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II. INDIVIDUAZIONE DELLO STATO DI CRISI

II.7. RIFLESSIONI FINALI

Questa parte del lavoro ha avuto il compito di facilitare la comprensione del fenomeno crisi. Si è visto come la crisi è una contingenza particolare e unica, difficile da constatare, che tende a spezzare i meccanismi di routine e a rendere inefficaci gli schemi di riferimento e i processi adottati dall'impresa nel passato.

Da ciò si è dimostrato come l'accertamento della crisi sia un fase fondamentale, ma al tempo stesso delicata, per il successo del piano di risanamento.

L'individuazione certa delle cause delle crisi costituisce una condizione necessaria, ma non sufficiente, per far sì che l'impresa in squilibrio possa ritornare al successo. Partendo, poi, dalle varie classificazione e dai vari modelli presenti in dottrina sulle cause della crisi d'impresa, siamo riusciti a fornire un quadro concettuale utile per determinare, con generalità, le cause più ricorrenti dei dissesti aziendali. La nostra analisi ha rilevato l'importanza che hanno i fattori soggettivi di crisi, specialmente quelli legati all'imprenditorialità, a problemi di inefficienza e a errori strategici e organizzativi, hanno nella composizione di una crisi e come altre cause, ritenute spesso responsabili principali, come ad esempio quelle finanziarie, siano in realtà manifestazione e/o conseguenze più palesi di disfunzioni economico-strategiche recondite.

Tuttavia né la variabile manageriale, né quella ambientale possono spiegare da sole la nascita di una crisi. La crisi monocausa è rarissima e legata per lo più ad ipotesi prettamente accademiche che reali (mancanza di imprenditorialità, sottocapitalizzazione iniziale). Nella maggior parte delle situazioni, la crisi è dovuta ad un complesso intreccio di cause.

In particolare, l’analisi dei casi concreti, ci suggerisce una distinzione tra fattori in prima linea e fattori in seconda linea in base alla loro successione temporale. Nella fase iniziale abbiamo detto come i fattori tipicamente presenti siano carenze di innovazione e/o programmazione, inefficienze, decadimento prodotti e così via. Solo in un secondo tempo, agiscono altri fattori citati, come la rigidità della struttura e gli squilibri finanziari che concorrono ad aggravare la crisi. Riassumendo, quindi, questa fase del processo di risanamento consta nell’individuare gli elementi di debolezza dell’impresa che, esistenti fin dall’inizio e coadiuvati da fattori di origine esogena, conducono l’impresa verso lo stato di crisi.

In tal senso ho fornito un sintetico, ma esaustivo panorama sui principali strumenti di diagnosi per la crisi. La semplice analisi di bilancio, avendo limiti in termini temporali e informativi, non è sufficiente al nostro scopo. Essa deve

rappresentare un punto di partenza da integrare con elementi dinamici, come l’analisi di mercato e il più penetrante controllo di gestione, che porteranno ad identificare i fattori che influenzano la sopravvivenza futura dell’impresa.

In tal proposito, ritengo opportuno dover spostare l'attenzione su alcuni strumenti di diagnosi che, pur non trovando riscontro nella letteratura specializzata, hanno dimostrato la loro validità in diverse esperienze aziendali:

EVA e L.I.C.

L’Economic Value added (EVA) è un metodo sempre più utilizzato dalle imprese italiane per misurare le performance aziendali. La sua peculiarità è di mettere in relazione il rendimento del capitale investito nell’azienda con il relativo costo47; per cui se tale rendimento è superiore al costo effettivamente sostenuto, si sta creando valore. Teoricamente l’EVA si può paragonare agli altri indicatori, precedentemente analizzati, per la misura dei risultati finanziari (ROE, ROI, ecc...), ma in realtà esso non è un semplice metodo di valutazione del capitale economico bensì un efficace strumento di misurazione delle performance operativo-finanziarie. Esperienze pratiche hanno dimostrato come a quozienti di bilancio positivi, non sempre corrispondeva un EVA positivo. Ciò significa che le imprese, prendendo decisioni sulla base di questi indicatori, attuavano strategie apparentemente valide ma che in realtà distruggevano valore.

Una situazione di questo genere si verificava a causa delle problematiche che tali indicatori hanno sempre comportano: sono strettamente connessi a potenziali politiche di bilancio o a fenomeni eccezionali di gestione, sono poco significativi nel breve periodo, sono difficilmente confrontabili tra di loro ecc...

47 Più precisamente:

EVA = RO(1-t) – iCO dove:

i è il costo medio ponderato del capitale (WACC) RO è il risultato operativo al netto delle imposte CO è il capitale investito nella gestione operativa t è l'aliquota fiscale dell'azienda

Di contro la validità nell’esame delle strategie aziendali, degli investimenti in capitale, delle decisioni operative dell’ EVA, risiede nel fatto che, considerando non solo il ritorno prodotto dagli investimenti ma anche il costo dei capitali (proprio e di terzi) necessari per finanziarli, mette in risalto la capacità dell’impresa di produrre rendimenti in linea con il costo complessivo dei capitali piuttosto che con il costo dell’indebitamento o del solo capitale proprio. Le implicazioni che tutto ciò può avere nell’individuazione e nel fronteggiamento delle crisi sono, a questo punto, evidenti. L’EVA permette di distinguere le divisioni o le strategie di investimento deficitarie, che hanno contribuito a distruggere valore per l’azienda, identificando conseguentemente eventuali eccessi di capitale investito in alcune aree e consentendo, contemporaneamente, di evidenziare le principali leve strategiche che il management può azionare per cercare di ritornare a creare valore.

Intuibilmente l' apporto alla crisi di un business, di una divisione o di una strategia è funzione dell’entità del divario tra il tasso di redditività e il costo del capitale. Per cui business con differenze negative e che assorbono una quota considerevole di capitale possono rappresentare una causa primaria della crisi, in quanto, la progressiva distruzione di valore che così si determina, potrebbe alterare profondamente gli equilibri aziendali e, nel medio termine, mettere a repentaglio la stessa capacità di sopravvivenza dell’azienda. In queste situazioni, l’impresa dovrebbe tentare di ridimensionare il business, razionalizzandolo, non escludendo l’ipotesi di uscirne, e concentrarsi sui veri core business, riconoscibili dal fatto che presentano un differenziale positivo fra reddito operativo e costi connessi. Tale differenziale va inteso come un indicatore del grado di vantaggio competitivo posseduto e quindi della possibilità, per l’impresa, di basare il proprio risanamento sulla difesa e/o sull’aumento di codesta posizione di vantaggio.

L'esistenza dei lavori in corso (L.I.C.) è collegata alla presenza di ordini di commesse pluriennali e, contabilmente, può essere definita come la differenza

tra la produzione a ricavo e la corrispettiva fatturazione. L'esistenza di un trend di elevati volumi di L.I.C., in assenza di un corrispettivo aumento degli ordini, può rappresentare per l'impresa un sintomo di eventuali crisi latenti. Questo perché non è sicuro che i L.I.C. generino integralmente fatturato: in pratica è possibile che tali imprese producano più di quanto effettivamente fatturano. Ciò, oltre a causare perdite nel breve termine, produce altri effetti negativi che, nel medio-lungo periodo, possono tramutarsi in situazioni irreversibili. Innanzitutto non fatturare L.I.C. può innescare un pericolo circolo vizioso ritardando il pagamento dei fornitori, i quali a loro volta ritardano la consegna e conseguentemente la produzione. Tutto ciò non fa altro che creare ulteriori L.I.C. E' inoltre possibile che i fornitori, mal pagati, alzino i loro prezzi, costringendo l'impresa a ricorrere a fornitori via via più scadenti per cercare di rimanere competitiva a livello di prezzi.

L'aspetto interessante ai nostri fini è che L.I.C. elevati costituiscono solamente la manifestazione ultima di inefficienze interne delle imprese. Essi possono, infatti, essere legati a gestione inadeguata del processo logistico e di approvvigionamento, alla generazione di progetti incompleti o comunque inizialmente inadeguati.

In conclusione bisogna però sottolineare che la crisi non deve essere pensata solo in termini negativi. C’è spesso un aspetto positivo nelle crisi che va adeguatamente rilevato. La crisi, mettendo in discussione la validità della struttura e delle strategie aziendali, offre delle opportunità di cambiamenti radicali, permettendo all’impresa di far emergere nuove strategie spesso vincenti.

Affinché questo si verifichi, però, è necessario che l’azienda possegga risorse e competenze in grado di recepire i cambiamenti imposti dalla crisi. Possiamo così individuare alcuni esempi di benefici che possono derivare da crisi aziendali

Elaborazione di nuove strategie attraverso l’opportunità di modificare le routine consolidate, ma oramai obsolete;

Sviluppo di nuovi sistemi di controllo per evitare di ripetere l’esperienza della crisi;

Nascita di nuovi leaders che, grazie ai cambiamenti del precedente ordine organizzativo prestabilito, possono emergere e sviluppare nell’impresa nuovi valori di rilancio e di successo.

III. LA FASE CRUCIALE: RISANAMENTO O