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La riconducibilità del fatto contestato ad una sanzione conservativa

Nel documento Il licenziamento disciplinare illegittimo (pagine 54-57)

CAPITOLO 2 IL REGIME SANZIONATORIO PER IL LICENZIAMENTO ILLEGITTIMO INTIMATO AI LAVORATOR

II.5 La riconducibilità del fatto contestato ad una sanzione conservativa

L’articolo 18, comma 4, della legge n. 300/1970, prevede l’annullamento del licenziamento e la condanna alla reintegrazione nel posto di lavoro, oltre che nel caso di insussistenza del fatto contestato, anche quando “…il fatto rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle tipizzazioni di giustificato motivo soggettivo e di giusta causa previste dai contratti collettivi applicabili…”. Da ciò si evince che le nozioni di giusta causa e giustificato motivo previste dal legislatore, possono essere pattiziamente estese ad altre ipotesi. E’ possibile perciò distinguere, le nozioni di giusta causa e giustificato motivo, previste ex lege, da quelle espressamente individuate a livello di contrattazione collettiva. Il legislatore pur avendo fissato delle regole generali sempre cogenti, ha consentito che a livello di contrattazione collettiva o aziendale, possono essere prese in considerazione, ulteriori circostanze, la cui specifica individuazione, il legislatore rimette alle parti (per ragioni di opportunità ma soprattutto per lasciare spazio all’autonomia negoziale privata). Parte della dottrina ha ritenuto che la succitata disposizione abbia equiparato - in materia disciplinare - le regole pattizie, alla legge. Infatti com’è stato osservato, il legislatore “…pur riconoscendo il primato della legge rispetto alla contrattazione collettiva, consentiva alla prima e cioè al potere politico e istituzionale di lasciare ampi spazi al potere sindacale e alla contrattazione collettiva tanto che, a seconda dei tempi, qualche dottrina ha teorizzato una sorta di equivalenza156 e fungibilità tra legge e contratto collettivo o addirittura di supplenza sindacale157…” .Se per certi versi detta precisazione può risultare utile, per altri, è necessario tenere a mente il fatto che dominus del potere sanzionatorio è sempre l’imprenditore, sicché innanzi ad un qualunque tipo di infrazione disciplinare, lo stesso ha sempre la facoltà - e mai l’obbligo - di irrogare la relativa sanzione. Quello invece che l’imprenditore non poteva fare, era irrogare una sanzione più grave, rispetto a

156 G. Santoro Passarelli, Sulle categorie del diritto del lavoro “riformate”, in WP C.S.D.L.E. "Massimo D'Antona".IT – 288/2016, p. 6, laddove riporta il pensiero di G.

Ferraro, Ordinamento, ruolo del sindacato e dinamica contrattuale di tutela, Cedam, Padova 1981, p. 259 e ss.; Cfr. anche L. Fiorillo, A. Perulli, Le relazioni industriali, vol. III, Giappichelli, 2014, p. 130.

157 G. Giugni, Stato sindacale, pansindacalismo, supplenza sindacale, in Pol. dir., 1970, I,

quanto stabilito dalla legge (principio della proporzionalità della sanzione ex art. 2106 c.c.), ovvero rispetto alla previsione dei contratti collettivi o dei codici disciplinari. Ricorrendo siffatte ipotesi, una volta comunicata la volontà di voler sanzionare, scatta l’obbligo, in capo al datore di lavoro, dell’osservanza delle regole all’uopo stabilite. In primis quelle relative al tipo di sanzione che può essere irrogata, specie qualora la condotta contestata sia stata oggetto di tipizzazione in sede di contrattazione collettiva o sia stata contemplata nei codici disciplinari. La prima pronuncia, post legge Fornero, ad opera del Giudice di Bologna risale al 25 settembre 2012. Il fulcro della questione si appuntava sulla identificazione e qualificazione del fatto, al fine di evincere le tutele applicabili al caso concreto. In particolare, la vicenda processuale, prende le mosse dalla mancata custodia dell’arma da fuoco di ordinanza da parte di una guardia giurata. Alla luce del CCNL di settore, e della disciplina amministrativa, tale condotta veniva ritenuta dal datore di lavoro passibile di licenziamento per giusta causa. Il giudice, nonostante abbia ritenuto la condotta sussistente (come risultava da verbale C.d.A.), ha ugualmente disposto la reintegrazione del dipendente nel posto di lavoro. La decisione ha sollevato dubbi e perplessità, atteso che secondo l’interpretazione letterale della norma, il positivo accertamento della sussistenza del fatto contestato impedirebbe a monte la possibilità di apprestare la tutela reale. L’unica chance offerta dal legislatore, una volta accertata la sussistenza del fatto, è che lo stesso sia contemplato in sede pattizia come sussumibile in una fattispecie per la quale sia prevista una sanzione conservativa. La sanzione della reintegrazione, invece, viene riservata ai casi più gravi, ed il fatto materiale “che ha determinato il licenziamento non sussiste (il fatto c’è o non c’è); mentre la sanzione viene “ridotta” ad indennità risarcitoria allorché il giudice dovrà valutare se quel fatto, pur esistente, sia tale da integrare o meno la causa legittimante il licenziamento158”. La tipizzazione del fatto all’interno dei CCNL, o dei codici disciplinari, pone diversi problemi applicativi. Per esempio, nel caso di lieve infrazione non tipizzata, ed infrazione di maggiore entità ma tipizzata in sede negoziale: appare evidente che l’infrazione lieve dovrebbe sempre condurre alla reintegrazione nel posto di lavoro. Infatti ai sensi dell’art. 2106 c.c., le sanzioni

158 A. Maresca, Il nuovo regime sanzionatorio del licenziamento illegittimo: le modifiche all’art. 18 Statuto dei lavoratori, in RIDL, 2012, 1, pag. 436 e ss.

debbono sempre rispettare il principio di proporzionalità (gradualità in ordine all’infrazione commessa). Entrano di diritto, nel delicato meccanismo di tale principio, quelle condotte che, in base a scelte pattizie (o unilaterali datoriali), vengono ritenute gravi. A titolo di esempio, è il caso del controllore del traffico aereo che si distrae per pochi attimi; tale condotta seppur negligente, se fosse considerata, in un differente contesto lavorativo sarebbe stata qualificata come infrazione lieve. Per questo, in talune situazioni lavorative, appare indispensabile specificare espressamente gli ulteriori obblighi contrattuali ritenuti rilevanti, anche attraverso il rinvio alla contrattazione collettiva ed ai codici disciplinari. Resta poi al giudice, in base a tutte le circostanze del caso concreto, accertare in primis la sussistenza del fatto (e qualora sussistente), la proporzionalità della sanzione espulsiva rispetto alla condotta contestata, ma ciò tenendo obbligatoriamente conto di quanto stabilito nei CCNL applicabili e nei codici disciplinari di riferimento. Nel caso in cui il giudice ravvisi, la mancanza della proporzionalità tra la sanzione prevista in sede pattizia, e la condotta illecita, potrebbe disapplicare la norma collettiva, ma mai ignorarla. Per altro verso occorre segnalare che in realtà le norme dei CCNL e dei regolamenti disciplinari, essendo alquanto generiche, consentirebbero di poter ricondurre all’interno di ogni singola previsione una pluralità di condotte tutte potenzialmente illecite. Per questa ragione, (malgrado gli sforzi dei giudici protesi in tal senso) si lamentava una certa mancanza di omogeneità tra le varie pronunce giurisprudenziali. Tale anomalia ha contribuito a fornire un ulteriore motivazione a quella che è stata definita una vera “rivoluzione copernicana” del diritto del lavoro159, e che

costituirà oggetto di disamina nel prossimo capitolo.

159 Cfr. M. Persiani, Il licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo: limiti al potere del datore di lavoro e articolazione delle tutele, in S. Brusati, E. Gragnoli

(a cura di), Una prima esperienza sulla nuova disciplina dei licenziamenti - Seminario in

onore di Michele De Luca, in Quaderni di ADL, 2014, n. 12, p. 21, che con riferimento

alla norma parla di un legislatore preoccupato ad “evitare che i giudici eccedano i limiti della loro discrezionalità, ma che potrebbe apparire anche poco fiducioso della loro prudenza”

II.6 Misura della tutela indennitaria forte e di quella debole (art. 18 comma

Nel documento Il licenziamento disciplinare illegittimo (pagine 54-57)