
dell’economia libica, in cambio di agevolazioni
nell’approvvigionamento energetico270. In quell’occasione Gheddafi
avanzò anche la richiesta di forniture militari271, la quale, almeno in
primo momento, non fu accolta da Moro. L’esito dell’incontro fu nel complesso positivo, come si può dedurre dal comunicato congiunto dei due leader: “Il Presidente Gheddafi ha dichiarato che una nuova pagina nei rapporti italo-libici dovrebbe venire aperta in maniera da sviluppare in molti campi una proficua collaborazione”272.
Nel gennaio 1972 Gheddafi reiterò la richiesta di rifornimenti militari, trovando il consenso del governo italiano. Nello specifico
267
A. Varvelli, L’Italia e l’ascesa.., op. cit., p. 186
268
A. Del Boca, Gli italiani in Libia.., op. cit., p. 479
269
Ivi, p. 480
270 M. Cricco, Aldo Moro e la cooperazione economica con i paesi arabi, in F. Perfetti, A. Ungari,
D. Caviglia, D. De Luca (a cura di), Aldo Moro nell’Italia contemporanea, Le Lettere, Firenze 2011, p. 625
271
A. Varvelli, L’Italia e l’ascesa.., op. cit., p. 199
272
veniva richiesta la fornitura di veicoli cingolati M-113 prodotti dalla Oto Melara273, la quale aveva un accordo di coproduzione con una
ditta americana, che deteneva il brevetto, per la fabbricazione “ad esclusivo uso dell’esercito italiano”274. Era quindi necessaria
un’autorizzazione da parte di Washington. Il governo italiano, un monocolore Dc guidato da Giulio Andreotti, già ministro della Difesa dal 1959 al 1966, il 31 gennaio chiese ufficialmente al Dipartimento di Stato il permesso per esportare i veicoli richiesti. L’ambasciatore americano a Roma Graham Martin si dichiarò favorevole a concedere il permesso di esportazione, ma vincolandolo all’acquisto da parte dell’Italia dei missili Tow e Lance dagli Stati Uniti275. La
preoccupazione maggiore del Dipartimento di Stato riguardava la possibilità che Gheddafi potesse cedere a terzi, in particolare all’Egitto, i mezzi forniti dall’Italia, mettendo in pericolo lo Stato d’Israele. In un memorandum segreto del 15 febbraio 1972 la diplomazia statunitense prospettò l’eventualità che Gheddafi, di fronte a un rifiuto, “[avrebbe potuto] procurarsi ulteriori armi sovietiche”276. Pochi giorni dopo l’ambasciatore Graham comunicò
al governo italiano la decisione di legare il permesso di vendita all’acquisto dei missili. L’Italia prese tempo e attraverso l’ambasciatore italiano a Washington Ortona ricordò
273
L’Oto Melara è un’azienda italiana attiva nel campo della difesa con sedi a La Spezia e a Brescia. La società fu controllata dall’IRI, l’Istituto per la Ricostruzione Industriale, dal 1933 al 1975, quando passò sotto il controllo dell’EFIM, l’Ente Partecipazioni e Finanziamento Industrie Manifatturiere.
274
M. Cricco, Aldo Moro e la cooperazione.., op. cit., p. 627
275
A. Varvelli, L’Italia e l’ascesa.., op. cit., p. 226
276
l’imprevedibilità di Gheddafi e chiese di scorporare i due accordi, limitando l’acquisto dell’Italia ai soli missili Lance277, con un risparmio per l’Italia di 25 milioni di dollari. Il regime libico, di fronte al tergiversare italiano, bloccò le trattative con l’ENI, legandole strettamente alla fornitura di armi. Il Presidente del Consiglio, bypassando il ministero degli Esteri e Moro, incaricò il Colonnello Roberto Jucci278 del SID di seguire le trattative. Le
divergenze tra Andreotti e il ministro degli Esteri divennero evidenti nel giugno 1972, quando Moro non entrò a far parte del nuovo governo Andreotti e la guida della Farnesina fu affidata a Giuseppe Medici. Il Dipartimento di Stato rimaneva fermo sulle proprie posizioni ritenendo indispensabile l’acquisto di entrambe le tipologie di missili, necessari per un miglioramento delle capacità difensive dell’Italia e per “il rafforzamento del fianco sud della NATO”279.
Andreotti cercò di esercitare pressioni sull’amministrazione statunitense diffondendo la notizia, falsa, che Tripoli intendesse ottenere il 51% dell’ENI, insinuando il dubbio di un’analoga intenzione sulle compagnie statunitensi280. Il 30 maggio fu firmato
un protocollo italo-statunitense che permetteva all’Italia di fornire gli equipaggiamenti militari alla Libia, in cambio dell’acquisto dei Tow e dei Lance281. Uno dei motivi che spinsero Washington a cedere alle richieste italiane riguardava i tempi di consegna, stimati
277
A. Varvelli, L’Italia e l’ascesa.., op. cit., p. 228
278 Jucci aveva partecipato all’operazione che, nel marzo 1971, portò al fallimento del colpo di
Stato contro Gheddafi.
279
M. Cricco, Aldo Moro e la cooperazione.., op. cit., p. 630
280
A. Varvelli, L’Italia e l’ascesa.., op. cit., p. 233
281
dal Dipartimento di Stato in almeno un anno e mezzo282. Contro
ogni aspettativa, l’Italia fu in grado di consegnare i mezzi già ad agosto, in quanto furono “sottratti a reparti dell’esercito, riadattati e riverniciati dall’Oto Melara, e spediti a destinazione”283.
Contestualmente alla fornitura di armamenti alla Libia, ripresero le trattative tra l’ENI e il governo libico: non si incontrarono difficoltà sulla costituzione di una società con suddivisione delle quote su base paritetica, mentre sorsero problemi riguardo alle modalità di risarcimento dell’ENI, che aveva già iniziato a sfruttare i due giacimenti. Le autorità di Tripoli volevano creare due accordi che prevedessero un indennizzo solo per la concessione A-100, ricca di petrolio, e nessun rimborso per l’altra, la 82284. Il 30 settembre 1972 fu firmato l’accordo ENI-LNOC
che prevedeva una “joint venture su base paritetica per entrambe le concessioni dell’Eni”285, assicurando all’Italia un’importante fonte
di approvvigionamento energetico. Riguardo al risarcimento, il cui importo superava i 100 milioni di dollari, la Libia ottenne di poter scorporare i due accordi: le spese sostenute dalla società italiana nella concessione A-100 sarebbero state rimborsate in 5 annualità con interesse al 3,5%, mentre quelle della concessione 82 in 20 annualità senza interesse286. In questa vicenda emerse il ruolo
282 A. Varvelli, L’Italia e l’ascesa.., op. cit., p. 234 283
A. Del Boca, Gli italiani in Libia.., op. cit., p. 480
284
A. Varvelli, L’Italia e l’ascesa.., op. cit., p. 237
285
Ivi, p. 245
286
svolto dal Presidente del Consiglio Andreotti, coinvolto direttamente nel negoziato, a scapito del ministro degli Esteri.
E’ interessante notare come a pochi mesi di distanza dalla richiesta di armamenti da parte della Libia, anche l’Egitto di Sadat chiese all’Italia, in maniera informale, una fornitura di caccia bombardieri287. A differenza del caso libico, in questo caso non fu
concluso nessun accordo. Il governo italiano, in ogni caso, non avrebbe potuto acconsentire alla fornitura di armi in quanto l’Egitto, paese coinvolto nel conflitto mediorientale, era sottoposto all’embargo sulla fornitura di armi288. La richiesta, avvenuta
contestualmente alla cacciata di migliaia di consiglieri sovietici289,
dimostrava la volontà di Sadat di prendere le distanze da Mosca e aprire un dialogo con l’Occidente.