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Capitolo II La conquista dell’alfabeto e l’istituzione della Scuola popolare per adulti in

3. La Scuola popolare per adulti

Dopo il 1945 s‟impose la necessità di assicurare a tutti il diritto all‟istruzione e tale urgenza si pre-sentava non solo per la popolazione in età scolare, ma anche per la popolazione adulta che, a causa della guerra e della povertà, aveva abbandonato la scuola o non aveva nemmeno avuto la possibilità di accedervi. La politica totalitaria e gli eventi bellici non solo arrestarono e addirittura aggravarono le condizioni culturali italiane, ma favorirono l‟espansione di un sentimento ostile nei confronti del-la cultura, diffuso soprattutto tra gli adulti analfabeti, e lo sviluppo di una mentalità conservatrice incapace di vedere nell‟istruzione una fonte di progresso non solo individuale, ma anche e soprattut-to sociale.

Inoltre, è importante sottolineare che, se da una parte l‟analfabetismo è associato a condizioni di vi-ta disagiate, «l‟illetteratismo investe anche soggetti che dispongono di larghe risorse economiche, perché si collega con stili di vita che lasciano uno spazio minimo al manifestarsi di interessi cultura-li o al loro soddisfacimento»45. In tal senso, anche quella parte della popolazione capace di consu-mo, come ad esempio i proprietari terrieri che consideravano in maniera negativa il lavoratore istruito46, «appare progressivamente relegata a coprire ruoli marginali, non solo in campo culturale ed economico, ma anche in campo sociale e politico. La competenza alfabetica rappresenta pertanto una condizione necessaria per la vita democratica e per un pieno esercizio dei diritti di cittadinan-za»47. Il diritto all‟educazione, quindi, si deve configurare in tale periodo storico come una necessità

che nel fatto educativo sappia tradurre ed attuare le esigenze della società nuova […], che assolva ad un tempo il bisogno-dovere del cittadino di istruirsi per partecipare alla vita collettiva, ma la integri altresì con l‟affermazione che a tale dovere corrisponde un diritto del singolo alla sua educazione, allo sviluppo completo della sua persona, alla possibilità di godere delle provvidenze stabilite dalla comunità, per far sì che egli possa mettere a disposizione della comunità stessa tutte le sue risorse intellettuali, morali e fisiche48.

Per questo motivo si puntò all‟educazione, intesa come mezzo di emancipazione, di progresso e di crescita, individuale e collettiva, poiché «se scuola è sinonimo di mobilità, analfabetismo è recipro-camente sinonimo di immobilità»49.

44 G. Chiosso, Motivi pedagogici e politici nei lavori dell‟inchiesta Gonella (1947-1949), cit., p. 387.

45 V. Gallina, B. Vertecchi (a cura di), Il disagio, l‟alfabeto, la democrazia. Riflessioni sui risultati del progetto Predil, Franco Angeli, Milano 2007, p. 15.

46 Tale situazione viene denunciata in un testo biografico che testimonia lo stato di isolamento in cui versava l‟uomo istruito nel Mezzogiorno: «Chi sa leggere e scrivere non trova molta compagnia per soddisfare la propria sete di sapere, e se la passa peggio degli altri, perché è malvisto dai padroni, spesso analfabeti» (G. F. Novelli, Neanche se mi uccidi!

Vita di Peppino Papa, Grafiche 2000, Foggia 2007, p. 62).

47 V. Gallina, B. Vertecchi (a cura di), Il disagio, l‟alfabeto, la democrazia. Riflessioni sui risultati del progetto Predil, cit., p. 15.

48 M. Pagella, Cento anni di storia della scuola italiana, cit., p. 40.

49 G. Harrison, M. Callari Galli, Né leggere né scrivere. La cultura analfabeta: quando l‟istruzione diventa violenza e sopraffazione, cit., p. 35.

43 Inoltre, l‟analfabetismo colpiva maggiormente le regioni meridionali50 e ciò aumentava la distanza già esistente tra Nord e Sud e di conseguenza ostacolava la rinascita democratica del Paese.

Pertanto «la lotta contro l‟analfabetismo si rendeva […] necessaria»51 per preparare sufficientemen-te il popolo all‟“esercizio della scelta”52 e della cittadinanza consapevole: «un uomo è innanzitutto questo: qualcuno che sa scegliere»53. In tale ottica l‟educazione degli adulti «non è distribuzione di conoscenza, ma iniziazione all‟arte di vivere la vita quotidiana»54 e di conseguenza «l‟alfabeto di-venta […] fonte di egualitarismo e strumento di collaborazione civica»55.

Ciò era stato avvertito con chiarezza dal Governo che decise di istituire una Scuola popolare che po-tesse offrire l‟opportunità di far conseguire un titolo di studio a tutti i giovani e gli adulti che, per vari motivi, avevano abbandonato precocemente la scuola o non avevano mai avuto la possibilità di frequentarla. Inoltre, in questo modo si poteva anche arginare la disoccupazione magistrale.

Fu merito del Ministro Gonella «l‟aver compreso che i due fenomeni […] dovevano essere contem-poraneamente affrontati, facendo servire l‟uno da antidoto dell‟altro»56.

Prima di estendere l‟iniziativa a tutta l‟Italia, all‟inizio del 1947 fu realizzato a Roma un primo esperimento di Scuola popolare che, nella Conferenza-stampa d‟inaugurazione tenuta dal Ministro della P. I. il 26 febbraio, fu presentata come

scuola a servizio del popolo, delle classi più bisognose e meno assistite: una scuola, che mediante corsi adatti e programmi adeguati pianti le sue tende nelle caserme, nelle fabbriche, nelle carceri, negli ospedali, nei rioni più popolari; che assista i ragazzi d‟ambedue i sessi, che hanno abbandonata la scuola, gli adulti i quali vogliono co-noscere la scuola e tornarvi dopo molti anni per accrescere e migliorare la propria istruzione […]. Una scuola, insomma, che vada incontro alle esigenze dell‟istruzione popolare e anzitutto a quelle determinate dal rovinoso periodo bellico57.

Furono assunti, per cinque mesi, ottocento maestri e duecento professori; il 75% ottenne il conferi-mento dell‟incarico in base alle graduatorie, il 25% fu selezionato tra coloro che si trovavano in condizioni familiari economicamente disagiate58. Vennero istituiti dieci tipi di corsi:

1. Scuole di ambiente. Si trattava di corsi destinati ai soldati nelle caserme, agli operai nelle fabbriche, ai degenti in ospedale e ai detenuti nelle carceri.

2. Seste classi diurne, sia maschili sia femminili, per coloro che avevano conseguito la licenza elementare e che non avevano superato il quindicesimo anno di età. Gli insegnamen-ti riguardavano il disegno, le lingue straniere, la fisica applicata alla tecnica.

50 Nel 1946, il tasso di analfabetismo presunto (presunto perché nel 1941 non fu effettuato alcun censimento e in quello del 1936 il tasso di analfabetismo non fu registrato) corrispondeva al 20,9%, percentuale registrata nell‟ultimo censi-mento del 1931, anno in cui in ben sei regioni meridionali, quali Abbruzzo, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Si-cilia e Sardegna, esso raggiungeva il 34% e si stimavano ancora, in tutto il Paese, sette milioni e mezzo di analfabeti di cui 6.664.376 avevano superato il quattordicesimo anno d‟età (Cfr. A. Arcomano, Scuola e società nel Mezzogiorno, Clueb, Bologna 2013; Ministero della Pubblica Istruzione, La scuola italiana dal 1946 al 1953, Istituto Poligrafico del-lo Stato, Roma 1953).

51 R. de Montvalon, Un miliardo di analfabeti, Armando Editore, Roma 1966, p. 83.

52 B. Betta, Diritti della scuola e della cultura nello stato democratico, cit., p. 226.

53 A. Lorenzetto, Lineamenti storici e teorici dell‟educazione permanente, Edizioni Studium, Roma 1976, p. 17.

54 Ivi, p. 19.

55 D. Demetrio, Le scuole dell‟alfabeto. Trent‟anni di «lotte all‟analfabetismo» (1947-1977), cit., p. 32.

56 Ministero della Pubblica Istruzione, La scuola italiana dal 1946 al 1953, cit., p. 75.

57 G. Gonella, Il primo esperimento della «scuola popolare». Nuova istituzione per la lotta contro l‟analfabetismo, Isti-tuto poligrafico dello Stato, Roma 1947, pp. 3-4.

58 Ivi, p. 4.

44 3. Corsi di orientamento, diurni e serali, offerti ai più meritevoli che si erano distinti nelle scuole elementari e che non avevano potuto proseguire gli studi per mancanza di mez-zi. Le discipline erano italiano, storia, matematica, disegno e fisica applicata alla tecnica, impartite non con metodo nozionistico, ma al fine di rilevare le attitudini di ogni alunno per aiutarlo nella scelta di eventuali studi superiori.

4. Sezioni di doposcuola avviate solo in seguito ad eventuali richieste delle famiglie e alla disponibilità dei locali.

5. Corsi di economia domestica per ragazze dai dodici ai sedici anni che abitavano in rioni popolari.

6. Corsi serali di tre tipi per adulti:

a) per analfabeti;

b) per semianalfabeti;

c) per “progrediti”;

i primi due tipi offrivano agli adulti i primi rudimenti culturali e fungevano da vero e proprio rimedio contro l‟analfabetismo, il terzo tipo, equiparato alla sesta classe, impartiva insegna-menti complementari.

7. Corsi per emigranti, incentrati sull‟insegnamento della lingua, della geografia e della legislazione dei Paesi di emigrazione.

8. Corsi di preparazione per adulti che desideravano sostenere l‟esame di licenza ele-mentare.

9. Corsi serali di lingue straniere, di disegno ed altre discipline, attuati presso le scuole medie.

10. Corsi di aggiornamento per gli insegnanti, della durata di un mese, tenuti da profes-sori universitari e da esperti in campo scolastico ed educativo. Inoltre fu previsto un corso speciale per i maestri che avevano mostrato “attitudini ad insegnare in scuole rurali”59. La preparazione dei docenti rappresentava una preoccupazione reale soprattutto perché «i vuoti cau-sati dalla guerra furono colmati nel modo più improvvisato e caotico, e salirono sulle cattedre inse-gnanti senza alcuna competenza»60, soprattutto nell‟ambito dell‟educazione degli adulti. Si trattava per la maggior parte di maestri in giovane età, per i quali la Scuola popolare costituiva la prima esperienza di insegnamento, ed essendo questa un tipo di scuola destinata per lo più ad adulti, ri-chiedeva competenze specifiche, nonché uno spiccato spirito di adattamento, poiché spesso si era chiamati a lavorare presso zone rurali isolate e in strutture fatiscenti. «I maestri, già isolati per le enormi distanze che li separa[va]no dai centri, per la mancanza di un edificio [erano] privati anche di quei brevi incontri necessari per lo scambio di idee, di prospettive, ecc.»61. Pertanto una adeguata preparazione poteva non solo garantire il buon funzionamento delle scuole popolari, ma poteva di-venire anche uno stimolo motivazionale per il docente costretto a lavorare in condizioni sfavorevoli.

Questo primo esperimento, secondo Duccio Demetrio,

riprodusse lo stesso fenomeno delle scuole rurali e non classificate fasciste, nelle quali si riversarono non gli adulti, ma migliaia di minori ai 12 anni che in cinque mesi avrebbero dovuto conseguire un titolo di studio, non certo la piena capacità di leggere e scrivere. Accanto ai giovanissimi si aggiungevano migliaia di adulti che

59 Ivi, pp. 5-8.

60 U. Spirito, La riforma della scuola, cit., p. 12.

61 A. Arcomano, Scuola e società nel Mezzogiorno, cit., p. 35.

45 trovando in esse una scuola sostanzialmente per l‟infanzia […], finivano con abbandonarla dopo, se non prima, l‟apprendimento della propria firma62.

Tuttavia, esso portò all‟emanazione del D. L. 17 dicembre 1947 n. 1599, con il quale fu istituita la Scuola popolare per adulti su tutto il territorio italiano.

Il Decreto, trasformato nella Legge 16 aprile 1953 n. 326, stabiliva quanto segue:

Art. 1 – È istituita una Scuola popolare per combattere l‟analfabetismo, per completare l‟istruzione elementare e per orientare all‟istruzione media o professionale.

La scuola è gratuita, diurna o serale, per giovani ed adulti e viene istituita presso le scuole elementari, le fabbri-che, le aziende agricole, le istituzioni per emigranti, le caserme, gli ospedali, le carceri e in ogni ambiente popo-lare, specie in zone rurali, in cui se ne manifesti il bisogno.

Art. 2 – La Scuola popolare raggiunge gli scopi predetti mediante corsi diretti a:

a) impartire l‟istruzione del corso elementare inferiore a coloro che, avendo superato l‟età di 12 anni, non l‟abbiano ricevuta nelle scuole elementari ordinarie;

b) impartire l‟istruzione del corso elementare superiore a coloro che abbiano conseguito il certificato di com-pimento degli studi inferiori o dimostrino di avere un grado d‟istruzione equivalente;

c) aggiornare e approfondire l‟istruzione primaria per coloro che siano già provvisti del certificato degli studi elementari superiori al fine anche di orientare alle attività artigiane o (per coloro che rivelino particolari attitudi-ni) al proseguimento degli studi;

d) accrescere la cultura del popolo mediante la istituzione dei centri di lettura e iniziative di carattere ricreati-vo ed educatiricreati-vo.

I predetti centri di lettura funzioneranno sotto la vigilanza della Sovraintendenza bibliografica competente per territorio.

Art. 3 – I corsi della Scuola popolare sono istituiti dal provveditore agli studi presso le scuole governative o presso enti, associazioni o privati, i quali lo richiedano e dimostrino di possedere i mezzi e i requisiti per orga-nizzare ed assicurare il regolare funzionamento dei corsi stessi.

Per i corsi istituiti presso enti, associazioni o privati, lo Stato può concorrere nella spesa.

La spesa per il personale insegnante grava, in ogni caso, sull‟apposito capitolo del bilancio del Ministero della pubblica istruzione.

Art. 4 – L‟insegnamento nei corsi della Scuola popolare è affidato per incarico provvisorio, con nomina del provveditore agli studi, a persone che siano fornite dei titoli richiesti per ottenere incarichi d‟insegnamento nelle scuole elementari o, per particolari insegnamenti nei corsi di cui alla lettera c) dell‟art. 2, nelle scuole medie, e che non abbiano altra occupazione retribuita.

L‟insegnamento è valutato ad ogni effetto come servizio di incarico e supplenza.

Nel caso di scuole organizzate da enti o da associazioni, la nomina ha luogo su proposta e d‟intesa con questi.

L‟insegnante deve essere prescelto tra quelli compresi nella graduatoria provinciale di incarico e supplenza.

Il Compenso mensile agli insegnanti è ragguagliato, per ogni ora settimanale di lezione, ad un venticinquesimo dello stipendio iniziale e dell‟indennità di carovita – del grado 12°, o del grado 11° per gli insegnanti provvisti di laurea, quando insegnino nei corsi di cui alla lettera c) dell‟art. 2.

Il compenso è dovuto per i soli mesi di effettivo insegnamento.

Art. 4bis – In caso di trasferimento presso altro Provveditorato, l‟interessato, prima della sua assunzione in sede, può chiedere di essere aggiunto alla nuova graduatoria senza alcuna valutazione dei titoli e dopo l‟ultimo concor-rente già graduato.

Art. 5 – Ciascun corso della Scuola popolare ha normalmente la durata minima di cinque mesi, con l‟orario da 10 a 18 ore settimanali.

Gli alunni affidati ad un solo insegnante, anche se appartenenti a corsi diversi, non possono di regola essere me-no di 10 e più di 30.

Ove siano accertate irregolarità o inefficienza del corso il provveditore può adottare misure che, nei casi più gra-vi, possono giungere fino alla chiusura del corso.

62 D. Demetrio, Le scuole dell‟alfabeto. Trent‟anni di «lotte all‟analfabetismo» (1947-1977), cit., p. 35.

46 Art. 6 – Agli alunni che hanno superato gli esami viene rilasciato per i corsi di cui alle lettere a) e b) dell‟art. 2, il certificato di studi elementari inferiori o superiori, e per i corsi di aggiornamento culturale, di cui alla lettera c), uno speciale attestato che è titolo preferenziale a parità di ogni altra condizione, per l‟ammissione ad impieghi per i quali sia richiesto il certificato degli studi elementari superiori.

Nelle località nelle quali siano istituiti i corsi di cui alle lettere a) e b) dell‟art. 2 il riconoscimento del grado di cultura previsto dall‟art. 192 del testo unico 5 febbraio 1928, n. 577, si ottiene esclusivamente mediante gli esami finali dei corsi della Scuola popolare.

Art. 7 – I programmi d‟insegnamento, le norme per gli esami e ogni altra disposizione riguardante l‟attuazione della presente legge saranno fissati con ordinanza ministeriale.

Art. 8 – I corsi della Scuola popolare sono soggetti alla vigilanza delle autorità scolastiche governative, che eser-citano rispetto ad essi tutte le attribuzioni loro demandate dalle disposizioni in vigore.

Art. 9 – Ai locali e ai servizi per il funzionamento dei corsi della Scuola popolare provvede il Comune ai sensi dell‟art. 65 del citato testo unico sull‟istruzione elementare.

Il provveditore agli studi può autorizzare l‟uso dei locali delle scuole elementari anche per i corsi di scuola popo-lare organizzati da enti, associazioni e privati qualora questi non possano provvedervi.

Art. 10 – Agli alunni bisognosi possono essere assegnati premi di assiduità mediante gratuita fornitura di libri e oggetti di cancelleria o in altra forma.

Art. 11 – Tutte le spese di organizzazione, funzionamento e vigilanza dei corsi, nonché quelle necessarie per stu-diare i problemi relativi alla lotta contro l‟analfabetismo e per diffondere l‟istruzione del popolo gravano sul ca-pitolo di cui all‟art. 12.

Art. 11bis – Il Ministro per la pubblica istruzione potrà istituire i corsi di scuola popolare d‟accordo col Ministro per il lavoro, presso i corsi di qualifica professionale non inferiore a cinque mesi, al fine di combattere l‟analfabetismo degli allievi ovvero di integrare, con la preparazione intellettuale di questi, l‟addestramento tec-nico dei vari mestieri.

Art. 12 – Per il corrente esercizio finanziario 6 stanziata in apposito capitolo del bilancio del Ministero della pubblica istruzione la somma di lire un miliardo per tutte le spese previste dalla presente

legge.

La presente legge, munita del sigillo dello Stato, sarà inserita della Raccolta ufficiale delle leggi e dei decreti del-la Repubblica Italiana. È fatto obbligo a chiunque spetti di osservardel-la e di fardel-la osservare come legge dello Sta-to63.

Nell‟anno scolastico 1947-1948 furono assegnati corsi di Scuola popolare ad ogni provincia e in misura maggiore nel Mezzogiorno, dove superiori erano il tasso di analfabetismo e la disoccupazio-ne magistrale. I 12.283 corsi istituiti, di cui 507 creati per iniziativa degli Enti, furono così ripartiti:

3861 nell‟Italia settentrionale; 2460 nell‟Italia centrale e 5962 nell‟Italia meridionale64.

La Scuola popolare ebbe il merito, innanzitutto, di raggiungere molteplici ambienti, in particolare quelli rurali dove non vi era mai stata la presenza di una scuola. Inoltre, nonostante le critiche di chi vide nell‟intento dichiarato nell‟art. 1 (completare l‟istruzione elementare e orientare all‟istruzione media e professionale) solo un «carattere subalterno dell‟operazione»65, la Scuola popolare si di-mostrò in grado di superare il concetto strumentale di alfabetizzazione per abbracciare quello più ampio di educazione degli adulti.

63 Decreto Legislativo del capo provvisorio dello Stato 17 dicembre 1947, n. 1599, Istituzione della Scuola popolare contro l‟analfabetismo. GU Serie Generale n. 21 del 27-1-1948, in:

http://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/1948/01/27/047U1599/sg consultato il 20-01-2015; Archivio di Stato di Foggia, Legge 16 aprile 1953, n. 326. Ratifica, con modificazioni del decreto legislativo 17 dicembre 1947, n. 1599, concernen-te l‟istituzione della scuola popolare contro l‟analfabetismo. Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana n. 107, 11-5-1953, p. 1785.

64 Ministero della Pubblica Istruzione, La scuola italiana dal 1946 al 1953, cit., p. 76.

65 D. Demetrio denuncia la mancanza di corsi di alfabetizzazione rapida strettamente collegati ai posti di lavoro, che tut-tavia erano previsti dall‟art. 11bis (Cfr. D. Demetrio, Le scuole dell‟alfabeto. Trent‟anni di «lotte all‟analfabetismo»

(1947-1977), cit.).

47 Venne creato, infatti, un Comitato centrale per l‟educazione popolare, costituito da un presidente, un segretario e dodici membri, e ad esso fu affidato il compito di dirigere, vigilare e coordinare i corsi nonché quello di affrontare il più vasto problema delle attività di educazione popolare, settore che rappresentava «il naturale campo di estensione e di sviluppo della Scuola popolare»66. Nel 1950 il Comitato sollecitò gli Enti ad estendere le loro attività a tale settore, in quanto «compito proprio dell‟Educazione popolare (degli adulti) è quello di soddisfare ai bisogni ed alle aspirazioni dell‟adulto in tutta la loro varietà [e] di offrire ad ognuno […] la opportunità di una “realizzazione totale” della propria individualità e, attraverso ad essa, il raggiungimento di una migliore organizza-zione della vita nazionale e internazionale»67.

L‟alfabetizzazione per acquisire senso e valore e per avere effetti duraturi doveva costituire solo un parte del programma di educazione dell‟adulto68, in quanto l‟educazione è efficace se intesa come uno strumento di «trasformazione cosciente»69 e non solo come una strategia di recupero.

Accanto ai corsi propriamente scolastici vennero, dunque, create varie iniziative educative e forma-tive, quali:

corsi di richiamo scolastico di due mesi per quaranta lezioni di due ore al giorno, de-stinati agli allievi con esigenze pratiche legate al lavoro;

corsi per le famiglie, presso le quali si recava l‟insegnante per impartire elementi cul-turali per lo più a donne che non potevano frequentare la scuola;

corsi di zona, istituiti in contrade prive di locali scolastici;

corsi itineranti, prevalentemente offerti a pastori o carbonai costretti a spostarsi di luogo in luogo e seguiti, con grandissimo sacrificio, dagli insegnanti;

corsi di orientamento artistico-musicale, finalizzati a promuovere l‟educazione arti-stica e musicale;

corsi di educazione domestica, frequentati prevalentemente da donne che svolgevano lavori sartoriali;

corsi per apprendisti, istituiti in collaborazione con il Ministero del Lavoro e della Previdenza sociale;

corsi di educazione per adulti, volti a promuovere negli individui l‟acquisizione di un pensiero critico e consapevole70.

Il Comitato si occupò, inoltre, anche della preparazione e dell‟aggiornamento dei maestri, per i qua-li pubbqua-licò un Manuale di educazione popolare che potesse fungere da guida per l‟insegnamento nelle scuole per adulti71.

Essendo rivolta sia ad adolescenti dai dodici anni in su sia a persone adulte la Scuola popolare si propose, da una parte, di orientare i giovani verso l‟istruzione media o professionale e, dall‟altra

66 Ministero della Pubblica Istruzione, La scuola italiana dal 1946 al 1953, cit., p. 79.

67 Ibidem.

68 A. Lorenzetto, Lineamenti storici e teorici dell‟educazione permanente, cit., p. 67.

69 Ivi, p. 66.

70 Cfr. D. Marrone, Scuola popolare e formazione degli adulti. L‟esperienza di San Ferdinando di Puglia. 1947-1972, Progedit, Bari 2006, pp. 21-22; L. Mazzocchi, D. Rubinacci, L‟istruzione popolare in Italia dal secolo XVIII ai nostri giorni, cit., p. 65.

71 Cfr. Ministero della Pubblica Istruzione, La scuola italiana dal 1946 al 1953, cit.

48 parte, collaborando con il Ministro del Lavoro, permise agli adulti lavoratori di migliorare la loro preparazione intellettuale per rendere qualificato il proprio lavoro.

«Non si vede, infatti, come l‟acquisizione di un profilo professionale possa avvenire in modo con-sapevole quando la formazione procede per semplice trasferimento imitativo di operazioni e tratti di comportamenti, cui non corrispondono processi di comprensione»72.

Non mancarono, tuttavia, nel D. L. aspetti di ambiguità. In primo luogo, la concessione offerta ad enti e associazioni private di richiedere l‟istituzione di corsi popolari e di proporre la nomina degli insegnanti «favorì il predominio cattolico dell‟istruzione»73 e uno scorretto utilizzo delle graduato-rie. In secondo luogo, fornendo punteggi vantaggiosi, incoraggiò i docenti ad accettare l‟incarico soltanto in vista di una facile e rapida scalata nelle graduatorie. Ancora, essendo affidati ad inse-gnanti non di ruolo, spesso giovani e inesperti, i corsi popolari rischiavano di offrire contenuti e me-todologie ripresi fedelmente dalle scuole elementari e quindi inadeguati per gli adulti. Infine, anche la durata dei corsi risultava inadeguata. «L‟alfabeto [era] garantito in 5 mesi (corso tipo A), il titolo di quinta (B) sempre in 5 mesi»74 con la conseguenza che l‟adulto, abbandonato dopo dieci mesi di scuola e ricollocato in un ambiente analfabeta «non [poteva] considerarsi né definitivamente recu-perato, né capace di inserirsi consapevolmente nei problemi del suo ambiente, proiettandosi in quel-lo più vasto, generato dall‟economia di mercato e dalla ricchezza dei mezzi di comunicazione e di informazione»75.

Per affrontare tale problema furono creati i Centri di lettura, affinché l‟adulto in uscita dalla Scuola popolare, non ancora in grado di procurarsi un libro, fosse supportato e guidato nella lettura così da non perdere il possesso dell‟alfabeto né l‟interesse per la cultura. «Questo è in sostanza il problema dell‟educazione popolare: suscitare il bisogno di cultura là dove esso non esiste»76.

Il Centro di lettura non era una biblioteca, ma «una scuola in cui il maestro si propone[va] ancora d‟insegnare a leggere, ma un leggere che [fosse] semenza di pensieri […]. Quella vera arte del leg-gere, la quale, per essere appresa, ha bisogno di una guida che sappia evitare soprattutto il pericolo onde i libri talvolta ingombrano l‟animo come ingombrano gli scaffali»77.

A causa della scarsità di fondi per il rifornimento dei testi fu creato, inoltre, il Centro mobile di let-tura, un mezzo che potesse raggiungere le località più remote e isolate dove lasciare cassette di libri da distribuire alle famiglie mediante l‟aiuto del maestro, chiamato a stimolare la popolazione e a promuovere l‟interesse per la lettura.

Il primo Centro mobile di lettura fu creato a Modena nel 1952 in via sperimentale: si trattava di un autoveicolo «attrezzato come una vera e propria biblioteca, con 30 metri di scaffalatura all‟interno per disporvi oltre duemila volumi […]; il tutto in un ambiente accogliente capace di accogliere circa venti persone, luminoso, ben aerato, fornito di apparecchio radio con altoparlanti esterni, giradischi e macchina da proiezioni»78. I testi vennero scelti in maniera accurata al fine di abbracciare ogni tema che potesse destare l‟interesse degli adulti: classici italiani e stranieri, testi di narrativa, di

72 V. Gallina, B. Vertecchi (a cura di), Il disagio, l‟alfabeto, la democrazia. Riflessioni sui risultati del progetto Predil, cit., p. 9.

73 L. Ambrosoli, La scuola in Italia dal dopoguerra ad oggi, Il Mulino, Bologna 1982, p. 45.

74 D. Demetrio, Le scuole dell‟alfabeto. Trent‟anni di «lotte all‟analfabetismo» (1947-1977), cit., p. 45.

75 L. Mazzocchi, D. Rubinacci, L‟istruzione popolare in Italia dal secolo XVIII ai nostri giorni, cit., pp. 66-67.

76 E. Tarroni, Cinema ed educazione popolare, in “Scuola e città. Rivista mensile di problemi educativi e di politica sco-lastica”, a. IX, n. 2, 1958, pp. 43-46.

77 Ministero della Pubblica Istruzione, La scuola italiana dal 1946 al 1953, cit., p. 81.

78 Ivi, p. 83.