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scolastica dei migranti italo-magrebini in

Francia

Lorenzo Navone e Simona Tersigni

Il ricorso da parte dell’istituzione scolastica francese all’etichetta di “allofono” nei confronti di una parte degli studenti migranti merita di essere approfondito mediante la descrizione della sociogenesi e degli effetti di tale categorizzazione. L’esperien-za scolastica quotidiana di alcuni giovani migranti in Francia consente di stabilire un nesso tra la scala microsociale delle dinamiche all’interno di un dispositivo scolastico specifico per migranti minori, detto UPE2A,1 e i più ampi processi di riconfigurazione dell’architettura delle frontiere interne ed esterne dello spazio europeo. Tale architettura si nutre anche di politiche linguistiche, la cui relazione con quelle educative

1 Acronimo di Unità pedagogiche per gli studenti allofoni di recente arrivo. Si tratta di un dispositivo scolastico – e non di una classe tradizionale – in grado di accogliere un massimo di ventiquattro allievi e basato sulla segregazione spaziale e pedagogica, teoricamente per un periodo ridotto (un anno circa), il cui scopo consiste nell’insegnamento del francese scolastico ai giovani migranti di recente approdo in Francia.

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è stretta: è dall’incrocio tra queste che ha origine la categoria di “studente allofono”.2

In questo contributo ci concentreremo sull’esperienza sco-lastica degli “UPE2A italiani di Strasburgo”: si tratta di giovani migranti italofoni, scolarizzati e spesso nati in Italia, ma originari del Maghreb e giunti in Francia insieme ai genitori in una sorta di “seconda” migrazione. Per definire questa mobilità transalpina abbiamo deciso di impiegare il termine di “movimento secon-dario”, introdotto dall’UNHCR per indicare l’aggiramento del regolamento di Dublino3 da parte dei richiedenti asilo (Tazzioli e Garelli 2018). Questi giovani e adolescenti non sono oggetto di alcun divieto ufficiale a spostarsi da un paese all’altro dell’U-nione Europea, come invece avviene nel caso dei richiedenti asilo; tuttavia, tale “eccedente umano e scolastico” in movimento nello spazio europeo, una volta inserito nel sistema scolastico francese, è catturato dall’etichetta di allofono, che indica il fatto di esprimersi in una lingua altra rispetto al francese, e assegnato allo spazio segregativo della classe-dispositivo.

Il nostro obiettivo è di indagare le finalità e i meccanismi di azione di un dispositivo scolastico (Barrère 2013), a partire dalle sue irregolarità e dalle manifestazioni latenti e più moderate dell’allofonia. In questo modo saremo in grado di condurre la nostra riflessione nell’ambito dei processi di continua ricon-figurazione che investono le frontiere all’interno dello spazio europeo secondo la prospettiva delle politiche educative e linguistiche francesi.

In un primo momento situeremo l’allofonia nell’ambito delle politiche migratorie fondate sulla selezione linguistica (Lochak 2013), definendone la dimensione biopolitica. Questa

2 Con la circolare n. 2012-141 del 2 ottobre 2012 è stata istituita l’etichetta di EANA (Allievi allofoni di recente approdo) e ne è stata organizzata la scolarizzazione.

3 Si tratta del regolamento 604-2013 del Parlamento e del Consiglio europei, noto anche come Dublino III.

dimensione rinvia alla categoria istituzionale dell’allofonia, in quanto specifico dispositivo di confine: quest’ultimo produce una frammentazione spazio-temporale e contribuisce a creare nuovi spazi, nuove gerarchie e relazioni di potere all’interno dell’istituzione scolastica francese. Nella seconda parte pre-senteremo la maniera in cui i giovani migranti accedono alla scuola francese e la loro esperienza quotidiana. In conclusione, rileggeremo l’allofonia come uno specifico meccanismo di frontiera: un dispositivo scolastico che filtra, governa e ordina una popolazione migrante definita ontologicamente da una circolare ministeriale, ovvero da un dispositivo giuridico che rimanda al campo dell’infra-diritto degli stranieri (Lochak 1985;

Gjergji 2013).

Nota metodologica

La ricerca,4 condotta secondo un approccio qualitativo ed etnografico, si concentra sui dispositivi UPE2A installati in quattro istituti scolastici di Strasburgo, dove nell’arco di due anni abbiamo effettuato periodi di osservazione diretta e abbiamo realizzato numerose interviste.5 Questo contributo si basa, in

4 I materiali descritti e analizzati provengono dal programma di ricerca Evascol (2016-2018), promosso dall’INS HEA di Suresnes (nella regione Île de France) e finanziato dal Défenseur des Droits (Armagnague-Roucher et alii 2018).

5 L’osservazione ha avuto luogo in due scuole elementari e due scuole medie.

Sono state realizzate complessivamente trentasette interviste con insegnanti, dirigenti scolastici e del provveditorato, psicologhe, infermiere e assistenti sociali scolastiche, bibliotecari, educatori scolastici, animatori e responsabili di centri socio-culturali, mediatori, operatori in centri d’accoglienza per migranti, attori sindacali legati all’insegnamento e otto giovani migranti (alcuni dei quali insieme ai genitori) che avevano frequentato un dispositivo UPE2A durante il periodo di ricerca sul campo. Importanti materiali sono stati prodotti anche in ricerche condotte parallelamente a questa da Simona Tersigni, tra cui IMSODA, sull’interpretariato nei Centri di accoglienza per richiedenti asilo (CADA) in Alsazia e diretta da Anaik Pian.

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particolare, sull’esperienza etnografica realizzata in due scuole medie: la prima si trova in un quartiere centrale e residenziale di Strasburgo, in cui abita principalmente la classe media locale;

la seconda è situata invece nella periferia nord della città, in un quartiere considerato “sensibile”.6 L’etnografia scolastica è stata realizzata tanto all’interno della “classe-dispositivo” quanto nella “classe ordinaria”; le interviste hanno mirato a comple-tare l’osservazione diretta tracciando le traiettorie migratorie, residenziali e di socializzazione scolastica ed extrascolastica dei giovani migranti intercettati a scuola. L’osservazione è stata realizzata in momenti chiave e in luoghi centrali della vita sco-lastica: in classe, nella “classe-dispositivo”, nel refettorio, nel cortile durante la ricreazione, in occasione di gite, spettacoli e altre attività organizzate all’interno degli istituti. L’obiettivo generale è stato quello di comprendere i criteri di produzione istituzionale di certe categorizzazioni e come queste possa-no assumere una dimensione attenuata, scomparire, oppure riemergere, contribuendo a segmentare progressivamente la popolazione che esse stesse producono.

Vale la pena di sottolineare che la città di Strasburgo pre-senta alcune importanti caratteristiche distintive rispetto al contesto nazionale. Per la sua forte vocazione internazionale,7 a Strasburgo la scuola pubblica offre la possibilità di accedere alle sezioni internazionali8 per alcune lingue, tra cui l’italiano.

6 La scuola è classificata REP (Rete di educazione prioritaria), un’etichetta che la rende oggetto di una serie di politiche definite dal ministero dell’Educazione nazionale le quali tentano di rispondere alle diseguaglianze socio-economiche e a risultati scolastici considerati non soddisfacenti attraverso una serie di azioni pedagogiche e sociali. Le scuole classificate REP o REP+

sono solitamente situate in quartieri “svantaggiati”, in cui la presenza di migranti è sovrarappresentativa rispetto alla media nazionale.

7 Strasburgo è sede del Parlamento europeo, della Corte internazionale dei diritti dell’uomo (Cedu), del Consiglio d’Europa (Coe), di Eurodac, della Farmacopea Europea (Edqm), di un’importante università pubblica e di varie multinazionali.

8 Le sezioni internazionali sono presenti fin dai primi anni ottanta in alcune